Tornassero al mondo i nostri antenati… chissà cosa direbbero del mondo di oggi, dice sempre mia nonna quando scopre l’esistenza di qualche nuova diavoleria hi-tech che le mostro. Ne sarebbero spaventati, schifati, incuriositi, affascinati? Non lo sapremo mai ovviamente, ma usando la fantasia è facile provare ad immaginarsi lo scenario, con un espediente narrativo già visto spesso in letteratura e al cinema tra viaggi nel tempo e riapparizioni misteriose di personaggi del passato.

E se un giorno a tornare in questa città di biciclette, nebbia e zanzare fosse il duca Ercole I d’Este? Colui che tanto si spese per rendere Ferrara una città europea, moderna, centro della vita culturale del Rinascimento e gioiello che testimoniasse i fasti della corte Estense, cosa direbbe dei ferraresi che si aggirano all’ombra del Castello? Come giudicherebbe i comportamenti dei suoi cittadini, il cibo, il vestiario, gli usi e costumi della Ferrara moderna?

Son quelle domande che scattano durante lunghi aperitivi e chiacchierate interminabili sui massimi sistemi, dove si lascia correre la mente immaginando scenari inconsueti e nuovi, quelle idee che vengono a chi con leggerezza prova ad osservare il mondo sotto altri punti di vista, abituato com’è a narrarlo con il linguaggio delle parole e delle immagini.

Immagino sia venuta così quest’idea a Paola Bonora e Valentina Lapierre, autrici di Invisibile, Ercole I rivisita Ferrara, un inconsueto e divertente breve romanzo pubblicato da poco per Edizioni Le ImmaginiChi scrive, va detto a onor di cronaca, non è del tutto estraneo alla vicenda in quanto curatore dell’impaginazione e umile compagno di avventura in questo e tanti altri esperimenti artistici in passato insieme a Paola e Valentina. La prima affermata pittrice da molti anni, attiva in città tra le altre cose con una scuola di acquerello e svariate mostre personali e collettive, la seconda, brillante allieva con un promettente futuro davanti come illustratrice e critica d’arte.

Immaginatevi la scena: Ercole I torna a far visita a Ferrara, non ritrova molte delle cose che conosceva, altre sono ancora al loro posto ma hanno un aspetto differente, i palazzi dell’epoca servono oggi ad altri scopi. La lettura è buffa e scorre via veloce divertendo ed insegnando molto sulla storia di Ferrara: al contempo romanzo breve e “guida turistica” che invita a ripercorrere luoghi noti insieme al nostro ospite d’eccezione, che ama la salamina e le biciclette ma non capisce tutto questo traffico di automobili e queste scatolette luminose che i cittadini estensi guardano mentre passeggiano a testa in giù. È proprio alle nuove generazioni che vorrebbe rivolgersi Invisibile: a quegli studenti sempre connessi e spesso poco propensi a guardare il mondo che li circonda, fatto di dettagli talvolta magnifici che sfuggono all’attenzione di chi non alza mai il viso per ammirare un monumento, un angolo di un palazzo, un giardino, chiedendosi curioso: cos’è?

È un tentativo di sedurre il lettore con un linguaggio che rinuncia alla specificità del lessico di una guida turistico-artistica per addetti ai lavori, per risultare comprensibile e ironico. Una narrazione che tende la mano anche ai più distratti invitandoli ad osservare, curiosare ed approfondire. Il libro infatti non fornisce risposte ma vorrebbe generare numerose domande provando a riconsiderare da un nuovo punto di vista scorci e consuetudini cittadine cui siamo sopitamente abituati da tempo. Il volumetto è inoltre corredato da 14 tavole ad acquerello, già esposte in mostra nell’aprile scorso alla sala Ariosto della Biblioteca Ariostea: un modo per interrompere piacevolmente la lettura tra suggestioni e ricordi coniugando il linguaggio scritto con quello artistico tanto caro alle due autrici.

Invisibile è disponibile presso le librerie Feltrinelli, Sognalibro e nel bookshop del Museo della Cattedrale di Ferrara.

Riporto qui sotto l’incipit come invito alla lettura e alla riscoperta curiosa di una Ferrara che secoli dopo Ercole I d’Este resiste, affascina e si lascia ammirare dal mondo intero.

Sono tornato per rivedere la mia città: Ferrara.

Una città che è stata mia in tutti i sensi e che non vedo dal gennaio del 1505, anno in cui sono morto.
Sono Ercole I d’Este e non ho bisogno di presentazioni.

Sono tornato come puro spirito, dotato di tutti i sensi ma invisibile. Non posso fare domande perché nessuno può sentire la mia voce. Devo accontentarmi di ciò che vedo e delle frasi, molto spesso incomprensibili, che le persone si scambiano. Conosco ciò che è accaduto prima della mia dipartita e anche parte di ciò che è avvenuto dopo, ma quelle sono notizie di seconda mano: chiacchiere tra defunti.

Posso dire che, se non fossi già morto, nel vedere quanto è cambiata questa città, mi verrebbe un colpo. Lo scenario è, a dir poco, sconvolgente. C’è un continuo andirivieni di mezzi ambulanti metallici a due e a quattro ruote, di tutti i colori e di tutte le dimensioni. Alcuni producono un rumore assordante, altri sono più silenziosi. Dopo averli guardati a lungo, ho avvertito uno strano bruciore in gola, come se avessi respirato del fumo.

Ho notato che i sagrati di molte chiese in città si sono trasformati in luoghi impraticabili. Vi lasciano ferme le scatole di metallo che chiamano automobili, dette anche genericamente macchine. “Sali in macchina che ti do un passaggio” ho sentito dire da un giovane e l’altro ha risposto: “No, grazie, ho la bici”.

Di bici ce ne sono migliaia, ma non ho ancora visto un cavallo.
Oggi mi aggiravo intorno a quella che fu, prevalentemente, casa mia: il castello e devo ammettere che è ancora bello, possente, sembra nuovo. Mi vengono in mente tutti i lavori di ristrutturazione e miglioria: ampliamenti, innalzamenti, corridoi di collegamento, un inferno di polvere e un pozzo di soldi. Di acqua ce n’è meno, ma le carpe del fossato sono enormi!
Il castello è davvero ben conservato, però è senza guarnigione, indifeso, totalmente vulnerabile. I ponti levatoi abbassati e un andirivieni continuo. Persino un gran numero di bambini vocianti che vogliono vedere la prigione di Ugo e Parisina. L’unica arma che ho visto è una colubrina falsa. Con tutto quello che ho fatto per armare questa città, mi sembra assurdo che si siano ridotti così. Ma i veneziani che siano già tutti morti e sprofondati nelle loro putride acque?

Senza risposte mi allontano di qualche passo e raggiungo delle panchine in quello che vorrebbe essere un giardino, senza riuscirci. Qui le persone parlano tra loro una lingua a me sconosciuta, straniera.

Un’invasione nemica? Penso allarmato. Poi guardo meglio e vedo solo donne, pacifiche, ridenti, bionde e robuste. Non capisco!
Rimango a guardare i passanti. Le donne di questa città sono sempre state belle ma mi chiedo perché ora si travestano quasi tutte da soldato: stivali, braghe aderenti, giubbe imbottite e borse a tracolla per i dispacci.

A proposito di donne, cerco di raggiungere il Giardino delle Duchesse ma appena vi entro sono già pentito: che desolazione! Chi ha rubato la fontana dorata?

E il giardino del Pavaglione che fine ha fatto? Ma lo sapete che l’arte del giardino ai miei tempi aveva raggiunto un grado di perfezione assoluta? Non sto scherzando! L’isola del Belvedere, ad esempio, era un vero e proprio Eden, con piante e animali esotici attorno a costruzioni fiabesche. Mi hanno dedicato la strada che parte dal Castello e arriva fino alle mura: via Ercole I d’Este. Ciò lusinga e commuove anche un duro come me. La percorro lentamente e guardo a destra e a manca alla ricerca di testimonianze del mio tempo: sono poche.

Sul marciapiede di sinistra c’è una lunga fila di persone. Molte di loro, di tanto in tanto, consultano libretti o chiacchierano. Mi accosto per sentire di cosa parlano e sento un signore leggere ad alta voce: “Palazzo dei Diamanti fa parte dell’Addizione Erculea…”. Parlano ancora di me dopo tutto questo tempo! Noi sì, che sapevamo pensare in grande, vero Biagio?

Mi rendo conto che la fila arriva fino a Palazzo dei Diamanti e che un cartello con una grande scritta troneggia sul portone spalancato del palazzo. C’è scritto Francis Bacon ma non so cosa significhi.

Se mio fratello Sigismondo sapesse che dopo cinquecento anni c’è ancora una processione di curiosi che vuol visitare casa sua, ne sarebbe orgoglioso o infastidito? Mi sembra di sentire la voce di Biagio Rossetti chiedere con insistenza: “E chi l’ha progettato Palazzo dei Diamanti?”.

Al Quadrivio degli Angeli mi fermo. Davanti a me riconosco Palazzo Castello che ho regalato a Francesco Prosperi, il mio medico. Una vera furbata con la gamba ammalata che mi ritrovo! Guardo l’imponente portale e mi fa sorridere l’idea di imporre tanta fatica a dei poveri putti. Giù in fondo intravedo la Porta degli Angeli. Giro a sinistra e guardo il sole che tramonta all’orizzonte, tra due quinte di palazzi allineati e paralleli. Anche la strada che percorro è stata progettata da Biagio Rossetti: è l’asse che allinea Porta Mare a Porta Po. Vedo che, giustamente, gliela hanno dedicata.

LIBRO-FINALE-1

2 Commenti

  1. Silvana Onofri scrive:

    “Al Quadrivio degli Angeli mi fermo. Davanti a me riconosco Palazzo Castello che ho regalato a Francesco Prosperi, il mio medico” A Ercole I d’ Este ha fatto male viaggiare nel tempo, ha le idee confuse.
    .

  2. Feliciano C. scrive:

    E lo Duca rispose :
    Dovete adunque saper,gentil dama Silvana, che lo Duca vostro trovandosi da tempo con la panza vota,gli corse agli occhi nel giardino de Palaggio Grande, gran tavola adornata, cosa della qual non potea desistere,ma il ragionar cosciente,per colpa de li vini et le pietanze , mi fuggia leggiadro ch’io confusi l’uscio … vogliate gradir le mie sentite perdonanze .
    Ma di quel banchetto porto ancor dolore alle ganasce e di quel nettare vermiglio …che dir di più? più bevea più sete generava .
    Che portate :
    Pane uno intorto di late et zuccaro et uno biscotello.
    Di marzapani biscottati et pignolati pezzi 10 in piattelleti.
    D’insalata di spargi
    Fiandoncelli di cibibo et pignoli
    Pastelli ripieni di sturioni
    Tarantelli allesso con pressemoli.
    Barbioni accarpionati
    Vova dure spaccate per mezzo piene
    Milze di luzzo fritte con naranzi e canella et zuccaro sopra
    Manestra bianca d’amito,detta Diamante
    Pizze sfogliate catellane.
    e con somma harmonia et sommo piacere degli ascoltanti, che tre tromboni et tre cornetti continuarono fino a quando fu portata seconda vivanda …stava in questa guisa :
    Sfogliatelle di pignuoli con formaggio grasso
    Di luzzi allessi con sapor bianco et fiori di boragine sopra
    Seppa dorata in patti 10
    Rombi accarpionati con limoni tagliati sopra
    Lampredine fritte
    Tenche rivestite alla francese coperte con sapore di saba
    Et intanto che questa vivanda era in tavola fu sonata una dolzaina con un trombone et uno flauto alla alemanna…. per proseguir con la terza portata :
    Fiordiligi alla francese
    Suppe di cibibo in malvasia con zuccaro et cannella sopra
    Pallamida in potacchio,piattelle 7
    Sardelle di mare fritte con naranzi sopra
    Gambari grossi
    Sturione tagliato in padella et fritto in butiero con sapore anglese.
    Con maraviglia d’ognuno sonarono un’arpa ,un cavacembalo et un flauto a tanto che fu portata la quarta vivanda :
    Levatelli in 120 di numero
    Luzzi in vino alla fiamenga con cedro tagliato
    Risi alla ciciliana ,piatti 20
    Chieppe cotte su la gratella con suo sapore
    Panze di luzzi con aceto et prosemoli
    pastelle di fava fresche
    Codogni in quarto
    gelatia varia
    tregea di cannella et pistacchi et sementi di meloni et anesi di confetti bianchi .
    Poi la quintadecima portata …la sestagesima…la decimasettima…A questa vivanda cantarono quattro putti francesi e a seguir ancora di cucumeri,et altri frutti canditi … mandole et castagne.

    Capita poi che lo Duca vostro dal quadrivio sbaglia palaggio !
    Or con umiltà vi chiedo… ma chi è lo Signor McDonald’s del qual è stata dedicata
    Piazza Grande ??
    Qual gloria dir si puote del mecenate per far lustro di stemma araldico in bel veder ?
    Fosse che pur di egli avean nominar Duca ?
    Este Viva
    Civitas Vivat Nostra.

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