di Veronica Capucci

Martino Guerra conosce il significato reale del viaggio. Per lui è soprattutto conoscenza antropologica delle popolazioni, di usi e costumi diversi dai nostri. Ci incontriamo poco tempo fa in un bar del centro, dove, tra un caffè e l’altro, mi spiega perché ha intrapreso questo originale viaggio e le sue impressioni. È rientrato in Italia da pochi giorni, dopo aver percorso in bicicletta i Balcani occidentali. Il suo viaggio è iniziato a Trieste, e da lì, in bicicletta è giunto fino in Albania. L’aspetto curioso è che Martino afferma di non essersi preparato fisicamente. Ha curato di più l’aspetto psicologico, perché in un viaggio in solitaria devi contare solo su te stesso, e questo tipo di preparazione mentale ti aiuta in caso di situazioni problematiche.

Martino, giovane biologo, racconta che ha deciso di esplorare i Balcani occidentali usando la bici, perché è il mezzo più idoneo. “Permette di osservare con attenzione. Inoltre il viaggio è stato motivato dal desiderio di scoprire usi e tradizioni delle popolazioni balcaniche. Avevo una gran voglia di pedalare e di far fatica. Avevo tutto agosto libero e l’idea di passarlo a Ferrara non era così allettante. Il giorno prima della partenza i miei amici mi hanno salutato come se partissi per il fronte, quasi convinti che mi sarebbe capitato qualcosa di brutto, come essere malmenato, derubato e picchiato. I luoghi dell’ex Yugoslavia e dell’Albania infatti, sono ancora visti come posti pericolosi”.

A rigor del vero, Martino non è nuovo a questo genere di impresa: ha vissuto un anno in Canada, e nell’estate 2013 ha compiuto un’escursione di venti giorni, percorrendo 1200 km, sempre in bicicletta, nella regione dei Grandi Laghi. Ma quella volta, la finalità era diversa: si trattava infatti di un itinerario naturalistico, alla scoperta di  luoghi selvaggi. Il viaggio appena compiuto ha avuto invece un interesse prettamente antropologico, rivolto alla scoperta della popolazione. Martino racconta che aveva una gran voglia “di raggiungere mete diverse dai soliti luoghi turistici occidentali europei. Quindi i Balcani si presentavano come una meta perfetta: vicini all’Italia, ma con gente la cui cultura è diversa dalla nostra e soprattutto con la possibilità concreta di entrare in contatto con le popolazioni slave”.

L’esplorazione nei Balcani è durata un mese. Da Trieste Martino è giunto in Slovenia, poi in Croazia, in Bosnia, nel Montenegro, e infine in Albania. La Slovenia gli è sembrata da subito “troppo turistica, poco interessante”, quindi ha deviato verso l’interno della Bosnia, dove, dice, “ho visto di tutto”. La Bosnia è un Paese dove convivono Oriente e Occidente, dove i segni della guerra sono ancora molto evidenti, la miseria è tanta, le abitazioni non sono terminate proprio per mancanza di denaro. Quello che più gli è interessato è stato il contatto con le popolazioni rom, che da sempre vivono in Bosnia e in Serbia. Quest’ultimo aspetto è per lui molto importante. Prima di partire ha eseguito una ricerca sulla cultura delle popolazioni zingare che abitano l’Europa da almeno un millennio, e ha scoperto aspetti molto interessanti.

Courtesy Martino Guerra

Ad esempio, queste popolazioni hanno mantenuto le loro tradizioni e la loro lingua per molti secoli, proprio perché non si sono integrati con le popolazioni locali. “In questo modo hanno evitato di perdere le loro tradizioni con il passare del tempo” racconta Martino. La loro lingua antichissima, il Romanì, è sopravvissuta nel corso dei secoli ed è di origine indiana perché i rom abitavano in India prima della loro diaspora, avvenuta circa novecento anni fa. Sono un popolo molto coeso e si sposano tra loro. Racconta ancora Martino: “sono parecchio diffidenti, soprattutto gli anziani, perché gli occidentali in genere non si avvicinano ai rom”. Fortunatamente a Sarajevo ha conosciuto Sabira, una ragazza rom madre di tre bambini, con la quale ha parlato molto in lingua Romanì e croata, che aveva studiato prima di partire.

Martino si è trovato così a vivere in un ambiente che ricorda i film di Kusturica, regista del suggestivo film “Gatto nero, gatto bianco”. Da qui il viaggio è proseguito in Montenegro, attraverso montagne di 1200 metri. Il Montenegro “è una regione ordinata, ha un paesaggio stupendo”. Ultima tappa l’Albania. “L’entrata in questo Paese è stata scioccante. E’ un altro mondo rispetto al nostro. Il paesaggio è parzialmente desertificato, brullo, nelle città regna il caos dovuto al traffico automobilistico. L’aspetto positivo è che qui si vive con poco. Esiste la cultura del riciclo, per cui non si butta niente, se qualcosa è rotto, lo si ripara. Le persone si arrangiano con lavori umili, sono venditori ambulanti di tabacco, di semi tostati di girasole, raccoglitori di ranocchi… L’agricoltura non è meccanizzata, per cui è ancora possibile vedere il contadino con il bastone e la mucca.”

Gli albanesi vengono descritti da Martino “molto ospitali, offrono vitto e alloggio a chiunque, molto uniti e con un forte senso di appartenenza alla loro patria, ma soprattutto hanno tante tradizioni che ancora conservano. Il 70% di loro conosce l’italiano perché durante il regime socialista, che cadde alla fine degli anni ’90, i cittadini non potevano nemmeno vedere la televisione, quindi si ingegnarono puntando le antenne di nascosto verso l’Italia, in particolare Bari, dove esiste un ripetitore della RAI. Guardando i programmi italiani degli anni ’80, quasi tutti gli albanesi impararono la lingua italiana.” Martino ha partecipato anche ad un curioso matrimonio, a Durazzo, di un amico albanese conosciuto a Ferrara durante gli anni dell’Università. In un matrimonio albanese, a differenza di quelli italiani basati sul cibo, si usa ballare per ore i canti tradizionali.

Durante il viaggio Martino ha sempre cercato di evitare l’inglese per comunicare: “è estremamente stimolante cercare di comunicare con le persone, soprattutto anziani e bambini, usando le lingue locali, in questo caso il croato e l’albanese.” Prima di partire ha studiato alcune parole di croato che servono per la vita quotidiana. Durante il viaggio in bici ha incontrato di tutto: altri viaggiatori stranieri, ciclisti, motociclisti e gente che si spostava con mezzi da esplorazione corazzati. Spesso si è fermato in piccoli bar, dove incuriositi si avvicinavano bambini, anziani, giocatori di domino, ex galeotti che gli chiedevano se era uno sbirro italiano. Il viaggio compiuto è stato molto faticoso, anche per l’uso stesso della bici come mezzo di locomozione. Martino ha dormito in tenda, a volte in campeggio, a volte nei prati, tuttavia essendo un tipo prudente non ha mai avuto problemi.

Un viaggio fonte sicuramente di arricchimento culturale perché, pur avendo viaggiato in solitaria, ha conosciuto moltissime persone, soprattutto locali. Dopo questo lungo e affascinante racconto, Martino ed io ci salutiamo, ed un suo commento sull’itinerario intrapreso non mi lascia per nulla indifferente. “Una cosa è certa, in ogni posto che vai, in ogni strada che percorri, in ogni bar dove ti offrono una grappa, stai certo che salta fuori una sorpresa o un fatto particolare da raccontare. Di sicuro nei Balcani non ci si annoia mai!”. Alla prossima, Martino.

2 Commenti

  1. Mariasilvia scrive:

    Brava Veronica! Bellissimo articolo! Sono orgogliosa dei miei studenti 🙂

  2. veronica capucci scrive:

    Grazie Maria Silvia 🙂

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