I battenti delle porte, la piazza del mercato, i tetti delle case. A riprodurre i connotati di una città viene spesso in soccorso lo strumento della fotografia. Specialmente quando la testimonianza di un’immagine riaffiora da un cassetto recuperando un tempo talmente lontano da sembrare ormai cristallizzato. Lavorando con curiosità, con pazienza e con la tecnologia all’epoca a disposizione, Dino Marsan, illustratore ferrarese e fondatore nel 2005 dell’associazione culturale Impulsesart, cattura spezzoni di vita del mercato di piazza Travaglio, fra bancarelle, venditori ambulanti, passanti e contrattazioni sul prezzo. Il materiale raccolto, dopo circa tre decenni, è confluito in un libro fotografico, dal titolo ‘I volti del mercato’. Ne abbiamo parlato con lui.

Come è nata l’idea di realizzare questo libro?
«L’idea è nata perché mi sono ricordato di un mio vecchio progetto. Un progetto iniziato quando avevo l’età di diciott’anni. Quando mio padre mi regalò una reflex della Canon. E io, che in quel periodo non avevo un lavoro fisso, decisi di andare alla ricerca di qualcosa che rappresentasse un insieme di persone in movimento. Così nacque il progetto di fotografare il mercato di piazza Travaglio».

Di che periodo stamo parlando?
«Le fotografie, tutte in bianco e nero, sono state scattate negli anni settanta».

In quale giorno della settimana si svolgeva il mercato?
«Ogni lunedì mattina, che fosse estate o inverno, c’era l’appuntamento classico del mercato. Io me ne andavo in mezzo alla gente in modo da osservare le situazioni più strane e interessanti. Come, per esempio, un signore che provava i sandali, con i piedi dentro una cassetta».

E le sue foto quali luoghi riguardavano?
«Allora il mercato si differenziava in tre aree. Quella in piazza Travaglio, quella in via dei Baluardi e quella al Baluardo San Lorenzo. Il percorso che ho seguito nello scattare le foto tocca proprio queste tre aree. E all’interno del libro fotografico c’è una mappa che disegna il percorso».

Cosa si vendeva in piazza Travaglio?
«Era una sorta di mercatino dell’usato. C’erano oggetti in ferro, in rame e in ottone. Attrezzi per il camino, pentole, bilance, paioloni per cucinare la polenta, ferri da stiro, reti per la pesca, stoffe, cappelli, monete antiche».

Foto di Pier Paolo Giacomoni

Quando arrivavano i venditori ambulanti?
«La mattina presto. Fra di loro c’erano tanti personaggi curiosi. Alcuni, più che all’aspetto del commercio vero e proprio, si dedicavano a intrattenere la folla raccontando storie e dando vita quasi a momenti di cabaret».

Da dove provenivano?
«Per la maggior parte da fuori Ferrara, in parecchi dal Veneto».

Come reagivano le persone quando venivano fotografate?
«Alcuni non se accorgevano, altri erano indifferenti. Una volta un mercante non era d’accordo e mi è letteralmente corso dietro».

Tutto questo materiale, raccolto negli anni settanta, come è finito in un libro edito nel 2009?
«Quando finivo di scattare le foto, nei vari mesi dell’anno, andavo in camera oscura per stampare. La mia intenzione era di organizzare una mostra dedicata alla realtà del mercato. La mostra però non è stata realizzata, ma mi sono rimasti i negativi».

Li ha conservati a lungo in un cassetto?
«Sì. E dopo oltre trent’anni ho pensato di realizzare un libro con quelle fotografie».

Cosa l’ha spinta a far pubblicare il libro?
«Il senso era di riportare alla memoria persone che per molti hanno rappresentato qualcosa all’interno di una comunità».

C’è stato qualcuno che si è ritrovato in alcune fotografie del libro?
«Un signore della provincia di Ferrara, dopo avere acquistato il libro, mi ha contattato per dirmi di essere il nipote di un uomo fotografato fra i passanti. Mi ha chiesto anche la stampa della foto».

C’è una foto del libro a cui è particolarmente legato?
«Quella che riproduce una vecchietta mentre prepara le mistocchine. Arrivò seconda in un concorso nazionale di fotografie».

Non era il suo primo progetto fotografico finito nelle pagine di un libro?
«Un paio di anni prima, avevo realizzato un libro, dal titolo ‘Alle porte di Ferrara’, usando una mia precedente raccolta di fotografie».

Su quali dettagli della città si era soffermato?
«Avevo compiuto una sorta di itinerario nel centro storico, fotografando tutte le maniglie e i battenti dei portoni che catturavano la mia curiosità».

C’era un filo conduttore?
«Anche in quel caso avevo inserito, nelle prime pagine, una mappa della città. Senza specificare però il luogo esatto dove la foto era stata scattata. Mi piaceva l’idea che fossero i lettori a individuare il punto preciso».

In quanto tempo ha realizzato le foto?
«Ho scattato le foto in un agosto di alcuni anni fa. Ricordo ancora il primo scatto che ha dato origine alla raccolta e al progetto. Il sole stava quasi per tramontare, la luce era morbida e mi sono imbattuto nell’immagine di una maniglia. Senza pensarci ho scattato la foto. Sono seguiti circa un migliaio di scatti».

Nel libro le foto sono accompagnate a testi?
«Ci sono interventi di figure note come lo scrittore Riccardo Roversi, la scrittrice Rita Montanari o l’attore teatrale Giuseppe Monteleone che accompagnano il percorso per immagini».

Le foto scattate sono tutte reali?
«Nell’ultimo capitolo, introdotto dalle parole del critico cinematografico di fantascienza Giovanni Mongini, ci sono immagini che ho elaborato al computer, che rimandano a un ipotetico futuro».

Che rapporto ha con la tecnologia?
«Mi piace utilizzare i mezzi che offre la tecnologia per mettere in pratica le mie idee».

C’è un’altra prospettiva fotografica con la quale raccontare Ferrara oggi?
«Nel mio ultimo libro, ‘Ferrara nell’occhio del gigante’, la città è ripresa in modo inusuale. Dall’alto, con un piccolo drone radiocomandato. Sono partito dal ponte sul Po, alle 6.30 di mattina, nel mese di agosto».

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