Orsucci, a Ferrara è un nome importante.

Un buco di posto nel centro città.

Insegna retrò

Da Armando.

Fondo nero e scritta oro, corsivo.

Eleganza di stile che sta lì da tanti anni, da quando le cose avevano una loro bellezza modesta.

Discreta, delicata, essenziale.

In centro, ogni tanto, si copiano insegne così.

Invece, quella di Armando sta lì, così com’è, così com’era.

 

Vivrò in questa città e Letizia, che mi introduce alla vita sociale, mi dice:

«Sai, qui c’è Orsucci. Ci venivo sempre con Matte!»

Un pensiero ridente le sfiora le labbra…

Matte, il suo primo amore.

«Vacci, se capita!»

 

Così, Orsucci, è entrato nella curiosità della mia vita ferrarese.

Una volta, due, tre…

 

Un locale piccino piccino.

L’odore della pizza morbida morbida.

Una famiglia intera al lavoro.

Tutto molto alla mano.

 

La scelta è tra due pizze, con acciughe o senza.

Si beve quel che vuoi.

La cecina è lì che ti guarda.

 

Sì, perchè, la focaccia di ceci se n’è arrivata fin qui tramite il vecchio, che dalla Toscana ha trovato riparo nell’umida Ferrara.

Ebbe successo, da allora immutato, e tradizione vuole che la famiglia continui a sfornarla.

 

Da Orsucci si spende poco.

O almeno, quello che dovrebbe essere il giusto, ma in altri locali non è.

La pizza è buona.

Lo spazio è stretto.

La gente è costretta a guardarsi.

Mentre mangia.

Senza posate.

Un pezzo di carta e le fette di pizza.

 

Signore per bene con il formaggio che cola alla bocca.

Studentello squattrinato che mangia da solo.

L’omino dalle mani curate con il sugo qua e là sulle labbra.

Il bambino affamato che inganna l’attesa, giocando sopra lo sgabello rotante.

 

Da Orsucci abbiam l’illusione di essere tutti uguali.

Semplicemente gente che ha fame e semplicemente gente che mangia.

Gente che sta vicina e che si fa compagnia.

Giovani, vecchi e bambini.

Stretti stretti.

Come raramente accade altrove.

 

Spesso vado con mia figlia.

A lei piace molto.

Ieri mi dice, con il sorriso vibrante: «Mamma, giochiamo a Orsucci?»

A me vien da ridere, ma «Va bene, le dico, che il gioco cominci!».

Così con la pasta di sale prepariamo le pizze, sorridiamo ai clienti, mettiamo e togliamo le acciughe.

Giochiamo a Orsucci.

 

Usciamo e per strada incontriamo il signor Giulio, che per anni ha gestito l’attività dopo la morte del padre.

 

Mi riconosce.

Accenno al nostro gioco.

Giulio ci guarda e comincia: «Ma le hai messe nel forno le pizze?»

La piccina risponde: «Ma no, stavamo giocando e con la pasta di sale non vengon buone le cose».

Allora, dolcemente, Giulio sussurra: «Piccina bella, fai così: la prossima volta che prepari le pizze, mettile sulla scopa e poi sotto il letto. Vedrai che bello! Io facevo così e le pizze nel forno eran cotte!»

Gli occhi brillano.

Chissà cos’era per il piccolo Giulio, negli anni ’50, inventarsi la bottega e giocare a cucinare le pizze.

Chissà che gioia guardare il suo babbo, che stringendo la cinghia, pian piano ce l’ha fatta.

 

Ognuno decide la strada da prendere.

Giulio, insieme al fratello, ha portato gioie e dolori della pizza di famiglia.

 

Oggi, suo nipote è il più giovane a lavorare.

Ha gli occhi lontani.

Il sorriso sfuggente.

Guarda le pizze del nonno, del bisnonno e i clienti di oggi.

 

Non è facile. Lo so.

La direzione è già data.

Farina, acqua, sale.

Cliente che rogna, cliente che ragiona.

Una pizza bruciata e una birra rovesciata.

La tavola sporca e l’ordinazione contorta.

 

Eppure, se vorrai, di certo vedrai, la gioia silente del tuo affezionato cliente.

E, orgoglioso, dire potrai, che da anni e anni or sono, da generazioni, c’è un posto a Ferrara dove tutti son d’accordo e tutti sono uguali.

Semplicemente, gente che ha fame, semplicemente gente che mangia.

6 Commenti

  1. Maria Elena Abbate scrive:

    Mi sono commossa nel momento in cui il vecchio proprietario racconta di come metteva le pizze sulla scopa e le infornava sotto il letto… Davvero commossa. In quel gesto c’era tutto: il gioco del bimbo, la povertà, l’inventiva, la speranza per il futuro, voler imparare il lavoro, quel non so che di indefinibile che sta nell’infanzia. Grazie per questo pezzo.

  2. Renata scrive:

    Nostalgia!
    -Nonna,vieni con noi da Orsucci?
    Sì,nostalgia di quei momenti,di quando, gustando pizzetta e cecina,m’incantavo a contemplar il viso imbrattato di Ester,la mia nipotina.

  3. marco roboni scrive:

    Il mio Orsucci si chiamava Italo, d’inverno serviva pizze gustosissime e in estate gelati di ottima qualità. Era assistito da due insostituibili aiutanti: la moglie e la sorella, questi Toscani sorridenti avevano il locale in via Garibaldi dove si mangiava stretti stretti e, che lusso, c’era persino un juke box.

  4. Fabrizia scrive:

    Brava Francy,
    Io non conosco Orsucci, ma spero di mangiare una pizza in tua compagnia!!

  5. Salo scrive:

    Grazie per farmi conoscere un posto nuovo attraverso la tua poesia

  6. lu scrive:

    Piacevolmente mi riporti a Ferrara e non pochi ricordi riaffiorano grazie alla tua capacità evocativa.

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