Lui non la lascia mai. Sono sempre insieme. In aereo è sempre seduto al sedile di fianco. Non si sono lasciati neanche durante il terremoto di due anni fa. “Siamo corsi fuori di casa insieme, solo io e lui”. Lavinia Soncini ha fatto vent’anni ad aprile. E il giorno del suo compleanno ha suonato il Requiem di Verdi con l’Orchestra di Riccardo Muti a Madrid. Insieme a lui, ovvio. Lui è un violino di liuteria tedesca del ‘700. Anche se la sua voce scura evoca più un violoncello in miniatura.

Lavinia ha mani da bambina e sguardo da donna, capelli scandinavi, pelle bianca e occhi così profondi da cascarci dentro. Tutto il suo corpo reclama musica. Sembra una fatina mentre beve il suo tè alla pesca seduta in un bar del centro. Ma quando suona si trasforma in un gladiatore dalla mano quasi violenta. Lavinia è nata a Ferrara nel 1994 ma casa sua è il mondo. Da gennaio suona a Bruxelles con l’Hulencourt Soloists Chamber, l’orchestra diretta dall’israeliano Guy Braunstein. Sono giorni di duro lavoro: otto ore di prove collettive al giorno, più i concerti, i saggi e le lezioni. Si lavora per migliorarsi. “L’imperfezione non esiste” dice “è solo un’ossessione dei musicisti”. Le mani di Lavinia sono speciali. Le sue articolazioni sono talmente elastiche che sembra avere cinque contorsionisti al posto delle dita. Un vantaggio nelle esecuzioni dei trilli. “Ho un trillo velocissimo. A volte è troppo veloce ma basta controllarlo” dice.

E’ da un po’ che ha lasciato il porto. Il primo viaggio è stato a Vienna a soli 14 anni per studiare al conservatorio seguita dal maestro russo Vernikov. Dire che ha già un curriculum stupefacente è dire poco. Lavinia si diploma a soli 18 anni con il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore al Conservatorio di Adria. Pluripremiata in concorsi nazionali e internazionali, ha suonato sotto la direzione di maestri come Muti, si è esibita in grandi teatri in Italia e all’estero come il Teatro La Fenice e il Malibran di Venezia, il Teatro Comunale di Ferrara, il Comunale di Bologna, il Teatro Alighieri di Ravenna e il Teatro Real di Madrid. Lavina suona con Muti e la sua orchestra Luigi Cherubini già da due anni- “Com’è il maestro?” chiediamo. “E’ severo, serio, esigente. Pretende il massimo. E ci sono delle regole da seguire quando si suona con lui. Per esempio niente occhiali. Le vibrazioni che producono durante l’esecuzione lo infastidiscono”.

Foto di Sandro Chiozzi

Mentre aspettiamo i caffè, siamo curiosi di sentire com’è cominciata la sua storia.

“A quattro anni ho conosciuto il violino. E da allora non l’ho più mollato”. La mamma Cinzia la iscrisse alla scuola di musica moderna di Ferrara. Con il metodo Suzuki fu amore a prima vista. Il Suzuki è un sistema di educazione al talento, una filosofia educativa musicale elaborata dal violinista giapponese Shinichi Suzuki nella prima metà del Novecento. Il metodo lavora sullo studente, sul suo lato artistico e tecnico ma anche sulla sua moralità e il suo carattere. Il sistema di memoria musicale le aderisce come una seconda pelle. Lavinia, infatti, suona sempre a memoria, senza spartito. “ Mi viene naturale”.

Nessuna pressione in famiglia e nessuna mamma tigre. E’ Lavinia a insistere per andare alle scuole, quelle dei grandi. A otto anni s’iscrive al conservatorio di Ferrara. E pensare che ora non sarebbe più possibile. Prima della riforma del 3+2 le porte del conservatorio si aprivano a chiunque dimostrasse un certo talento e un’attitudine fisica e musicale. Non importa se a otto o a sedici anni. A dominare era l’idea di una formazione musicale legata al talento e slegata dal percorso scolastico canonico. Dopo la riforma, in molti conservatori, è possibile iscriversi solo dopo la maturità. Lo studio strumentale, però, è un linguaggio che ha bisogno di tempo per arrivare sotto pelle e non si può iniziare a diciotto anni. Lavinia è d’accordo: “E’ un vero peccato, quelli dell’infanzia e dell’adolescenza sono gli anni d’oro, quelli decisivi”. Anche l’attuale direttore del conservatorio ci disse lo stesso un anno fa.

Più che una bimba prodigio, Lavinia era una persona seria già da bambina. Il talento ti solleva in aria come una folata di vento improvvisa. Senza lo studio, la disciplina e il lavoro, però, cadere a terra è un attimo. E lei ci ha dato dentro eccome, dividendosi tra il liceo Carducci e il Conservatorio. Un impegno doppio. “Sì, ma fattibile” minimizza.

Che differenza c’è tra studiare all’estero e qui in Italia?”

“E’ molto diverso. Ricordo che a Vienna i conservatori erano tutti dotati di aule insonorizzate. Per non parlare dei controlli periodici degli insegnanti che irrompevano nelle aule studio all’improvviso per controllare che stessi facendo gli esercizi”.

Un musicista italiano ha più chance all’estero?”

Lavinia esita un attimo e i suoi occhi si fissano per un secondo in un mondo che non c’è. “Partire è importante. Ci sono più offerte e più occasioni fuori dai nostri confini. Ma il punto è un altro. Il riconoscimento. Lì essere musicista è una professione e non ti chiedono che lavori fai quando dici che suoni”.

“Quando sei a Bruxelles pensi mai a Ferrara?”

“Ho dei bellissimi ricordi dei concerti al Ridotto. Abbiamo una stagione del teatro eccellente. E’ un peccato che, nonostante tanti musicisti di altissimo livello e le orchestre che continuano a venire, Ferrara non sia emersa.”

La sua memoria e il suo affetto abbracciano tutti gli spazi legati alla musica. Lavinia è molto riconoscente alla città. Giovedì 8 maggio il sindaco e l’assessore alla cultura le hanno donato una targa di riconoscimento “per aver portato il nome della città nel mondo attraverso la musica” (da Cronaca Comune, il quotidiano online del Comune di Ferrara).

L’agenda di Lavinia è più fitta che mai. Posa dritta, tacco alto, abito lungo, la potete vedere e ascoltare in ogni parte d’Italia. Il 2 giugno era al Ravenna Festival e il 27 giugno a Spoleto per il Festival dei due mondi. Poi tocca a Trieste, a Madrid e alla Francia ad agosto. Sono molte le orchestre italiane che hanno visto la collaborazione di Lavinia. Dall’età di tredici anni collabora con varie formazioni orchestrali, tra cui l’Orchestra Città di Ferrara, l’Orchestra delle Venezie, Orchestra Nazionale dei Conservatori Italiani, l’Accademia musicale di Schio e quella di S.Giorgio.

“Ascolti solo musica classica. O c’è posto anche per l’heavy metal?”

Lavinia ride. Potrebbe parlare con un tono entusiasta anche delle bustine di zucchero di fronte a lei, tanto è traboccante di vita. “Sì, mi piace tutto, anche l’heavy metal! A scuola le mie compagne di banco mi allungavano un auricolare dicendo to’, prova questo. Non sono chiusa né elitaria. Pensa che nel 2013 il Ravenna Festival era dedicato al liscio. Casadei era un virtuoso del violino. Mi sono divertita tantissimo a suonare tutti quei valzer, Muti, invece, era un po’ perplesso. E’ vero, però, che nell’ipod c’è posto solo per il repertorio classico, romantico e contemporaneo, come Prokofiev”.

Sono tante le donne che imbracciano un violino. “A me piacciono le musiciste con un carattere ben definito, una personalità delineata. Molti suonano e riescono solo ad evocare qualcun altro”. E poi ci sono donne come Sophie Mutter e l’olandese Janine Jansen. “Ecco, quando sento Bach suonato da lei la riconosco, dico, questa è la Mutter”.

Ci alziamo dai tavolini. C’è ancora tempo per una sonata di Bach in esclusiva per noi. Poi si corre a casa. Stanotte valigie e domani Bruxelles. Non c’è tempo per dormire. “Dormirò in aereo – dice Lavinia – con lui”.

Voglio creare bravi cittadini. Se un bambino ascolta buona musica dal giorno della sua nascita e impara a suonarla da solo, allora svilupperà sensibilità, disciplina e pazienza. E otterrà uno splendido cuore.

Shinichi Suzuki

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