Eccomi, sono ancora qui. Disteso su una spiaggia senza padroni, vuota, quasi desolata. Dove nessun ombrellone assomiglia a un altro. Dove come apolidi ci si esclude dalle file serrate dei bagni super-organizzati.
Sempre qua a ricordare, o meglio a ricercare un ricordo. Come nella sabbia, però, più scavi per riprendere qualcosa, e più questo sprofonda. Come ogni anno si rinnova l’inganno con il mare, dunque, questo luogo mai definito, con una forza attrattiva ineguagliata, e con un potere, altrettanto forte, di lasciarmi, da bambino, la scia del ricordo persino nelle cupe sere invernali.

Provo dunque a creare una storia, a rielaborare un discorso, ora, a trent’anni, che al mare ci vado in macchina, con più libertà ma con molti meno sogni. Che invidia i bambini che giocano a calcio sulla sabbia. Vedo un pallone che rotola e lo seguo con gli occhi, vorrei giocare anch’io. Beati loro. Poi ci sono i bambini un po’ più grandi i quali invece che sfidarsi in un gioco nobile e divertente come questo, si sfidano sulle passerelle senza nome, a gridare coi loro corpi le ultime mode, le nuove conquiste.
Cesenatico è per me il luogo estivo per antonomasia, la terra dei tanti sogni e delle prime profonde malinconie, dei primi rimpianti. Vi ho trascorso le prime sedici estati della mia vita.
Si rinnovano comunque anche qui, nei nostri lidi ferraresi, alcune tenere visioni di anziani imperterriti a crogiolarsi fin quasi al tramonto. Delle famiglie numerose, delle bande di giovani senza paura. Delle bianche tedesche e dei ragazzini che sfrecciano nei pochi centimetri liberi tra la folla.

Mi distendo sul telo e il vento sprezzante inizia ad incedere con forza. Sferza e fiacca questo vento a fine giornata, più dello stesso sole. Tedia, lascia senza forze, sopisce, sfibra. Si riaffacciano, in questo stato di tenue stordimento, alcuni frammenti delle estati da bambino, così differenti, di certo più poetiche, di una poesia inconsapevole. I discorsi, le grida degli altri bagnanti o dei tanti venditori ambulanti mi trattengono ancora qua, impedendomi di scivolare del tutto nel sonno, col rischio che, poi, se scavo non riaffioro più.
Non sarebbe poi male potersi alienare un po’ in questa sabbia ancora un po’ umida dalle piogge del giorno precedente. Osservare, con distacco, il brulicare smorzato intorno a me.
Qui ogni vociare è attutito da quel vento e da un eco sordo, quasi surreale.
Per un istante ricordo quelle notti a dormire con pochi amici ai bordi della spiaggia, piccole ribellioni, sonni semiclandestini. Quelle notti bianche in giro a dondolarsi per le strade e quelle crudeli mattine già pulsanti di vita, di troppa vita, accese da troppa luce, da troppi mal di testa. Desiderare di dormire, di ridistendere gli occhi e le membra senza riposo.

Al mare ogni sensazione sembra amplificata, ogni cosa acquista più sapore, i sensi sono strumento di questa irrisione, di questa illusione. Gli aghi di pino sul selciato, gli obelischi che tutti odiano, e ai quali sono affezionato. I filari di alberi, il ponte del canale di sera, quella striscia di petrolio illuminata dalla luna. Il trenino rosso, il negozio di scarpe dove fino all’anno prima resisteva una stoica edicola. Le tremende luci viola su viale Carducci e, dietro, la luna, immersa in un mosaico di nuvole. Il sogno di Giosuè Carducci, che nessuno vede, in alto su un palazzo. “Sognai, placide cose de’ miei novelli anni sognai”. E poi gli appartamenti in affitto, i negozi vuoti, anch’essi senza più padrone.

Si volge a conclusione questo rito senza eguali, sempre al limite delle forze, e mai del tutto senza ricordo. In macchina la radio trasmette, come nel viaggio d’andata, “Wild horses” dei Rolling Stones, in una combinazione che tanto m’inquieta quanto mi fa sorridere. “Childhood living is easy to do”, l’infanzia è un lido più facile da attraversare, forse.
Imbocco la lunga strada buia, che fende nella sua fuga la campagna ferrarese. Si squarcia l’orizzonte e i fulmini riempiono il cielo petrolio, come il canale, come il mare. Son passate dodici ore dalla partenza, dall’inizio, da quella luce che avvolge ogni proposito, dentro la quale tutto è ancora da fare, lontano dall’essere compreso.
Ricordo anche due occasioni nelle quali mi trovai qui, sempre a settembre, con la pioggia, come il finale di una festa. Un’arena che si svuota. Una volta le strade di Estensi si allagarono, come a spazzare via, a ripulire lo sporco dei giochi, le troppe parole dette, le troppe vacue promesse fatte.
Eppure si vive anche senza mare, si mangia, si dorme, si sogna anche lontano da esso. Ma a noi sembra non riuscirci quando ripartiamo. Da bambino la gola pareva strozzarsi nella malinconia del ritorno. Ora non più, attendo solo che arrivi l’inverno per poter dire, senza crederci più di tanto, “mi piacerebbe tornare al mare”.

Il viaggio di ritorno, nel cuore del buio, nella campagna spenta con i lampi delle macchine. À rebours, a ritroso rispetto allo slancio, alla vita, al sogno, all’illusione. A fendere, a fuggire di notte nella lunga e ritta strada dove la pianura ferrarese si spalanca. Un fuggire tra il sonno e la veglia, col timore di dimenticare e di chiudere quella feroce, seppur parca, illusione.
E lo si lascia sempre lì il lido, che pretendiamo sia nostro, solo nostro. Arrivi la prima volta, d’estate, al mare, e t’illudi sia ancora il tuo mare d’infanzia, sia ancora un gioco, quel mostro idealizzato.
Un luogo tanto prossimo quanto remoto, sempre perduto è invece il mare. Le membra paiono ancora arse, sempre più svuotate, languide e pigre. Ormai prossimo a casa, alcune goccioline di pioggia si posano sul vetro della macchina. Vorrei che entrassero dentro, lavassero il ricordo senza annegarlo, senza annacquarlo. Il ricordo del tuo corpo, ragazza, sulla rena, un grido in un’immagine.
Se potessi svegliarmi, ogni mattino, col tuo corpo a coprirmi quell’orizzonte sferzato dal vento ardente, e ritrovare, oltre il tuo viso, la linea del mare color petrolio.

3 Commenti

  1. feliciano callegari scrive:

    Era da tempo …da parecchio tempo, che non leggevo frasi così belle,intrecciate l’un l’altra come un vecchio e prezioso tappetto persiano.
    Ma qui il mare ( e credo di non sbagliarmi) non è nient’altro che un “attore non protagonista”,una comparsa,un ponte..un sentiero che non può far altro che condurre alla sospensione dei sensi. Chiamiamolo contorno, un contorno ovattato dove riporre le emozioni . La pioggia, la pioggia…la pioggia che colpisce il vetro dell’auto al ritorno …quella che dovrebbe “lavare il ricordo senza annegarlo”… quella,per me, è la vera protagonista del suo racconto !
    La pioggia sa essere insopportabile, ma quando insiste, bagna sempre la bocca dei poeti.
    E attenua “le sferzate dei venti ardenti”…almeno fino all’aurora.

    Complimenti Sig. Musacci, sinceri complimenti, non credo di esagerare se dico che questo racconto è senz’altro uno dei migliori passati su questo Magazine.
    È riuscito ad emozionarmi … e alla mia età non è poi tanto facile.
    Ci riuscì Corrado Calabrò con un suo libro di poesie intitolato “Mi manca il mare”…
    Ci riuscì Harvey Keitel nel Mercante di Pietre,recitando sempre una poesia di Calabrò , e anche lì la pioggia … :

    “Amore che alla gola mi sorprendi
    come si scopre d’essere feriti
    dalla macchia di sangue che s’espande
    -batte come i battiti del cuore
    questa pioggia battente-
    Amore che mi scorri nelle arterie
    e crei l’effetto notte nella mente
    -batte come i battiti del cuore
    questa pioggia insistente che ricolma
    tutti i fiumi i fossi i canali e
    tutte le bacinelle della terra-
    Oh
    batte come i battiti del cuore
    questa pioggia battente che dilava
    tutte le scale i vicoli le piazze
    e tutte le autostrade della terra
    e senza chiedersi in che stagione siamo
    e che cosa ne pensa la gente
    scorre e scorre eppure è persistente.”

    Grazie di nuovo per la bella lettura … e perdoni le mie paturnie… sa com’è…la luna d’Agosto.
    Un Saluto

  2. Andrea Musacci scrive:

    La ringrazio molto per le Sue parole, io non ne trovo altrettante per ringraziarLa adeguatamente. Ha colto benissimo ciò che intendevo raccontare.
    Grazie ancora,
    Andrea

  3. Kim Il Sung scrive:

    Sei un personaggio bidimensionale. Ma soprattutto sei il sosia di Tom Bray di Riptide.

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