Quando ripenso ai giorni del terremoto mi sembra di ricordare la trama di un film, qualcosa che non mi appartiene. So di averli vissuti, vissuti nel senso più pieno, con presenza di spirito e attenzione, ma quando con la mente torno a quei momenti, a quelle settimane, non posso evitare di sentirmi distante. Come se ricostruissi un sogno. Ero io, certo che ero io, quella che camminava in via Ripagrande in mezzo ai cornicioni caduti. E la città trasformata in un labirinto a causa delle strade interrotte e delle transenne era la mia città, certo che lo era. Ma oggi, a distanza di poco più di due anni, tutto quello che successe in quei giorni mi sembra alieno, estraneo, un racconto. Parlandone con gli amici capisco che questa sensazione non è soltanto mia, è anzi molto comune: il terremoto è stato isolato dalle coscienze, semplificato, compreso, archiviato, superato. Mi domando se, nonostante questa collettiva operazione di allontamento funzionale, qualcosa sia stato trattenuto, interiorizzato. Abbiamo imparato qualcosa – qualsiasi cosa – da quell’esperienza? O tutto è stato lavato via dalla necessità di infilarsi nuovamente nel quotidiano? 
Ho in mente queste domande quando incontro Marco Cassini e Stefano Muroni, rispettivamente regista e attore protagonista di una pellicola ancora da girare, intitolata provvisoriamente «Terremotati».
Marco ha ventotto anni, viene da Teramo, lavora a Roma per cinema e televisione. Nel suo curriculum tanta fiction: da «Don Matteo» a «Fuoriclasse», da un «Medico in famiglia», dove interpretava Enrico Trotta, a «I Borgia», dove prestava il suo volto a Pietro Bembo. Ha iniziato da attore ma da qualche anno si sta spostando verso la macchina da presa, ha lavorato in America come assistente alla regia per «Desperate Housewives», nel 2013 ha debuttato a Venezia con il cortometraggio «Patto di sangue».
Stefano ha venticinque anni, viene da Tresigallo, si è diplomato attore a Roma, al Centro sperimentale di cinematografia. Nel 2013 si è fatto notare al festival “Popoli e religioni” di Terni per essere stato l’ideatore, oltre che l’attore protagonista, di “30 e lode”, cortometraggio che denuncia l’assenza di meritocrazia all’interno del sistema universitario nazionale.
Parlo con loro per capire cosa intendono realizzare, qual è l’obiettivo che intendono centrare. «La nostra generazione si trova ad un bivio storico – spiega Stefano -. Può fregarsene totalmente di tutto, vivere la vita del robot e morire. Nel cinema fregarsene significa realizzare i «telefoni bianchi» degli anni 2000. Oppure può assumersi la responsabilità di lasciare ai posteri una riflessione artistica sull’attualità. Il film che vogliamo realizzare risponde a questa necessità, vuole raccontare la società e il terremoto partendo dalla condizione di precariato che caratterizza il lavoro». La trama, in estrema sintesi, tratterà l’amicizia nata all’interno di un capannone tra due operai, un ferrarese e un calabrese, amicizia che le scosse interrompono nel modo più drammatico e violento. 
Stefano lavora da mesi a questo progetto, ha costruito una sceneggiatura partendo dalla propria esperienza personale e dalle testimonianze raccolte tra le famiglie delle vittime del sisma: «i miei cugini sono di Mirabello, ho visto le loro facce il giorno dopo. Ho chiesto aiuto e contatti a Samuele Govoni, di Sant’Agostino, che è giornalista ma soprattutto è testimone. Ho parlato con la madre di un operaio travolto dal crollo della fabbrica. Lei mi ha raccontato dei dubbi di suo figlio, che dopo la prima scossa si chiedeva se facesse bene o no a tornare a lavorare. Molti operai decisero di rientrare per far vedere ai loro capi che erano presenti, che non si lasciavano scoraggiare. Il terremoto dell’Emilia è stato il terremoto degli operai, a cadere sono stati soprattutto gli stabilimenti industriali, ma di questo non si parla più. Scriveva Cesare Pavese: e dei caduti che facciamo? Io vorrei che questo film tra cinquant’anni possa essere utile per fare capire cosa stiamo vivendo oggi».
Stefano racconta di essersi rivolto a numerosi enti ed associazioni locali per ottenere sostegno logistico ma soprattutto economico. Su questo argomento ha il dente decisamente avvelenato: «è stata un’avventura estenuante. Ho chiesto alla Regione, ai Comuni, alla Provincia di Ferrara, alla Carife, alla Caricento, a Dario Franceschini quando ancora non era ministro. Ho provato con i sindacati, con la Cna, con i Lions. Molti mi dicevano che la sceneggiatura era contro gli imprenditori e che per questo non andava bene, oppure che non mostrava abbastanza l’impegno delle istituzioni. Alcuni mi dicevano vedremo, vedremo, ma poi non si concludeva nulla».
La svolta è arrivata circa un mese fa, con il finanziamento di un privato, una docente di Tresigallo. Maria Rita Storti ha voluto contribuire con 20mila euro, alla quale si sono poi aggiunti finanziamenti minori arrivati dalla Provincia – tramite bando – e da Vittorio Gambale, titolare dell’azienda Gambale Tegole di Mirabello. «La trama si svolgerà proprio in questo paese – continua Stefano -, perché fino a poche settimane fa l’unica a dimostrarsi disponibile è stata il sindaco di Mirabello, Angela Poltronieri».
L’ingresso di Marco nel progetto è recente, il regista ha accettato l’incarico su invito di Stefano. La sua prima volta a Ferrara è velocissima: mattinata in provincia per una ricognizione delle location, pranzo in piazza Ariostea, tra una fetta e l’altra di pizza si visionano con l’ipad i provini delle attrici. Si riparte nel primo pomeriggio.
Non si pronuncia troppo sul film a venire, lascia a Stefano la parte del portavoce ufficiale. I suoi commenti sono asciutti ma il piglio è deciso: «ho letto il soggetto e ho deciso che mi piaceva ma poi l’abbiamo rivisto assieme. Fino ad oggi abbiamo già fatto sette revisioni del testo, ne seguiranno almeno altre tre o quattro. Quando sarà pronto diventerà la nostra Bibbia, sarà il punto di partenza per poter anche improvvisare. Cominceremo a girare a settembre, con un troupe composta tutta da giovani under35. Ci impegneremo per dare il massimo». 
Assieme ai due ragazzi ora lavorano Walter Cordopatri, che ha contribuito alla stesura della sceneggiatura e reciterà la parte del co-protagonista, e Ilaria Battistella, responsabile di produzione, ma il team andrà progressivamente ampliandosi: «purtroppo i compensi che riusciremo a dare saranno più simbolici che altro, la cifra totale che abbiamo a disposizione per adesso è di 28mila euro. Se consideri quanto costa fare un film, un film vero, con tante location, è praticamente uno scherzo. L’operazione sarà praticamente di volontariato. Chi volesse contribuire è ancora in tempo, abbiamo aperto apposta un conto corrente».
Le aspettative sono alte, altissime. «Realizzeremo un lavoro di grande valore artistico – prosegue Stefano -. Vogliamo dimostrare come in Emilia Romagna ci siano tanti professionisti, esperti del settore, che per lavorare spesso sono costretti ad andarsene a Roma, a Milano, all’estero. La film commission regionale purtroppo non finanzia i film, solo i documentari».
La macchina avviata grazie a «Terremotati» ogni giorno macina chilometri, acquista velocità, il tragitto si fa più visibile e consistente: aumentano i like sulla pagina Facebook del progetto, la stampa non lesina interviste e approfondimenti. Non resta che aspettare pazientemente che l’opera arrivi al grande schermo per giudicare se è rimasto qualcosa di quelle intensissime giornate di maggio, se qualcosa è stato trattenuto. Forse proprio la finzione del cinema potrebbe avvicinare gli emiliani alla realtà di un evento che hanno vissuto, vissuto dolorosamente, ma che nel ricordo finisce per sbiadirsi e assomigliare a un film.
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