Non ho mai avuto una Vespa né ne ho mai fatto la voglia: sono uno di quelli che ha passato l’adolescenza su un CIAO, sempre Piaggio, ma di ben altra caratura emotiva per il popolo delle due ruote.
Ereditai il CIAO da mio nonno e ben presto fu personalizzato, anzi, svecchiato dalla sella alle ruote.
Orgoglioso del mio mezzo “…motorino elaborato Pinasco con marmitta a espansione, cilindrata non dichiarata…” sul quale mi sentivo un po’ figo, un po’ Agostini [Rossi venne dopo, ma ero già senza motorino], ho girato in lungo e in largo, senza paura dei km perchè avevo il mio walk-man autoreverse addosso.

Ieri, quasi vent’anni dopo, ho capito perché mio padre sbuffava quando si accorgeva che l’elaborazione era cambiata o i “bandoni” avevano cambiato colore e mi diceva “guarda che una 500, anche se la vernici di rosso, non diventerà mai una Ferrari, resterà una 500”. E io supponente pensavo “si, ma io con la mia 500 dò via agli ZX e ZZ ” [primi scooter per giovanotti che giravano a Ferrara, per inciso, solo se non elaborati], sottolineo pensavo e non dicevo perché non doveva sapere quanto facevo.

Ieri, dopo quasi vent’anni, al cospetto di quelle panciute ciclopiche forme di lamiera di ferro, sinuosamente piegate,ho capito la differenza tra una Vespa e un motorino: una Vespa è uno stile di vita, un modo di sentirsi parte di un gruppo, capace di issare sui portapacchi cromati sacchi a pelo, tende e, con un gruppo di amici partire.
“…Dammi una Special, l’estate che avanza, dammi una Vespa e ti porto in vacanza!…andare in giro per i colli bolognesi se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi…”

Domenica erano in tantissimi i vespisti, nonostante l’afa già opprimente, domenica erano tantissime le Vespe, tutte in fila a occupare quasi per intero l’anello di Piazza Ariostea, sgargianti al sole, a far bella mostra delle loro curve.
Ho osservato, da ignorante, questi oggetti di culto e il loro culto funzionale per il design, ammirato le scritte dei loro modelli, il mutare del logo Piaggio, il variare della posizione del fanale, della larghezza della carena, il progressivo diminuire della dimensione delle parti laterali coprimotore e le selle che da singole diventano allungate e capaci di portare due persone.
Il mondo dei vespisti è un mondo colorato, che mostra con orgoglio il proprio mezzo e anche le personalizzazioni che ha apportato, dalle casse inserite nel portaoggetti allo specchietto che è stato sostituito da un porta navigatore satellitare.

Foto di Giacomo Brini

I vespisti si conoscono tutti, evidenziano i loro gruppi di appartenenza con piccoli banner ancorati al muso della Vespa stessa, o indossando magliette colorate con loghi e slogan improbabili, si incontrano, ammirano i ciclomotori altrui, due parole sui viaggi appena intrapresi e poi parlano, mantre fanno colazione al bar, di dove si andrà a mangiare dopo.
E poi eccoli che partono alzando una fumana ronzante dai motori orgogliosamente non catalizzati, tutti insieme, a velocità di crociera, perchè la vespa è fatta per ammirare il paesaggio non per mangiarlo in velocità.
Li ritrovo al Castello Estense del Belriguardo, dove ad accoglierli c’è la contrada di San Giorgio, con la loro esibizione di abiti e bandiere, oltre ad un certo numero di macchine d’epoca dormienti all’interno del cortile.
La cornice è splendida, il caldo torrido, i tamburi suonano e i Vespisti cercano refrigerio tra pezzi di pizza, acqua fresca e spritz, all’ombra della struttura monumentale che li ospita, ridono mescolando i loro accenti e parlano di dove si andrà a mangiare.

A mezzogiorno sono tutti in sella e alternandosi con le auto d’epoca lasciano il Castello del Belriguardo, direzione tavola: il prossimo anno vengo anche io, se questa voglia di avere una Vespa è perdurata.

Foto di Giacomo Brini

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