Esserci in un paese straniero, “come ospiti”, significa sentirsi accolti e non si può di certo esserlo a prescindere e tanto meno imponendolo.

Spesso le persone che si avvicinano al mondo del volontariato lo fanno in un momento della loro vita nel quale necessitano fortemente “vivere” un’esperienza forte. Ciò avviene in modo naturale, ma più o meno consapevole, e per questo si ha anche una certa resistenza ad ammetterlo. L’opinione generale è infatti quella secondo cui chi aiuta l’altro lo fa per dare, per aiutare, non perché ha bisogno di ricevere qualcosa. In realtà, come in ogni relazione si dà qualcosa e si riceve qualcosa.

Molti dei ragazzi che partono per esperienze più o meno lunghe di volontariato, sono spinti dalla voglia di aiutare gli altri, con la speranza che il loro contributo possa cambiare il corso delle cose, possa risolvere almeno le piccole problematiche che spesso si trovano ad affrontare le comunità che incontreranno durante loro esperienza. Alle volte ciò avviene, tante altre no, il loro contributo costituisce solo una piccola goccia in un mare.

Ma tornano soddisfatti e cambiati perché si sono accorti che sono stati gli altri ad aiutare loro.

Non ricordo dove ho letto che “la più ingenua delle illusioni è enormemente più bella della risata amara del pessimista”, ma credo che l’illusione di “salvare” chi è in difficoltà sia davvero il più grande propulsore del volontariato, è ciò che ci spinge a partire e ad intraprendere un percorso che apre una nuova prospettiva, non quella del dare o portare qualcosa, quanto piuttosto quella dell’accogliere e fare tesoro di tutto quello che gli altri hanno da offrire.

E’ una sorta di stravolgimento del concetto di solidarietà: stare vicino alle persone, in ascolto delle loro storie, con la discrezione di chi sa ricevere più di quanto riuscirà a dare, per incontrare l’altro e pensare insieme soluzioni condivise, in luoghi e con modalità diverse ma con i medesimi obiettivi.

Ho incontrato IBO Italia, unica ONG con sede nazionale a Ferrara. Lavora principalmente per creare adeguate condizioni di accesso all’educazione, alla formazione, alla salute nei paesi in via di sviluppo, con il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità locali e attraverso lo sviluppo di una coscienza sociale nei giovani tramite esperienze di volontariato, lavoro concreto e gratuito a favore delle persone in stato di bisogno.

Foto dei volontari: Cristina Russo, Giada Distinto, Francesca Mundgod, Francesco Perini, Isabella Guerrieri, Shanti Mignani, Silvia Paganini, Valeria Festugato

Fa parte di un network le cui attività ebbero inizio nel 1953, nel nord Europa, per la ricostruzione di case destinate ai profughi della seconda guerra mondiale. IBO, infatti, è l’acronimo fiammingo di “Internationale Bouworde”, ossia “Soci Costruttori Internazionali”.

E’ presente in Italia dal 1957 ma è nel 1969 che si costituisce come Associazione di Volontariato e nel 1972 viene riconosciuta come associazione idonea ad operare nel settore della Cooperazione Internazionale. Due infatti sono i suoi filoni di intervento: Progetti di volontariato in Italia e all’estero (Campi di lavoro e solidarietà, SVE, Servizio Civile) e Progetti di Cooperazione Internazionale. Due le sedi distaccate, a Parma e in provincia di Catania, gruppi locali dislocati in sedici città e collaboratori/referenti in quattro paesi stranieri: Romania, Perù, Ecuador, India. 380 i volontari movimentati nel 2013.

Se penso al suo raggio d’azione io la definirei una grande realtà, ma loro amano definirsi piccoli, se confrontati con le grandi organizzazioni non governative, anche perché “piccolo è bello”, ma “piccolo, bello e conosciuto” sarebbe ancora più bello.

“Piccolo” è bello perché tutto si basa sulla relazione, sulla conoscenza e l’accompagnamento diretto dei volontari, sulla qualità dei progetti e non sulla quantità, ma significa anche difficoltà nell’accesso a finanziamenti, difficoltà nella comunicazione e quindi nel farsi conoscere, e nel mantenere una struttura stabile e allo stesso tempo flessibile. Malgrado ciò, mi dicono che quello che piace di questo periodo è che c’è più partecipazione, c’è più attenzione alle attività dell’associazione, anche da parte della città di Ferrara. Città con la quale la ONG ha dovuto costruire la sua relazione nel corso del tempo e con maggiori difficoltà rispetto a chi qui ci è nato.

Molti volontari con IBO intraprendono, negli anni, un vero e proprio percorso di crescita e conoscenza, iniziando con campi di lavoro di 2 settimane in Italia, per poi uscire dai confini nazionali per esperienze di un mese, o approdare con il Servizio Civile, con lo SVE o nell’ambito di Progetti di Cooperazione Internazionale in paesi lontanissimi in cui rimangono per periodi molto più lunghi.

Gli ambiti di intervento sono i più disparati: dall’educazione all’animazione, dalla salvaguardia dell’ambiente a interventi di costruzione e ristrutturazione, dalla tutela dei diritti alla formazione e prevenzione. Generalmente le comunità beneficiarie dei progetti di Cooperazione Internazionale sono comunità discriminate: come i rom in Romania, gli indigeni in America Latina, le donne in India.

Ho conosciuto i volontari attraverso le loro testimonianze: IBO, infatti, tutti gli anni, organizza un concorso letterario e uno fotografico orientati alle esperienze di viaggio, solidarietà e lavoro che si svolgono durante tutto l’anno e in particolare nei mesi estivi.

Credo quindi che non ci siano parole migliori per descrivere le emozioni, le soddisfazioni, le atmosfere ma anche i sacrifici, i disguidi, le delusioni che si vivono durante un’esperienza di volontariato, se non le loro.

Questo racconto collettivo prende forma grazie alle testimonianze di sei volontari partiti negli anni con IBO Italia: Simona Trino (campo di lavoro a Modling – Austria), Chiara Pianta (servizio civile in Ecuador), Valeria Pagani (campo di lavoro Tamil Nadu – India), Luciana Umbro (campo di lavoro Huaycan – Perù), Lucia Foscoli (servizio civile Lima – Perù), Benedetta Campia (servizio civile Romania).

Leggendolo credo che muoiano in bocca le parole di giudizi sbrigativi.

“Volontariato non è una delle mie parole preferite, perché troppo lunga e troppo pari. Amo i numeri dispari e i suoni meno costruiti. Ma ammetto che mi piace il significato che evoca in me. Racchiude in sé due concetti che adoro: l’idea del volo e quella della volontà. La prima mi ha fatto prendere tre aerei e mettere molti chilometri tra me e la mia terra, la seconda è quella che riconosco di più come qualità in una persona: la volontà, l’impegno.” (V.P.)

“Era il primo viaggio all’estero che affrontavo da sola, temevo di non riuscire a parlare l’inglese abbastanza bene, non sapevo se sarei andata d’accordo con gli altri volontari e, mi vergogno un pò ad ammetterlo, la maggior parte dei miei dubbi e delle mie titubanze riguardava loro, i rifugiati. Non era xenofobia la mia, piuttosto, direi, un pò dell’inevitabile diffidenza che, di solito, si ha verso ciò che non si conosce. Eppure non immaginavo che ci si potesse sentire parte di una grande famiglia anche a più di mille chilometri di distanza da casa.” (S.T.)

“Da subito ho capito che si trattava di un posto speciale, fuori dal mondo. Il paesaggio era incredibile, soprattutto al tramonto, quando dalle vallate si solleva un mare di nubi rosate, con gli alpaca che camminavano tranquillamente davanti a questo sfondo meraviglioso.” (C.P.)

“Davanti alla bellezza disarmante delle Ande ho sentito forte che sarei potuta essere in qualsiasi altro posto, sono le persone e le relazioni che fanno la differenza. Veniamo accolte con curiosità e allegria. Difficile raccontare nero su bianco la nostra “vuelta”, abbiamo condensato talmente tante cose in così poco tempo, che una settimana ci è sembrata durare un mese.” (L.F.)

“Ad Agamarca bisognava essere sempre pronti a qualsiasi tipo di emergenza o casi umani, succedeva davvero di tutto, di giorno come di notte. Ho vissuto 3 giorni in casa di una famiglia in una comunità a 4.000 metri di altitudine…è stata dura. I “campesinos” vivono in capanne di fango e paglia, con un’unica stanza dove non si riesce a respirare per il fumo prodotto dal fuoco acceso in terra per scaldarsi e cucinare. Sono ambienti umidi e malsani. Mi ricordo un freddo e vento incredibili e un ambiente talmente inospitale da sembrare impossibile poter vivere in quelle condizioni climatiche…siamo davvero fortunati.” (C.P.)

“La prima volta che ho incontrato Manu faceva freddo e fuori c’era tantissima neve. Lui era appallottolato dentro una giacchetta e non riusciva a fare a meno di guardare fisso l’obiettivo della macchina fotografica. La diversità della sua vita rispetto alla mia alla sua età, mi hanno fatto pensare a lui come una piccola persona formidabile che rappresenta e incarna un’altra infanzia, per molti versi forse più vulnerabile o scomoda, ma senz’altro più svelta della mia, che lo sta preparando molto in fretta a diventare grande.” (B.C.)

“Ci sono stati periodi duri e non sono mancate le difficoltà nel vivere un’esperienza così intensa e totalizzante.” (C.P.)

“Col tempo ho capito che la mia aggressività non avrebbe portato a nulla, quindi ho iniziato ad affiancarmi ad ognuno di loro per far loro capire che dietro a quella apatia adolescenziale si nascondeva di sicuro un talento da tirare fuori…e così è stato.” (L.U.)

“Mi piacciono le persone, mi piace osservare come la volontà di donare qualcosa di intimo e personale all’altro si faccia spazio con forza tra le parole che spesso ho sentito in questa settimana: “se dovessimo guardare ai risultati del nostro impegno, potremmo anche lasciare tutto”.” (L.F)

“Me ne sono andata con un po’ di tristezza e con il tipico nodo alla gola di ogni partenza vissuta e sentita nel profondo, ma anche con il cuore colmo, riempito da tutte le persone incontrate in questo anno, dai sorrisi, dai pianti, dalle vite spezzate e da quelle cominciate.” (C.P.)

“Non ho guadagnato niente da questa esperienza, al contrario, il mio portafoglio è più leggero perché Vienna è assolutamente da visitare e la “sachertorte” è troppo buona per resistere alla tentazione di chiederne un’altra fetta. Ma la valigia, che a stento trascino lungo la strada in salita, è pesante, perché ho voluto portare con me proprio tutti, senza dimenticare nulla.” (S.T.)

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