Nel gioco bizzarro delle ricorrenze, c’è una libreria che compie vent’anni, insieme a una scuola e a un monologo teatrale. E poi c’è una partita di calcio che festeggia il suo quarantesimo compleanno. Penso all’incrocio fortuito di ciascuno di questi eventi nell’anno che è in corso, mentre esco dalla Sala Boldini, dopo avere assistito all’incontro con Alessandro Baricco. Penso alle copertine di libri come ‘Seta’ e ‘Oceano Mare’ colorare lo sfondo uniforme dei banchi di un liceo del sud d’Italia. E poi penso al calcio come linguaggio e a quante metafore attraversino, ieri e oggi, il suo fertile rettangolo verde.

«Il 1994 è stato un anno strambo, in cui tantissimi hanno iniziato a fare cose», spiega Baricco al suo intervistatore sul palco, dopo aver ricevuto il primo ‘Premio Tasso per l’impresa letteraria’. Riconoscimento da parte del Comune di Ferrara e del ‘Gruppo del Tasso’. Chi gli rivolge le domande è il ferrarese Martino Gozzi, autore di libri, direttore didattico ed ex allievo della Scuola Holden, fondata appunto vent’anni fa dallo scrittore piemontese. Come vent’anni è la distanza che separa dalla pubblicazione di ‘Novecento’, un testo concepito per una rappresentazione teatrale affidata all’attore Eugenio Allegri e al regista Gabriele Vacis. «Li sono andati a cercare – ammette Baricco – e ho detto che avrei fatto qualcosa per loro. Ho scritto ‘Novecento’ in tre settimane, di cui una in settimana bianca. Scrivevo e poi andavo a sciare. In futuro mi sono dedicato ad altri lavori. Per un intero anno, ho lavorato alla realizzazione di un film che abbiamo visto solo io e mia madre. Si semina e si raccoglie, e non c’è un nesso fra le due cose».

L’ultima fatica di Baricco è un romanzo destinato a uscire a marzo, coltivato in un terreno d’incontro fra letteratura italiana e sudamericana. La penultima, invece, riposa in cima a una botte di legno sul palcoscenico. ‘Smith & Wesson’ è il titolo del libro che precede l’uscita di un futuro lavoro teatrale. E, nella storia, Tom Smith e Jerry Wesson sono due personaggi, con un legame inscindibile certificato dai loro stessi nomi e cognomi. «C’è un destino irrevocabile – chiarisce lo scrittore – che li tiene in scena. Loro sono un personaggio, una roba sola con due nomi. Due pacifisti che odiano le armi, entrambi dotati di un grande talento. Non sono persone qualunque. Un tipo di vita che ho spiato spesso negli altri. Scrivere per due attori è tuttavia difficile. Ero fermo e così ho infilato dentro un terzo personaggio. Rachel arriva, è giovane ed è un proiettile. Se li piglia e se li porta via. Nella loro vita si spalanca pertanto la prospettiva dell’eccezionalità. Anche solo un momento eccezionale, quando arriva, è come una lama di luce. Loro resistono un po’, ma poi vengono trascinati via. L’idea è di prendere una di quelle situazioni già raccontate da tempo immemorabile. Quando ho scritto ‘Oceano mare’, per esempio, ho raccontato la storia di un naufragio. Prima d’allora, quante storie di mare erano già state scritte… Tu le riprendi e pensi che puoi ridar loro vita. Questa però non è una storia d’amore. I due uomini non hanno nemmeno il tempo per l’amore. Questi hanno un’energia addormentata e lei invece ha un’energia bruciante».

Foto di Giacomo Brini

Le domande di Gozzi spostano il dialogo sul terreno dell’editoria. «Con quelli come me, De Carlo, Veronesi, Del Giudice, Tamaro – precisa Baricco – è finita una stagione della narrativa italiana e ne è cominciata un’altra. Tutto quel sistema ha cominciato a diventare più fluido e più moderno, un decennio di grande innovazione. Adesso c’è un’ulteriore mutazione con l’avvento della vendita online e l’accesso a tutti i media. Oggi sono tutte rockstar della letteratura». Sulla scia del quesito irrisolto se Amazon rappresenti «Babbo Natale o il lupo mannaro», si passa al tema della mutazione, affrontato nel saggio ‘I barbari’, oggetto di una recente traduzione in Francia. «Non l’ho aggiornato. Ci sono poche previsioni, c’è la descrizione di una mutazione in un certo momento». Ecco che entra in gioco il potere evocativo di una partita di calcio. Un incontro inserito nel calendario della coppa del mondo del 1974. A contendersi la sfida, da un lato la nazionale dell’Uruguay, dall’altro quella dell’Olanda. Una partita nella quale Baricco individua il senso di smarrimento di una società in balia dell’aggressione dei barbari. Il calcio totale giocato dalla formazione olandese è il futuro che spaventa. «Tutti – sottolinea Baricco – giocano in tutti i ruoli. Tutti fanno tutto e lo fanno con velocità. Gli uruguagi, invece, fanno la loro azione e, in sette, finiscono in fuorigioco. In sette. La partita termina con una vittoria dell’Olanda che avrebbe potuto segnare molti più gol. Ma non importa il risultato. I calciatori dell’Uruguay, infatti, a un certo punto cominciano a legnare».

Una visione del calcio, e della società, che sacrifica la genialità lenta sull’altare di una medietà veloce, che obbliga il fantasista in panchina per dare spazio alla corsa del mediano, che rinuncia all’individuo in funzione del sistema. Provo, per un attimo, a immaginare questo modello di gioco e di società. E m’imbatto nella sua provvisoria imposizione. Mi torna in mente l’Argentina della finale del 1978 che, pur soffrendo, doma l’Olanda figlia di quel calcio totale. Mi sposto con la memoria al 1994, alle solide geometrie della Germania di Matthäus, che crollano davanti ai guizzi dei bulgari Stoichkov e Letchkov. Nell’estate di quest’anno, poi, la velocità del collettivo tedesco sbriciolerà gli amabili resti della nazionale brasiliana, prendendosi la sua rivincita in un eterno duello. Quello fra corsa e talento, pragmatismo e fantasia, gioco di squadra e prodezza del singolo. Mi convinco che la sfida sia destinata a durare, che i barbari siano in parte dentro di noi, e che emergano per vedere il sole secondo un ciclico ruotare del nostro mondo interiore.

La metafora calcistica richiude la porta curva della sua parentesi. C’è il tempo per qualche domanda del pubblico. «Ho iniziato tardi a scrivere», risponde Baricco a una sua lettrice. «Fra i venti e i trent’anni ho fatto molti mestieri. Traducevo, scrivevo inviti per i matrimoni, facevo il pubblicitario». Qualcuno chiede se c’è la possibilità di riproporre l’esperienza delle ‘Palladium Lectures’. «Se ho tempo e forza ne farò un’altra. Ho già in mente una lezione legata alla metropolitana di Londra e alla sua mappa che non è geograficamente corretta. Un’astrazione geniale fra il vero e il falso».

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