Era buio
Era sordo
Era ovvio. Non era mai avvenuto che qualcuno si ribellasse a ciò.
Nel “vecchiomondo” non si vedeva, non si ascoltava, tutto era prestabilito e così, naturale.
Sul marciapiede dell’alto grattacielo che si stagliava sulla collinetta e sovrastava l’intera città, ginocchioni per terra, con gessetti colorati, un uomo “dipingeva angeli e paesaggi meravigliosi, pieni di sole, bambini felici, fiori che sbocciavano e sogni di libertà.”

Da tanto tempo, la gente della città si era abituata a quell’uomo, alla sua presenza su quel marciapiede, ai suoi dipinti così diversi. Qualcuno gettava una moneta sul disegno, qualcuno si fermava e osservava quel poco che filtrava dalla luce flebile della luna perenne.
E pensavano, pensavano alle loro preoccupazioni, alle loro speranze, ai loro bambini e qualvolta a quegli strani disegni che raccontavano un mondo a loro sconosciuto ma che pareva così sereno.

Un giorno, l’uomo, stanco di questo continuo affaccendarsi per nulla, in un buio che non lasciava trasparire l’anima dei sui dipinti, raccolse le sue cose e cominciò a salire l’altissima scala che arrampicava il grattacielo.
“Si riunirono tutti intorno a lui e lo guardarono. Lo guardavano ed aspettavano”.
Aspettavano di capire perché quel cambiamento, perché dopo tanti anni, quel giorno, avesse lasciato i suoi gessetti.
“Dove vai? Lasciaci qualcosa! Per ricordarci di te e dei tuoi disegni!” si stagliò un coro ai piedi dell’edificio.
Allora l’uomo estrasse dallo zainetto i suoi gessetti di tutti i colori, quelli che gli erano serviti per dipingere angeli, fiori e sogni, e li lanciò nel vuoto che lo circondava.
Ormai il tetto era vicino, vicinissimo.
Nell’ultimo tratto di scala ebbe paura, per la prima volta nella sua vita.
Le nuvole lo avvolgevano, lo intorpidivano, la inumidivano, rendendo la salita ancor più faticosa.
Ormai il cielo era ai suoi piedi.
E allora prese dallo zainetto un raschietto, grattò il cielo e scoprì il mondo.
Improvvisamente la luce entrò, un raggio illuminò la sua mano, il braccio, tutto si illuminò così velocemente. Continuò fin tanto che tutta la terra fosse illuminata e il buio che aveva sempre regnato scomparso.

Gli abitanti della città rimasero abbagliati da quei fortissimi raggi e stupefatti dalla bellezza del loro “nuovomondo”.
“E che cosa fecero dei gessetti colorati?
Qualcuno lo inquadrò, qualcuno lo portò al museo d’arte moderna, qualcuno lo mise in un cassetto, la maggioranza se ne dimenticò”.
Ma una ragazza trovò in quei gessetti un’opportunità: poteva essere l’occasione per raccontare la propria nuova visione della realtà nello spazio pubblico della città!

E così ha fatto Ippolita Franciosi, ferrarese di nascita e toscana di adozione.

I suoi gessetti sono la macchina fotografica e la voglia di raccontare storie nascoste. Non attraverso i suoi occhi di fotoreporter, ma attraverso quelli di chi vive il luogo raccontato.

Dopo tanti anni di fotoreportage ha fatto un passo indietro (anche se io lo definirei avanti!) non ricercando più il suo solo punto di vista.

A Ferrara non poteva non cogliere l’opportunità dei Grattacieli, così come a Napoli la realtà delle donne immigrate, e in Kosovo quella dei campi rom.

“Tante realtà diverse eppure è curioso vedere come in realtà e culture differenti, stesse tematiche siano interpretate dai bambini in modo così identico” mi dice. “L’acqua e la terra, per esempio, rappresentate con la stessa immagine: i piedi dentro la pozzanghera.”

Sarà perché il mondo visto dagli occhi di chi ci vive, e come nel caso dei Grattacieli di Ferrara visto dagli occhi di 40 bambini che in gran parte lì vivono, è un mondo disincantato, privo di pregiudizi, di costruzioni sociali, di tristezza, tante volte indotta.

Questo in mostra al Giardino Schifanoia (Giardino dell’amore), dal 28 settembre al 5 ottobre.

Foto di Francesca Mascellani

“Gratta il cielo e scopri il mondo” è un’occasione per raccontare la visione della realtà, quella dei bambini, in uno spazio diverso da quello dove sono state scattate le foto, i Grattacieli…

Il progetto, ideato dalla fotografa Ippolita Franciosi, ha trovato l’appoggio e il contributo anche dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ferrara, dell’Associazione Culturale Fotografia di Torino (in particolare di Dario Egidi, Letizia Rossi e Guido Siviero), di Ferrara Città Solidale e Sicura e il supporto musicale di Artan Rroku, giovane cantautore ferrarese, di origini albanesi, che ha inaugurato la mostra con un pezzo ad essa dedicato e dal quale trae il titolo. (clic per ascoltare qui sotto)


I veri protagonisti sono i bambini attraverso le loro fotografie. Due i laboratori tenutisi: uno preparatorio che ha dato vita ad un foto-collages che vuole rappresentare “i sogni bambini” sullo sfondo dei grattacieli; e quello prettamente fotografico per insegnare loro le regole base della fotografia per poter poi costruire uno storytelling di quel luogo.

La mostra, visitabile tutti i giorni dalle 11 alle 18, si concluderà Domenica 5 ottobre con, alle ore 11, la lettura di alcuni brani estratti da scrittori che hanno trattato la condizione dell’esule, dall’attrice Tatiana Lepore accompagnata alla chitarra dal musicista ferrarese Giorgio Felloni.

2 Commenti

  1. Alessia scrive:

    Molto bella la canzone di Artan. Vivissimi complimenti!

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