Indosso scarpe grosse, fuori stagione.

Sono marroni, di cuoio pesante.

Sono le scarpe di quelli che ne hanno un paio solo.

Dicevano i vecchi: scarpe grosse e cervello fine.

Ma era solo un detto.

Il mio passo è stanco.

Trascino il peso di un segreto.

Dentro di me porto la malattia.

Non ci penso, a quella, non voglio pensarci, ma è grave.

Non c’è più niente da fare.

 

Sono uscito di buon mattino, quando l’umidità è ancora nascosta, quando il sole non getta ancora afa sulle viuzze strette del centro, dove vivo. Ancora.

Sono uscito da solo.

Non voglio compagnia, oggi.

I portici a S. Stefano hanno l’ombra dei miei pensieri.

Vado oltre.

Via Cortevecchia.

Da Settimo son stato bene. Quante volte ci ho portato le ragazze. I cappellacci, le verdure alla griglia, la cotoletta grande quanto un piatto da portata.

Poi c’era quel tavolone dietro, per le mangiate tra amici.

Ricordo un quadro giallo e poi chissà cosa c’era…

Ma si stava bene, in compagnia.

 

Ora son solo.

 

Lascio stare il passato.

Il cielo azzurrino tra i palazzi verso la Cattedrale.

Il Listone adesso è mezzo vuoto.

Ma quanti bambini ci giocano al tramonto.

Sul Listone si vive.

Il Listone è per tutti.

Anche per me che avanzo a fatica.

Qui hanno rifatto tutto, per l’ennesima volta.

A me piace anche questa volta.

Il Listone.

 

Ero uscito per una boccata d’aria.

Poi nemmeno mi ricordo cos’ho fatto di preciso.

Forse ho bevuto un cappuccino, forse ho pronunciato silenziosamente una preghiera davanti alla chiesa.

Poi a ritroso, il Volto, via Garibaldi e di nuovo verso casa.

 

Una passeggiata. Di un uomo qualunque.

 

Non sapevo che sarebbe stata l’ultima.

Se l’avessi saputo forse avrei fatto un’altra strada, forse avrei pensato con attenzione dove andare, forse avrei radunato i ricordi e ne avrei scelto il luogo più bello da commemorare.

 

Ora, sono a casa.

Passeggio tra la stanza da letto, il bagno e il salotto.

Faccio passi corti, come quelli di un bimbo che incespica.

Mi appoggio a mia moglie o a mia figlia, a chi mi aiuta.

 

La malattia, inclemente, è arrivata.

 

Quella era la mia ultima passeggiata.

Nel cuore della città.

Nel cuore delle sue case chissà quanti, come me, passeggiano in silenzio tra una stanza e l’altra.

Chissà quanti hanno la fortuna di potersi appoggiare a persone amate.

A Ferrara, come nel mondo intero.

5 Commenti

  1. lucia scrive:

    un ricordo di famiglia che ancora una volta diventa memoria di una città. Mi piace la tua scelta di rendere pubblico quel che potrebbe esserci di buono per tutti

  2. Feliciano C. scrive:

    “Camminai per le tristi strade del tempo umano” .
    j. kerouac

  3. rita redaelli scrive:

    Io e chicco vi siamo vicine in questo momento di tristezza ma ricordate …non siate tristi perché vi ha lasciato ma ringraziate il Signore che ve l’ha donato!!! Con affetto Rita

  4. renata scrive:

    Ripercorro quotidianamente le stesse vie del centro, osservando con più attenzione ogni particolare che tu descrivevi minuziosamente………Tutto mi riporta a te! Ora mi devo abituare alla tua nuova presenza, così eterea e, nello stesso tempo, così pregnante…..

  5. manuel scrive:

    Complimenti , il titolo è favoloso , preciso e mi rispecchia e la poesia sono senza parole

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