Dai tasti del pianoforte a quelli del mixer. A raccontarci come far coabitare la dimensione di pianista a quello di produttore musicale è Paolo Martorana. Quando lo incontriamo, ci parla della sua esperienza con la Jaywork, un’etichetta discografica nata a Treviso nel 1998 ad opera di Paolo ‘V-Traxx’ Verlanzi e Gilberto ‘Gibo’ Rosin, e rilevata nel 2011 proprio da lui e dal disc-jockey e produttore Luca Facchini. I due, ferraresi e già soci dell’etichetta, acquisiscono il marchio e lo trasferiscono a Ferrara. Nel sito www.jaywork.com c’è spazio per hit discografiche sul mercato estero, oltre a uno sguardo rivolto al territorio, spaziando dal genere pop di Leonardo Veronesi a quello R’n’B di Frenk Nelli e War-K. Un colloquio che rappresenta anche un’occasione per fare un cenno alla funzione sociale della musica, come nel caso del concerto dello scorso dicembre nel carcere di Ferrara.

Da socio, hai acquisito il marchio dell’etichetta nel 2011. Quanto è naturale il passaggio da musicista a produttore?
Per quello che mi riguarda il passaggio non è affatto naturale, anzi direi che ancora sono una sorta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, poiché a volte la mia mente è portata a ragionare da musicista e altre volte da produttore. Credo che questo sia un vantaggio poiché permette di avere una visuale molto più completa delle cose che può essere ottimale soprattutto quando si tratta di prendere delle decisioni importanti.

Da Treviso Jaywork si è trasferita a Ferrara. Cosa ha rappresentato questo cambiamento?
Fondamentalmente il cambiamento è stato puramente dal lato burocratico-amministrativo poiché già precedentemente all’acquisizione dell’etichetta lavoravamo in Jaywork come soci.

Quali sono le attività di chi sta in cabina di regia?
Sono attività che si articolano in diversi campi: dal campo prettamente burocratico a quello artistico. Occorre mantenere la calma e affrontare un problema alla volta cercando di risolverlo presto e nel migliore dei modi. Insomma, come recita un noto detto, non importa che tu sia gazzella o leone poiché non appena ti svegli alla mattina devi correre.

Con quanti e quali artisti sono nate le attuali collaborazioni con la tua etichetta?
Gli artisti sono molti poiché Jaywork è un’etichetta che cerca di muoversi in più campi: dal pop al rock, dalla lounge alla dance, dal tradizionale alla classica. Annoveriamo diverse migliaia di titoli all’interno del nostro catalogo, indirizzati a seconda del genere all’interno dei marchi che Jaywork porta in seno: Phoenix Foud, Lupa Records, BigTool, Back to Beat, Emotional Records, Cover Makers, Flow Double H, Smooth Latin Records.

Foto di Claudio Furin

Un giovane musicista oggi riesce a vivere del suo lavoro?
Oggi, come anche ieri, non è certamente cosa facile. Sicuramente, a mio avviso, non bisogna mai perdere di vista la definizione di ‘lavoro’, nel senso che il lavoro del musicista è come gli altri lavori: è richiesto impegno, volontà e sacrificio, altrimenti si tratterebbe di un hobby, esattamente come per me è sostituire un rubinetto che gocciola: sono in grado di farlo, ma sono assai lontano dal potermi definire un idraulico. Credo occorra fissare degli obiettivi a media scadenza e cercare di raggiungerli, cercando anche di non sottovalutare eventuali richieste in generi musicali distanti dal proprio, dai quali si potrebbe acquisire esperienza e allargare la propria conoscenza musicale. Ovviamente un po’ di fortuna non guasta mai, ma a volte la fortuna arriva a favore di chi la cerca.

Internet e i social network che ruolo svolgono?
Oggi giocano un ruolo fondamentale per la promozione discografica di un prodotto, esattamente come per gli altri brand di mercato.

Da parte dei musicisti oggi c’è una maggiore esigenza a esibirsi dal vivo, oppure a vendere i propri prodotti?
Oggi il live è fondamentale. Oggi il disco viene veicolato ed ascoltato on-line, specialmente nella rete ‘social’. Ormai i tradizionali negozi di dischi dove ti recavi anni fa per ascoltare le ultime uscite credo quasi si possano contare sulle dita di una mano, quindi nasce l’esigenza di concretizzare l’immagine virtuale all’interno della realtà di un live, dove l’artista può dare il meglio di sé cementando il rapporto con chi apprezza la sua musica.

Da talent-scout, quale è la qualità che ricerchi in un musicista?
In genere al primo ascolto cerco di percepire le emozioni che vengono trasmesse, poi successivamente faccio un’analisi dal punto di vista tecnico-musicale, cercando di valutare anche e soprattutto assieme all’artista stesso il progetto. Sono procedimenti a mio parere assai ‘delicati’ in quanto non ritengo personalmente di essere in possesso della ricetta perfetta per il successo. Sono però convinto che un buon lavoro di squadra, mettendo in gioco tutte le esperienze maturate dalle parti, possa dare un buon risultato.

C’è differenza fra le dinamiche interne delle major discografiche e delle piccole etichette indipendenti?
Le etichette indipendenti possono muoversi più agilmente, ma ovviamente non godono delle possibilità, soprattutto a livello economico, della major. Si fa più fatica anche solo per poter fare ascoltare la nuova produzione a un selector. Però vengono tenute sott’occhio poiché, nel piccolo orto, il terreno è fertile e curato e può crescere un buon prodotto.

Nel dicembre dello scorso anno, alcuni artisti della tua etichetta hanno dato vita a un concerto all’Arginone. Come è nata l’idea?
L’idea è nata da Silvia Bottoni ed è stata accolta da noi con entusiasmo, così come da tutti gli artisti che sono stati coinvolti in questa bella manifestazione. Il Comune e la Provincia di Ferrara ci hanno appoggiato, unitamente ai dirigenti del carcere e ai loro rappresentanti. Un’esperienza molto importante e che lascia il segno. Personalmente non ero mai stato all’interno di un carcere e lì ci si rende conto che lo scandire del tempo è diverso. Il pubblico ha apprezzato l’esibizione degli artisti e lo scambio di emozioni è stato quasi tangibile.

La musica riesce a conciliare messaggio sociale e profitto?
Credo che messaggio sociale e profitto non si debbano proprio conciliare in questo caso: l’iniziativa del carcere, così come quella di ‘Musica in Centro’ che si è svolta lo scorso aprile alla Sala Estense, con l’incasso devoluto all’Associazione Giulia, sono iniziative dove l’intenzione è di fare del nostro meglio per uno scopo di solidarietà. Non c’è profitto in questi casi, anzi, finisce che ci si mette anche le mani in tasca per tirare fuori qualche soldo per le spese vive.

Esiste un genere destinato a non tramontare?
La musica stessa, secondo me, non tramonterà mai. Ci saranno evoluzioni di generi musicali ora in una direzione ora in un’altra, per poi magari ritornare al punto di partenza. Quindi credo che non ci sarà nemmeno un genere destinato a tramontare.

Ultima domanda. Quale è la tua definizione di musica?
Per me la musica è un flusso di emozioni a cui non riesco a rinunciare.

2 Commenti

  1. Paolo scrive:

    Vorrei ringraziare pubblicamente Giuseppe Malaspina per l’articolo e Listone Mag per averci dato spazio all’interno del loro portale. Portate pazienza se non sono molto fotogenico ma non posso farci nulla ;-P

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