In questa settimana di fine agosto dominata dalle note dei tanti musicisti provenienti da ogni parte del mondo, ho provato a immaginare le loro musiche, i loro balli come un sottofondo, certamente importante, ma comunque secondario. Ho provato a percepire le variopinte diversità musicali come un’unica nenia in fondo un po’ distante, che man mano si perde, si confonde, si assottiglia nell’insieme. Un frastuono armonioso, utile come accompagnamento, cornice di qualcos’altro. Questo altro è un’esplorazione delle forme artistiche che esulano da un approccio musicale. Ho privilegiato questi artisti – perché questo sono, niente di più niente di meno – che navigano vicini ai tanti solisti o gruppi, a torto o a ragione posti come centrali nell’immaginario dei Buskers. Vicini ma distinti, sempre al largo.

Disseminato tra le vie e le piazze del centro, l’alter busker può incutere timore, mistero o può far ridere. Può urlare, intrattenere, sussurrare o leggerti gli occhi, le mani, le orecchie, l’anima. Mentre passeggi per i luoghi che il resto dell’anno consideri alla stregua di un’estensione del tuo salotto, un mazzo di palloncini può spuntare a ostruirti la via, oppure bolle giganti dall’ignota provenienza scompaiono nel contatto col tuo corpo. Una fiamma può divampare oltre un palazzo a te familiare, un urlo spezzare il vocio della folla. O un’imberbe fanciulla prodigarsi in ritratti di volti più o meno comuni, più o meno santi, barbuti poeti – rigorosamente indigeni – scrivere poesie leggendo nella tua psiche, nel tuo spirito.

Un giovane con fare ispirato, sorridente di un sorriso quasi maligno, mi si avvicina sardonico con in mano un piccolo vaso contenente braci infuocate. Nell’approcciarsi al mio, il suo viso diventa enorme, il naso e il mento si fanno più sporgenti, gli occhi paiono dilatarsi. “Vuoi mangiare?”, mi domanda allungandomi una brace infuocata. La fiamma subito si allunga, s’inerpica su se stessa. Con teatrale dispiacere, il viso ormai da satiro accompagna il ritrarsi della mano. Gli zampilli cadono sull’asfalto di via S. Romano: ora sono di tutti. O li aggiri, per non bruciarti, o li ammiri, ti soffermi a osservarli. In ogni caso, ormai ci sono, eccoli, sono di tutti. Ci inquietano e ci affasciano, ci scaldano turbandoci. Illuminano la nostra curiosità sempre nuova e sempre un po’ vigliacca. Sono perlopiù silenziosi.

Ecco, così è l’alter busker che sono andato a scovare in queste sere. Inquietante e caloroso al tempo stesso. È l’artigiano del legno, della creta, del cuoio. È il mimo, il madonnaro, il giocoliere. La statua vivente, la cartomante, il poeta di strada. Il clown, il funambolo, il ritrattista.

Foto di Giulia Paratelli

Vi può essere uno scambio totale tra loro e chi li osserva, li scruta o con chi v’inciampa. È una babele di volti mascherati, spesso anziani, estasiati, in attesa, un fremere di mani callose, sporche, di occhi ridenti, di altri celati, di pause e di silenzi, di urla, di oggetti che parlano immobili, di disegni sul selciato che solo la pioggia laverà, di ritratti che fra tanti anni ritroveremo in una scatola abbandonata in soffitta.

Hanno carrettini pieni di palloncini, di calze fatte a mano, di tarocchi, di monete, di gessetti, di rose, di trecce, di copertoni, di bolle e di creta. Sono giovani e sfrontati, sono anziani e burberi, litigano con altri giocolieri, azzardano un dialogo, si celano gli occhi dietro le tinture, li espongono nudi, si mostrano al tempo stesso falsi e senza remore, bambini disincantati. Ritraggono bestie e bambine, incorniciano volti di punk e di santi, si nascondono dietro le sembianze di angeli neri o di Pippicalzelunghe.

Siedono su ruote giganti, cuciono pelli animali, disegnano quasi stravaccati, sono sporchi e irriverenti, abbozzano sconcezze, brontolano ai bambini, si travestono oscenamente e regalano fiori. Appendono maschere di Topolino, legano capelli, indossano mascherine, stendono tappeti, sputano fuoco, ballano sui trampoli e fanno impazzire bambini.

Cos’altro ancora? Ah, dopo un po’ se ne vanno. Al tramonto, o a cavallo di mezzanotte. Di sicuro di domenica, in un giorno come questo. Sono come quei tre Pulcinella giganti, festosi e turbolenti, teneri e sprezzanti, che con la loro barca volante si perdono in fondo alla via. Meglio non seguirli oltre. Il loro carrozzone svolta l’angolo, e addio, o meglio alla prossima. Se siete stanchi di ascoltare, potete ammirarli, finché sono qui.

2 Commenti

  1. una lettrice scrive:

    “Un’imberbe fanciulla”…? Spero ben che siano imberbi le fanciulle!! Siamo al Buskers Festival, mica al circo dei freaks!!

  2. Andrea Musacci scrive:

    Cara “lettrice” senza nome, l’aggettivo “imberbe” possiede non solo un significato letterale ma anche uno figurato. A Lei la ricerca di quest’ultimo.
    Grazie,
    Andrea

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