L’articolo è stato scritto nell’ambito del progetto Backup di una Piazza

Fuori dalla finestra, le nuvole scaricano un energico acquazzone di giugno. Oltre la porta, invece, dalle pagine di un vecchio giornale riaffiorano lontane notti d’agosto. Un salto indietro nel tempo, breve e intenso come la pioggia che trafigge i rami degli alberi in via Mentessi. Nella nuova sede dell’associazione ‘Ferrara Buskers Festival’ le telefonate si susseguono frenetiche. Stefano Bottoni mi porge una copia de ‘La Voce di Ferrara e Comacchio’ del 1988. Le immagine pubblicate restituiscono un altro pezzo di storia del Festival. Fotogrammi di un evento, la cui prima edizione era un’autentica scommessa. Gli mostro l’elenco degli artisti che, quell’anno, animarono il centro storico. Al nome di alcuni di loro, l’aneddoto è dietro l’angolo.

Qual è il primo gruppo che ricorda?
«Beh, intanto direi gli ‘Auriol String Quartet’. Un quartetto di musica classica proveniente dall’Inghilterra».

Come si è creato il contatto?
«Dobbiamo tornare indietro nel tempo a quando lavoravo in officina e costruivo infissi in ferro. C’era una signora inglese, un tipo alla ‘Miss Marple’ dei romanzi di Agatha Christie, che si era trasferita da Londra a Ferrara per un lavoro della durata di circa un biennio. In un’occasione mi disse che l’appartamento londinese che aveva lasciato, lo aveva preso in affitto una ragazza molto brava a suonare il violoncello. Ebbene la violoncellista, che faceva parte di un’orchestra che è stata anche diretta da Claudio Abbado, ci fece sapere che sarebbe venuta a Ferrara con il suo gruppo. Quando ancora non c’erano internet e i social network, avevamo trovato un gruppo non dilettantistico».

Proseguiamo con un altro artista?
«Ricordo con affetto Ray Austin, un musicista inglese folk e blues che suona a Friburgo, in Germania, e che proprio nell’edizione dell’anno scorso è tornato a Ferrara per festeggiare i suoi settant’anni di età».

Come è arrivato a suonare al ‘Ferrara Buskers Festival’?
«Avevamo raggiunto un accordo con lui prima che iniziasse la manifestazione. Le sue parole al telefono furono: “Se sono libero, passo per te!”. Poi non si fece più sentire. In quel periodo la nostra segreteria artistica era a Casa Cini. Un giorno vado a trovare don Ivano Casaroli, direttore de ‘La Voce di Ferrara e Comacchio’. Sul divano del suo ufficio c’è questo signore con la barba e con la chitarra al suo fianco. Si alza, mi stringe la mano e scandisce il suo nome. “Ray Austin!”».

Da dove arrivava?
«Da un evento vicino Friburgo».

Come ha vissuto l’evento di Ferrara?
«Molto bene. Si è creato presto un ottimo rapporto con noi. C’è stato un momento, l’ultima notte della prima edizione, dove Ray ha organizzato una jam session in piazza Trento e Trieste. Poi tutti gli artisti hanno preso parte a una carovana che si è riversata davanti alla cattedrale».

Foto di Beppe Benati e Riccardo Frignani, tratte da ‘La Voce di Ferrara e Comacchio’, settembre 1988

Qualche altra storia legata ai primi buskers?
«Ricordo il gruppo canadese ‘Old Hat’. Della loro vicenda hanno scritto anche i giornali. Un componente del gruppo incontrò suo fratello proprio qui a Ferrara. Erano rifugiati politici, fuggiti da Praga nel 1968. Attraverso un evento come il ‘Ferrara Buskers Festival’ si sono potuti ritrovare».

L’artista più insolito?
«Mi viene in mente, scorrendo l’elenco, lo statunitense Nicolas Magriel. Suonava uno strumento indiano a corda, il sarangi. Al tempo stesso muoveva una marionetta. Un autentico ‘one man band’. Fu l’artista più fotografato».

C’è un’altra esibizione che ricorda?
«Quella di Daniel Palhegyi. Un suonatore ungherese di musica classica e folk. Suonava il flauto di Pan, con una candela di fronte, sotto la statua di Savonarola. Appena arrivò mi chiese se ci fosse un teatro dove suonare».

Un nome fra gli artisti italiani?
«Marco Coppi. Un flautista italiano, oggi molto famoso, che venne da Bologna a Ferrara. Artisti come lui mi fanno pensare a quanto sia importante la parte umanizzante all’interno di un sistema».

E fra gli artisti stranieri?
«I ‘Ghostbuskers’. Un gruppo composto da due musicisti olandesi che piacquero molto al pubblico. Ricordo che, tempo dopo, si sposarono con due ragazze italiane. Credo che oggi vivano in Toscana».

C’è un dettaglio del ‘Ferrara Buskers Festival’ legato a piazza Trento e Trieste?
«Era l’inizio della settimana di quella prima edizione. Nel pomeriggio di martedì notai una particolare che mi diede l’idea che stava per succedere qualcosa di importante. In piazza, davanti al palazzo che oggi ospita il ‘McDonald’s’ e allora ospitava l’Upim, si fermò una macchina della Rai. Ricordo il colore dell’epoca, argento metallizzato. Proprio in quel momento ebbi la sensazione che l’interesse per il Festival fosse crescente. Il giorno dopo, mercoledì, eravamo sul Tg3 regionale. Giovedì eravamo su Rai 2. Quella telecamera non era soltanto un mezzo ottico, ma lasciava passare il messaggio che il servizio sarebbe stato visto da un grande pubblico. Sabato, piazza Trento e Trieste era stracolma».

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