Mio padre è nato a Ferrara.
Era il 1943.
Il suo maestro sosteneva che non sarebbe nato nulla di buono da quella generazione perché, si sa, la guerra era appena finita.
Mio padre ha settant’anni e il maestro aveva torto.
Negli anni sessanta, rimasto orfano a diciannove anni, ha preso la sua valigia da migrante perché in città non c’era lavoro per lui.
Così, in una fredda mattina autunnale è partito verso il Nord, dove il boom impazzava e dove il perito chimico Mezzadri Alberto avrebbe avuto svariate opportunità professionali. In effetti, il contratto arrivò in breve tempo, ma ogni fine settimana correva a Ferrara.
Aveva nostalgia degli amici e della cucina.
Soprattutto, a Ferrara era a casa, mentre in Brianza era uno straniero.
Forse quella fu una ferita mai sopita.

Io sono nata, lassù, in Brianza.

Quando papà mi parlava di Ferrara, sentivo l’emozione nella sua voce.
Da bambina, mi faceva una certa impressione.

In fondo, papà, quando guardava la Brianza, si sentiva diverso.
Si sentiva un pesce fuor d’acqua, ma questo, lo compresi più tardi.

Dai papà, raccontami cosa c’è a Ferrara, gli chiedevo nei tragitti in macchina.
Allora il suo viso si illuminava e con il tono pacato e con una dolcezza rara a vedersi negli uomini iniziava il racconto.
Chiudevo gli occhi e la magia iniziava a popolare la mia mente.

A Ferrara c’è un castello, un grande castello proprio in centro città.
C’è il fossato, con il ponte levatoio, i cannoni e persino le prigioni sotterranee.
Io piccina immaginavo gli abiti sfarzosi delle gran dame, le sale da ballo e il duca seduto sul trono.
Ma papà, sparano ancora i cannoni?
Papà sorrideva e proseguiva.

A Ferrara c’è un palazzo storico in una via piena di ciottoli. Si chiama palazzo dei Diamanti. Sono caduto, sai, una volta? Mi si è bucata una gomma della bici e per fortuna c’era Marietto…
Era scontato per me che il palazzo fosse ricoperto di diamanti, che la luce filtrasse e risplendesse per tutta la strada e che fosse una dimora preziosissima. La più bella del mondo.

A Ferrara c’è un pane speciale. E’ diverso da quello che compriamo qui. Quando ti ci porto, vedrai come sarà buono.
Così questo pane diventava, nella mia fantasia, un pane dolce, squisito che nessun fornaio del pianeta avrebbe mai e poi mai eguagliato.

A Ferrara si mangiano dei ravioli fatti con la zucca che chiamano cappellacci, poi c’è un salame cotto che si mangia con il purè. A me piace tantissimo. Si chiama salama da sugo.
Io pensavo che fosse un nome strano (salama al femminile, non mi tornava proprio) e che secondo me il salame con il sugo non stesse molto bene, ma papà era così sicuro che alla fine non osavo contraddirlo.

A Ferrara tutti vanno in giro in bici, mica come qui che devi prendere la macchina sempre e c’è traffico dappertutto.
Così per me, alle prese con la mia bici, senza rotelle, sembrava la città ideale dove si potesse scorrazzare liberamente per le vie, senza tutte quelle regole e divieti che dovevo scrupolosamente osservare a casa mia.

A Ferrara, ci sono tutti i miei amici.
Ma quanti amici hai? Chiedevo io, convinta che i veri amici si incontrano tutti i giorni.
Beh, c’è Marco, Marietto, Gabriele, Pierfraz, Guido….
Solo in seguito, da donna, ho capito che l’amore va oltre le distanze. Allora, mi sembrava un po’ strano.

La mia curiosità bambina diventava sempre più forte.
Sentivo che il mio papà aveva delle storie diverse da raccontare.
Parlava di quando era giovane, di quando cantava con i suoi amici, di quando andava in giro con la sua vespa e un po’ la voce si incrinava, ma non lo dava a vedere.

Finalmente arrivò la visita a Ferrara.
Il ricordo è rimasto indelebile nella mia memoria.
Fu una delusione cocente.
Non c’erano i diamanti, il pane sapeva di pane e al castello erano tutti vestiti come persone normali.

Ricordo la mia innocente esclamazione: ma papà, il pane è pane!!!!, accompagnata dal successivo sguardo di sufficienza di mio padre, che commiserava le mediocri capacità delle mie papille gustative.

Sono passati tanti anni.
I miei genitori fecero tredici traslochi.
Tredici pezzi di vita, tredici esperienze di mondi sempre uguali e sempre diversi.

Il quattordicesimo fu, come un ritorno, a Ferrara.

I miei nonni sono sepolti alla Certosa.
La mia famiglia è tornata.
Io stessa vi ho vissuto per un po’.
Poi, come mio padre, ho fatto la valigia e sono emigrata.

Quando le mie figlie mi chiedono com’è Ferrara, mi schiarisco la voce e parlo del pane, degli amici e di quel castello. Realtà e fantasia abitano i miei racconti.
I bambini respirano quel che i grandi hanno nel cuore.

Di tutti i luoghi in cui ho abitato, se penso a una patria, quella è Ferrara.

Ferrara, che come un padre mi ha costretto a crescere e ad andare lontano.
Ferrara, che come una madre è sempre pronta ad accogliermi ad ogni fugace ritorno.

13 Commenti

  1. Andrea Forlani scrive:

    Grazie Francesca, bellissimo pezzo.

  2. Stefano Celada scrive:

    Bellissimo.

  3. caplaz scrive:

    Grazie x questo bellissimo scritto Francesca!!io ho vissuto x 18 anni fuori Ferrara.. non lontanissimo.. ma in una realtà diversa sotto molti aspetti.. io x 18 anni ho sempre ripetuto..”noi Ferraresi”con un orgoglio da migrante.. tornata poi, quell’orgoglio si è trasformato..nella consapevolezza di vivere davvero in una città magica..con i suoi limiti.. ma la magia è rimasta intatta!!Una persona a me cara ,una volta mi disse che il Ferrarese è come un albero..con le fronde sparse verso il mondo..ma con le radici piantate sotto il fosso del Castello. buona vita

  4. a.binder scrive:

    Come erano “una volta” i bei racconti per ragazzi? Come questo 🙂
    Se ne coglie il profumo, l’essenza insomma. “I bambini respirano quel che i grandi hanno nel cuore”. Mario Lodi applaudirebbe.
    Ma credo che anche gli adulti respirino, ed avrebbero necessità anch’essi di articoli costruttivi, che infondano speranza e stupore per le cose del mondo.
    Complimenti !

  5. Paolo scrive:

    Chi ha vissuto lontano da Ferrara,per scelta o per forza,non può non condividere le emozioni nel leggere questo tuo racconto.Io ho vissuto a Milano per dieci anni poi sono ritornato,ma anche se sono nato e abito a Bondeno Ferrara rimane il mio riferimento,e al mio ritorno la sensazione è stata quella di riscoprirla come mai prima.E la ritrovo in questo racconto,brava Francesca.

  6. saranini scrive:

    Bellissima Fra!!! Complimenti..♥

  7. claudia carrara scrive:

    emozione….come una bambina sorrido… meraviglia…come esser nel racconto…grazie…una folata d’aria fresca quando ti leggo. un bacio un sorriso un abbraccio…. ti si pensa tanto.

  8. Bobo Merenda scrive:

    Bel pezzo Frenci, reso ancora più valido dal giudizio di chi il mondo l’ha visto MOLTO più di molti ferraresi

  9. Francesca scrive:

    Complimenti, bellissimo..

  10. lucia scrive:

    ricordi di famiglia che diventano memoria di una cittá….grazie per condividerli con noi. Con cosa ci sorprenderai nel prossimo scritto? Restiamo in attesa

  11. renata scrive:

    A quando un nuovo racconto?
    Desiderio di parole reali ed essenziali che giungano dritte al cuore con il loro profumo.
    Rimango in attesa………..
    GRAZIE

  12. bassan emanuela scrive:

    Bellissimo articolo. Anche se sono una vecchia “ragazza”, questo racconto mi ha fatto tornare ai ricordi d’infanzia.

  13. mary scrive:

    carissima…sai dire a parole ciò che fa battere il cuore!!!GRAZIE!!!!!!

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