Come mai fai l’illustratrice?
«Faccio l’illustratrice perché è ciò che amo fare da vent’anni».

L’intervista in effetti potrebbe già finire così, ma le cose da dire su quel fantastico mondo chiamato illustrazione sono ancora molte. Manuela Santini, marchigiana di nascita e ferrarese d’adozione, è l’artefice di Giardini illustrati, laboratorio che si è tenuto nei mesi scorsi presso il Wunderkammer e che stasera dalle 19 viene presentato con la mostra dei lavori creati dagli allievi. La serata, intitolata Smart landscape: appunti per costruire nuovi paesaggi, vuole essere il punto finale di un percorso durato tutto l’anno 2014, nel quale il programma di ricerca Rigenerazione Urbana ha indagato il tema del paesaggio ‘scaltro’ attraverso differenti attività: il laboratorio teatrale Succede qui, a cura di Natasha Czertok e Davide Della Chiara; il seminario Inmovimento: dance as a form of landscaping tenuto da Alessandra Fabbri; e, appunto, Giardini illustrati a cura di Manuela Santini. Tutti i laboratori hanno raccontato storie partendo dall’immaginario del giardino.

Raggiungiamo Manuela e i corsisti durante l’allestimento della mostra. Mentre loro scelgono come appendere le tavole al muro o gli oggetti da esporre sui tavoli da lavoro, io e Fabio, procrastinatori di corsi per eccellenza, ci chiediamo cosa spinga una persona a iscriversi ad un corso di illustrazione. «Prima di tutto – risponde Manuela – ci deve essere una forza creativa interiore. E poi ci deve essere una disciplina creativa, che non è la disciplina solita, è creativa, appunto. Per dare spazio alla creatività bisogna imparare prima di tutto a toglierci i pregiudizi. Per i bimbi tutto questo risulta più facile, per i grandi è di gran lunga più difficile. La disciplina che deve avere un illustratore è una sorta di disciplina verso la sua creatività interiore, che bisogna seguire e non castrare. Gli adulti sono sempre preoccupati dal giudizio degli altri, bisogna invece sviluppare la propria sensibilità senza preoccuparci del resto». Per Manuela, tutti possono disegnare, ognuno portando sul foglio il proprio modo di vedere le cose. «Prendi per esempio il lavoro di Lionni, “Piccolo blu e piccolo giallo”, un libro fatto solo con delle macchie di colore. Si parte dai colori primari, dai quali pian piano nascono quelli secondari, e lo spettacolo di questo libro è che è fatto solo di macchie. E lui è stato uno dei maestri dell’illustrazione».

Nata a Jesi nel 1975, Manuela scopre il mondo dell’illustrazione molto giovane. «Tutto è partito da mio fratello, che mi propose di fare qualche disegno per una casa editrice nelle Marche, la Raffaello. Disegnavo fin da piccola e così accettai. Grazie a questa collaborazione ho potuto avere il pass per la Fiera del libro per ragazzi a Bologna, avevo 18 anni. È lì che ho capito la mia strada».

Foto di Fabio Zecchi

Dopo la maturità artistica si trasferisce a Bologna, si diploma all’Accademia di belle Arti e prende una specializzazione in Fotografia. «Dopo la Fiera di Bologna ho iniziato a partecipare a tutti i concorsi che trovavo e a presentarmi alle case editrici. I lavori piacevano a tutti, ma poi alla fine non mi prendevano. O mi dicevano “sei troppo pittorica”, o trovavano qualcos’altro che non andava bene. Tutto sta nel trovare l’editore giusto al momento giusto». L’editore giusto per Manuela fu la Mondadori. «È stato il mio biglietto da visita, che mi ha aperto la strada per altre importanti collaborazioni». A dirla così sembra facile, ma Manuela aggiunge subito «io stavo per mollare, dopo sei anni a bussare agli editori che non mi rispondevano. Ormai li conoscevo per nome: “ciao Fernando, ti ricordi di me?”; a un certo punto stavo per smettere, ma un’amica mi ha convinta a provare un altro po’. Ed è così che mi hanno chiamato».

Manuela ci spiega come l’illustrazione e il fumetto sono per lei tra le discipline più contemporanee. «Attraverso l’illustrazione puoi sperimentare tutto, dal computer alla fotografia, dalla scrittura ai colori. Al contempo, è una delle arti che rimane tra le più artigianali perché ti costruisci tutto da solo. L’albo illustrato va in questa direzione di completezza: l’illustratore, creando un albo e non un libro, si occupa di tutto, perfino della scelta del formato e dell’impaginazione».

Le chiediamo se abbia mai avuto dei momenti di crisi da mancanza di creatività. «Eccome se ne ho avuti. Ricordi cosa ha detto Gipi quella sera durante Internazionale? Quella cosa di non riuscire a star seduto alla sedia ce l’ho ben presente anche io. Questo, purtroppo, tanti editori non lo capiscono e non lo capiranno mai. Tu gli chiedi un mese di tempo e magari riesci a far tutto solo nell’ultima settimana. Ti fai un mese di vuoto assoluto e poi, di colpo, scocca la scintilla. Credo che guardare film, girare, osservare le cose, faccia assolutamente parte del percorso creativo di un albo illustrato. Te ne rendi conto solo alla fine che tutto il percorso sta proprio lì. Mi ha sempre fatto sorridere una scena di Tom Waits, in cui lui è in macchina e sta guidando quando a un certo punto gli viene in mente un’idea. Così lui dice: “non posso catturarti ora, torna tra un’ora”. Quando ero in crisi nera perché non riuscivo più a creare, ho iniziato col teatro e mi ha cambiato il modo di disegnare, permettendomi di sbloccare il momento di vuoto. Lavorare col corpo e con le emozioni è stato importantissimo».

L’accento di Manuela fa emergere talvolta le sue origini. Da Jesi a Ferrara, come ti rapporti a questo cambio di città? «In realtà le vedo molto simili come cittadine. Jesi è un po’ come Ferrara, solo che è su un cucuzzolo. Dopo dodici anni di vita a Bologna avevo bisogno di più calma e Ferrara la vedo come un posto tranquillo in cui vivere, anche se ci sono un sacco di cose che ultimamente stanno nascendo: il teatro Off, il Wunderkammer, le serate di teatro al Bolognesi. A Ferrara mi trovo benissimo».

Parliamo poi del progetto Giardini illustrati. Come è stato far disegnare i tuoi allievi? «Avevo già insegnato, ma solo a dei bimbi. Con gli adulti, paradossalmente, è più difficile. Il bimbo, quando gli metti una matita in mano, si sente libero di disegnare quel che vuole. L’adulto, con una matita in mano, si ritrova solo con se stesso e si castra molto. Ho avuto il caso di una ragazza, in questo corso, che durante le prime lezioni non riusciva a disegnare nulla, poi di colpo ha portato dei lavori che nemmeno Walt Disney! Tutto sta nello sbloccare i pregiudizi e la propria personalità. Credo che se si sente dentro quell’urgenza creativa di cui parlavamo prima, questa deve essere seguita. Io consiglio magari di crearsi un compromesso lavorativo, ma di seguire comunque le proprie passioni. Poi, come mestiere, sono convinta che sia possibile farlo. Io spesso lavoro via mail, per esempio con editori stranieri. In questo lavoro la distanza non è una barriera, anzi».

2 Commenti

  1. Luca Pregnolato scrive:

    Bellissima iniziativa!

  2. Chiara scrive:

    Grazie Anja e Fabio 😉

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