"Ho capito che ero abbastanza forte per dire alle persone come sono"

Andate e letto tardi, andate e letto presto, voletevi bene. Arrivate con la mente pulita, carichi, riposati, fortissimi. Non fatevi mettere nella condizione del saggio scolastico solo perché siamo qua, il corpo va bene, adesso tutto il lavoro lo deve fare il cervello. Piegate i costumi, lasciateli qui.

Francesca Pennini – 22 novembre 2014, sala prove del Teatro Comunale di Ferrara.

Cosa significa adolescente? La parola è di origine latina, composta dal rafforzativo ad e dal verbo alere, nutrire. Adolescente è chi si sta nutrendo, chi sta crescendo nel corpo e nello spirito, e proprio in virtù del cambiamento in corso non può essere descritto, definito, fissato. É chi ogni mattina può svegliarsi, fare colazione, e prima di uscire cucirsi addosso una personalità diversa e nuova, improbabile o banalissima, con cui salutare il mondo. Teenager, l’equivalente gergale inglese (esiste in realtà il termine adolescent), è un termine freddo e pulito, razionale, da impiegato all’anagrafe: inchioda l’imprevedibile e il mutevole in un arco temporale preciso e universale, collocato con chirurgica precisione tra i tredici anni e i diciannove anni. Nella traduzione si perde la condizione e la vaghezza del processo. L’adolescente (chi si sta nutrendo) potrebbe non perdere mai appetito, potrebbe non diventare mai un adulto (colui che si è nutrito). Ci sono persone capaci di attraversare i decenni senza perdere la spontaneità, l’apertura al possibile e il coraggio irragionevole che contraddistinguono quegli anni orribili e preziosi. Un esempio?
John Cage. E non deve stupire che in sua memoria sia stato indetto un concorso per giovanissimi performer.

Il bando “Ripensando Cage” – promosso nel 2012 dall’Universita La Sapienza di Roma, per i cent’anni della nascita dell’artista – è stato vinto dal progetto <Age>, presentato dal Collettivo Cinetico, gruppo artistico ferrarese attivo dal 2007, guidato dalla coreografa Francesca Pennini. Di cosa si tratta? Andrea Nanni, che era nella giuria del concorso, lo descrive come «un’anomalia scenica»: un percorso di formazione finalizzato a portare sul palcoscenico nove ragazzi capaci di sentirsi a loro agio nel presentare sé stessi al pubblico, coinvolti in una drammaturgia che bilancia rigore e improvvisazione, coralità e individualità.
«Cage ha segnato moltissimo il mio lavoro – racconta Francesca -. Il suo spirito dissacrante e anarchico, capace di giocare con le regole della musica. Ho pensato che gli adolescenti fossero i performer ideali per realizzare qualcosa che potesse rappresentare oggi il suo amore per il rischio, per la sperimentazione. Il laboratorio per loro è stato una sorta di addestramento. L’idea alla base del percorso è stata: mettiamoli in certe condizioni e vediamo cosa diventano».
Angelo Pedroni – assistente alla drammaturgia e alla didattica – riassume in tre punti il percorso formativo attuato: «innanzitutto abbiamo voluto che i ragazzi imparassero ed essere spettatori, non si può essere attori senza prima aver capito cosa succede quando qualcuno sta sul palco. Li abbiamo accompagnati a diversi spettacoli, sia a Ferrara che in altre città. Poi abbiamo cominciato a lavorare sull’attività scenica, chiedendo loro di compiere delle piccole missioni segrete, un po’ criminali, come quella di fare una coreografia in classe, riprendendosi col cellulare nascosto nell’astuccio, oppure quella di “rubare” i gesti ad un passante o a un familiare, di scambiarsi le valigie e le “vite” durante le residenze. Infine li abbiamo introdotti alle pratiche tipiche del Collettivo Cinetico. Inizialmente seguivano le attività in modo quasi scolastico, quando siamo passati alla creazione dello spettacolo è cambiato tutto, <Age> è diventato qualcosa di vero e che gli appartiene al cento per cento. Il livello di esposizione è molto alto».
Con i genitori, nonostante il lavoro svolto sia decisamente atipico, non ci sono mai stati problemi: «noi mettiamo le mani avanti e prima di cominciare il percorso organizziamo un incontro con le famiglie, in cui spieghiamo cosa faremo e gli impegni in calendario, di modo che si possa trovare un’accordo anche con la scuola. La partecipazione al laboratorio vale come credito formativo».

Foto di Giacomo Brini

Ma cosa succede durante <Age>? I nove adolescenti improvvisano gesti e comportamenti: ognuno ha un proprio repertorio ma nessuno sa quando verrà chiamato e a fare cosa.
La presentazione iniziale è apparentemente il momento più semplice: i ragazzi si compongono in diversi insiemi, rispondendo a definizioni sempre diverse: “esemplari strani”, “esemplari vergini”, “esemplari che hanno vissuto esperienze paranormali”. Un bestiario umano che affascina lo spettatore per quanto capace di scavare nell’intimo, anche in forma di negazione. In un momento storico in cui tante energie vengono spese per dimostrare agli altri la propria soddisfazione – e i social network da questo punto di vista si configurano spesso come il primo e il principale terreno dell’ipocrisia comunemente accettata e condivisa – è disarmante vedere tre diciassettenni restare seduti al loro posto, in disparte, mentre si alzano i loro coetanei, gli “esemplari felici”.
«In tanti all’inizio credono che stare in piedi fermi sia facile – spiega Francesca -. Col tempo si rendono conto che questa in realtà è la cosa più complicata, più delle acrobazie, più di stare in equilibrio su una gamba. Abbiamo lavorato tanto sulla presenza scenica. Cos’è? Da spiegare è difficile, non è qualcosa che si controlla, è più alchemica, anche se ci sono degli esercizi per innescarla. Mi commuove la lucidità con cui i ragazzi riescono a leggere sé stessi, le sensazioni che gli derivano dallo stare di fronte al pubblico. Acquisiscono consapevolezza e questo è un bene e un male, perché allo stesso tempo perdono le espressioni inconsce, quelle più interessanti. Occorre bilanciare, rinfrescare: rendere consapevoli e lasciare liberi».
Quando alla ricerca della presenza scenica si abbina l’autodefinizione di sè l’equilibrio da trovare è ancora più delicato: «come si fa a salire sul palco e ammettere di aver fatto qualcosa che magari nemmeno si condivide o di cui non si è fieri, come un furto ad esempio? Si fa se si capisce che in quel momento si sta entrando in risonanza con le persone che guardano, se si esce dall’ottica del giudizio e si entra nell’ottica della condivisione. Allora si costruisce un rapporto».

<Age> – che ha debuttato nell’ottobre 2012 al Romaeuropafestival – è stato apprezzato e applaudito in Italia ma non solo, tanto da meritarsi una riedizione nel 2014. I nove ragazzi che avevano partecipato da protagonisti alla sua prima realizzazione nel giro di pochi mesi sono cresciuti: finita la scuola sono cominciati per tutti gli impegni – università, colloqui, test, lavoro, esami. Da qui l’esigenza del Collettivo di ripartire da zero, nuove audizioni, nuovo cast, nuove date, nuovi premi, e finalmente si arriva a Ferrara, venerdì 27 novembre, al Teatro Comunale. Un giorno importantissimo sia per <Age> – che non aveva ancora avuto la possibilità di farsi conoscere nella propria città natale – sia per i suoi “adolescenti kamikaze”, come li chiama Francesca. Esibirsi ed autodefinirsi di fronte a perfetti sconosciuti è ovviamente ben diverso dall’alzarsi in piedi e fermarsi di fronte alla platea nascosta nell’oscurità, dichiarando a propria nonna, ai compagni di classe, alla professoressa di ginnastica che sì, ho baciato una ragazza, ho sezionato una lucertola, sono timido, sono logorroico, ritardatario, impreciso, aggressivo, vorrei morire ammazzato, parlo nel sonno.

«Ho capito che ero abbastanza forte per dire davanti a tante persone come sono – ha raccontato Camilla a esibizione conclusa, con una schiettezza disarmante -. All’inizio mentivo, mi vergognavo. Poi è stato molto bello dire la verità. Mi rende più sicura poter far vedere alle persone come sono, anche se ovviamente non sono mai sicura di come sono, perché un mese mi sento in un modo, poi mi sento in un altro. La sfida è stata quella di non avere paura a farmi delle domande e a rispondere, ammettendo anche le cose che non mi piacciono. Presentarmi come la vera Camilla, che non è la mia immagine più bella ma quella più reale. Non è stato subito facile, ma è stato un bellissimo modo di crescere».

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