Mentre facevate la fila per vedere la premiazione di Maisa Saleh, mentre sonnecchiavate nella penombra del cinema Boldini di fronte al terribile documentario di Marshall Curry, mentre cercavate di darvi un tono e confondervi in mezzo ai giornalisti del Festival di Internazionale in pausa caffè al chiostro di San Paolo… a Ferrara una quarantina di persone stavano “hackerando il sistema del food”. Ebbene sì.

Voi probabilmente non vi siete accorti di nulla, impegnati com’eravate a schizzare dalla conferenza sulla guerra in Ruanda al dibattito sul cartello della droga messicano, ma è successo. Proprio qui, a due passi dal centro storico, esattamente all’interno di Palazzo Savonuzzi, Consorzio Wunderkammer, via Darsena 57.

Ma cosa vuol dire “hackerare il sistema del food”? Fortunatamente nulla che riguardi infilare puntine negli hamburger, e neppure farcire i cannoli di pasta dentrificia.

«Hacker è colui che porta alla luce ciò che stava nascosto, che scova il problema e lo analizza per risolverlo, per il bene di tutti. É un concetto applicabile a qualsiasi ambito, noi lo applichiamo al food». Così mi ha spiegato Nick Difino, pugliese trapiantato a Bologna, foodhacker del Future Food Institute, l’ente che ha organizzato assieme ad Amnesty International e Alce Nero la due giorni intitolata “Diritti alla terra”.

All’evento hanno partecipato una quarantina di persone – età variabile tra i 20 e i 60 anni, provenienze disparate, da Milano a Reggio Calabria, passando ovviamente per Ferrara – divise in sei gruppi di lavoro. Ma cos’hanno fatto esattamente? Cos’è successo? Hanno fatto un hackathon.

Foto di Manuel Turri

La prima volta che ho sentito parlare di questa iniziativa, una maratona di hacker, mi ero figurata centinaia di portatili connessi, ragazzi con la maglietta di Star Trek e le cuffie in testa che pranzano davanti al pc, dita impazzite sulla tastiera. Non ho trovato nulla di tutto ciò. Ho trovato: biscotti, pennarelli colorati, un bel sole, tante persone impegnate “nell’affrontare sfide intellettuali per aggirare e superare creativamente le limitazioni imposte” – il virgolettato si rifà alla definizione di hacker presente su Wikipedia, assolutamente in linea con quella fornita da Nick.

«Come Future Food Istitute questo è il terzo hackathon dedicato al cibo che realizziamo – prosegue Alessandro Pirani, organizzatore. Se non sbaglio l’unico precedente a livello mondiale è l’evento organizzato nel 2013 a San Francisco, al quale abbiamo partecipato e al quale ora ci ispiriamo, è un modello che proviamo ad importare. L’obiettivo è sovvertire alcuni meccanismi che regolano il mondo dell’alimentazione, meccanismi legati alla commercializzazione, alla qualità dell’alimento, al consumo. L’hackathon permette di riunire svariate persone interessate al tema, mescolare competenze diverse. Qui a Ferrara hanno partecipato soprattutto studenti e professionisti, tutti molto motivati e con una grande spinta valoriale. Il problema da affrontare era legato al costo nascosto del cibo: il cibo che troviamo normalmente al supermercato, quello convenzionale, costa meno del cibo equosolidale – quelli di Alce Nero lo chiamerebbero “cibo vero”. Come mai? La differenza la paga l’ambiente, l’ecosistema, la pagano le generazioni future. Ogni gruppo di lavoro – supportato dai facilitatori – ha lavorato su questo tema e sviluppato una proposta, la migliore verrà realizzata. L’hackathon non è un esercizio fine a sé stesso. È un laboratorio di co-progettazione. I soggetti promotori si assumono l’impegno di trasformare l’esito della maratona in qualcosa di reale».

I partecipanti durante la prima giornata hanno avuto la possibilità di confrontarsi con importanti ospiti italiani e internazionali. Giusto per citare qualche nome: lo chef Simone Salvini, Cinzia Scaffidi di Slow Food, il docente Unibo Giovanni Dinelli, il regista Jonathan Nossiter, la direttrice generale di Legambiente, Rossella Muroni, il giornalista statunitense Tom Mueller, il presidente di Alce Nero Lucio Cavazzoni. Nella giuria che ha selezionato il progetto vincente comparivano nomi come Alessandro Spaventa, amministratore delegato di Internazionale, Massimo Monti, amministratore delegato Alce Nero, Marco Santori, presidente della Fondazione Etimos, Andrea Segrè, direttore del Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna, e Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia.

Domenica pomeriggio all’interno del Mercato coperto è stato premiato il progetto vincitore, una applicazione mobile pensata per “smontare” la composizione del cibo inquadrato con la fotocamera del cellulare. La sua presentazione ufficiale avverrà a Milano a fine novembre.

«Sono stato veramente contento di questa due giorni – racconta Leonardo. Ci siamo impegnati molto ma ci siamo anche divertiti, soprattutto abbiamo avuto occasione di ascoltare persone molto preparate intervenire su tematiche fondamentali. Personalmente mi ha colpito l’intervento del generale Giuseppe Giove, comandante regionale delle guardie forestali dell’Emilia-Romagna, che ha parlato dei danni causati al terreno da un certo tipo di agricoltura intensiva e delle truffe che hanno portato sulle tavole del nostro territorio chili e chili di carne piena di medicinali. C’è bisogno che questo tipo di informazioni circolino di più, che ci sia più consapevolezza da parte dei consumatori. Fare la spesa è un atto politico, è come andare a votare».

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