Alcuni mesi fa ho intervistato quattro giovani ricercatori dell’Università di Ferrara in merito alle loro esperienze all’estero maturate grazie al Bando per Giovani Ricercatori, finanziato dal 5×1000 dell’Ateneo. È venuto fuori uno spaccato, piccolo ma rappresentativo, della situazione di molte ragazze e ragazzi italiani, costretti, prima o poi, ad emigrare all’estero per portare avanti i propri progetti di ricerca. Chiesi loro anche di provare a spiegarmi l’utilità, per i normali cittadini, di ricerche così complesse e specialistiche.

Ripensando a quelle interviste, ho meglio compreso il senso autentico della Notte Europea dei Ricercatori: avvicinare, non solo fisicamente, le persone al mondo della ricerca, spiegar loro perché è sempre importante per le nostre vite. E anche scoprire quante persone straordinarie, giovani e meno giovani, abbiamo nella nostra città, nei laboratori del nostro Ateneo, per conoscerle direttamente. D’altra parte, non sarà mica un caso se questo evento, nato nel 2005 grazie alla Commissione Europea, si chiama “dei Ricercatori” e non “della Ricerca”!

La Notte Europea dei Ricercatori è un’iniziativa svoltasi dal 22 al 26 settembre in circa 300 città europee (e non), dall’Islanda a Malta, dal Portogallo alla Turchia e a Israele, per un totale di 24 nazioni. Gli eventi sono stati sostenuti dalla Commissione Europea nell’ambito del Marie Skłodowska-Curie Actions, un programma dell’Unione Europea con l’obiettivo di incrementare l’attività scientifica dei ricercatori nel continente. In particolare, in Italia cinque sono stati i macro-progetti presentati: Dreams (presente anche a Ferrara), Luna, Sharper, Party don’t stop e Tracks.

Anche quest’anno la nostra città ha scelto Piazza Municipale per far incontrare, attraverso sette gazebo, il mondo della ricerca con il resto della cittadinanza, il tutto all’insegna della sostenibilità, filo conduttore di quest’edizione. Ininterrottamente per nove ore, dalle 15 alle 24, sono stati “spostati” i laboratori dell’Università nel cuore della città, con i ricercatori pronti ad accogliere le mille domande, e anche le critiche, delle tante persone accorse. C’è stato spazio per il divertimento e per l’approfondimento tecnico, per consigli pratici e per tanto stupore. Perché se alla Notte dei Ricercatori non si va con gli occhi di un bambino, non s’impara davvero niente…

“Perché siamo fatti di materia?” è la domanda che (si) pone Andrea Pesce, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra di Unife. Nel gazebo dedicato a “I progetti di sostenibilità di Unife” m’illustra lo scopo dell’European Corner lì presente, e poi mi parla del progetto internazionale “POLPBAR”, per la produzione di antiprotoni polarizzati. Il progetto, iniziato nel 2010 e il cui termine è previsto per il 2015, vede il Dr. Paolo Lenisa nel ruolo di Responsabile scientifico per l’unità di Ferrara, composta da sette membri, tra i quali lo stesso Dr. Pesce.

Foto di Giulia Paratelli

Mi sposto in un altro gazebo, in uno dei più attrattivi vista la presenza di diversi strumenti e la possibilità di assistere ad alcuni esperimenti. M’imbatto innanzitutto in una serie di pannelli fotovoltaici, o meglio in sistemi fotovoltaici a concentrazione, che per fortuna Paolo Bernardoni, Dottorando al Dipartimento di Fisica e Scienza della Terra, mi spiega con precisione. All’interno del gazebo sento, poi, strani rumori: è un tubo di Rubens, un tubo perforato alimentato a propano con un piccolo speaker all’estremità opposta. Quando viene acceso (con un semplice accendino) e un onda sonora viene generata dall’altoparlante, l’onda stazionaria crea alcuni punti fissi e altri in cui la pressione oscilla lungo tutto il tubo.

Non faccio in tempo a capacitarmene, che Marco Fiore, anch’egli Dottorando al Dipartimento di Fisica e Scienza della Terra, coglie la curiosità, mia e di molti, davanti alla “Cosmic shower”. Così scopro che una pioggia continua di particelle microscopiche e invisibili provenienti da punti remoti dell’Universo mi attraversa di continuo, e che questa strana doccia non fa che rilevarle e trasformarle in segnali elettrici.

Poco più avanti un gruppetto di bambini m’incuriosisce; mi avvicino e vedo un banchetto con alcuni microscopi, oltre a…rane turche, girini, bottigliette con larve, coleotteri e mosche! È lo stand delle “Ricerche e metodiche sostenibili per il controllo delle malattie da animali”, con ampio spazio dedicato alla Musca domestica. Qui è Marilena Leis, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie, a rispondere ad alcune mie curiosità.

Lo stesso Dipartimento è presente anche per illustrare il progetto I.D.E.A.S. (Innovation and Development for Agri-food Security), sviluppato da un gruppo di ricercatori e consulenti dell’Università di Ferrara, riguardo alla tracciabilità analitica nell’ambito agroalimentare. Tra questi vi è anche Marco Malavasi, il quale mi spiega l’importanza per il consumatore di avere informazioni sui prodotti che consuma (origine, produzione, trasformazione, flussi fisici, oltre ad analisi fisiche, chimiche e microbiologiche), con un occhio di riguardo al nostro territorio. Tutto ciò, è questa l’idea, attraverso un QR-code presente sulla confezione o direttamente sul prodotto, da leggere attraverso un semplice dispositivo mobile (smartphone o tablet).

Per concludere, è Dario Di Giuseppe, assegnista al Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra, ad introdurmi in un altro stand. Innanzitutto mi parla di tre progetti finanziati nell’ambito del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia – Slovenia 2007-2013: ASTIS (Acque Sotterranee e di Transizione Isonzo), GOTRAWAMA (Gestione delle acque transfrontaliere dell’area urbana di Gorizia e Nova Gorica) e GEP (Sistema informativo territoriale congiunto per la protezione delle risorse d’acqua potabile in casi di emergenza). Oltre a ciò, grazie a lui vengo a conoscenza del progetto ZeoLIFE (Ciclo integrato delle zeolititi come soluzione al problema dell’inquinamento da nitrati e per il risparmio idrico in agricoltura), finalizzato appunto ad “un miglioramento della resa e ad un risparmio sia di fertilizzanti che di acqua irrigua, con conseguente riduzione dell’inquinamento delle acque superficiali e di falda e un minore spreco delle risorse idriche”.

Un pomeriggio ed una sera, dunque, nelle quali decine di ricercatori e di studiosi del nostro Ateneo hanno avuto l’occasione di dimostrare come non esistano solo “cervelloni” o “baroni” nel mondo universitario, ma tanti giovani interessati non solo a dare quotidianamente il proprio contributo alla ricerca, dunque alla comunità, ma anche a interagire faccia a faccia con i cittadini, vale a dire con coloro che, direttamente o indirettamente, finanziano in parte la ricerca, e che usufruiscono dei risultati delle sempre nuove scoperte.

Per concludere, vorrei fare una riflessione. Nella sopraccitata intervista la questione sull’utilità pubblica della propria ricerca ricordo di averla posta con ancor maggiore curiosità al giovane studioso di Lettere classiche. Molte persone (a prescindere dall’età e dall’estrazione sociale), infatti, fanno davvero fatica a comprendere l’importanza di ricerche sulla civiltà europea medievale o sull’opera di Shakespeare, sul cinema hollywoodiano o sul pensiero hegeliano.

Venerdì scorso in Piazza Municipale era presente un gazebo “Cultura della sostenibilità e sostenibilità nella cultura”, nel quale sono intervenuti, tra gli altri, due rappresentanti del Dipartimento di Studi Umanistici. Penso possa essere molto utile, nelle prossime edizioni, dare maggiore spazio a progetti di dottorandi ed assegnisti “umanistici”, i quali, pur non avendo nessun approccio diretto con la ricerca tecno-scientifica, risultano altrettanto – se non ancor più – fondamentali per lo sviluppo dell’identità, dello spirito e della cultura di una nazione e di un popolo.

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