Simone Ferraresi me lo ricordo da ragazzino. Nel senso che io ero un ragazzino, lui di qualche anno più grande di me era già un pianista abbastanza conosciuto in città. Studiavo pianoforte al Conservatorio e andavo a sentire qualche concerto in auditorium o al Teatro Comunale, scoprivo Chopin e lo preferivo a tanta altra robaccia contemporanea, adoravo quando il mio insegnante suonava Schubert ed era così rapito da scuotere ad ogni passaggio la testa piena di ricci argentati. Sognavo di poterlo fare anche io un giorno, ma non ho più capelli a sufficienza e nel mentre non suono nemmeno più il vecchio polveroso pianoforte rimasto in taverna a casa dei miei genitori, un Kawai nero opaco quantomeno da accordare e liberare dai troppi libri che ci sono appoggiati sopra.

Un anno fa, proprio mentre Listone Mag apriva e scrivevo il mio primo editoriale arrivano i saluti e gli auguri di un giovane lontano, emigrato a New York ormai da anni e di cui in effetti non avevo più sentito parlare da molto tempo. Era Simone, che come ogni musicista che si rispetti un giorno ha fatto la valigia ed è partito per cercare fortuna altrove, ma sta organizzando la prima edizione del Ferrara Piano Festival, dove porterà nella sua piccola vecchia città artisti di calibro internazionale. Prima o poi torna a tutti la voglia di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa per il posto dove si è nati e cresciuti.

Simone, nasci a Ferrara ma ti sei infine stabilizzato a NY dove vivi e lavori ormai da quasi dieci anni. Cosa ti stava stretto di una città di provincia come Ferrara e perché hai scelto proprio la Grande Mela?

La scelta di New York è stata piuttosto casuale. Venni per una breve vacanza nel 2005, ma atterrai anche con la segreta speranza di trovare un lavoro. Fortunatamente lo trovai subito come insegnante di pianoforte e decisi di provare questa avventura, che tuttora continua. Lasciare Ferrara non era nei miei piani. Me ne sono andato perché trovai lavoro a New York e in Italia non avevo ancora trovato modo di fare il mio mestiere di musicista. Il fatto che fosse New York è stato un caso. Me ne sarei andato ovunque pur di potere lavorare nel mio campo. In Italia lavorare come artista viene da molti considerato un lusso, un capriccio. All’estero invece è un lavoro come un altro. Quando, parlando con persone di altre nazionalità, accenno al fatto che in Italia ci sia questo atteggiamento nei confronti degli artisti, ciò viene ritenuto incomprensibile e un vero paradosso considerando la grande reputazione che l’Italia ha all’estero come paese dell’arte.

Dove hai studiato? Quali sono state le prime esperienze importanti e i concerti che hai tenuto in Italia o all’estero?

Ho studiato al Conservatorio Frescobaldi di Ferrara, all’Accademia di musica di Vienna e alla Royal Academy di Londra. L’esperienza più importante è stata senza dubbio partecipare a 23 anni al concorso pianistico più importante al mondo, il concorso Chopin di Varsavia, un vero mito sognato da tutti i pianisti all’inizio di carriera. Quando ero un bambino non avrei mai pensato che avrei potuto accedervi, infatti solo il meglio del meglio di ogni nazione viene selezionato per fare parte dei candidati. Nel 1995 eravamo solo in nove a rapprentare l’Italia. E’ un po’ come le olimpiadi per gli atleti. Importante, ma per me è stata senza dubbio un’occasione sprecata, un momento a cui non ero affatto pronto: infatti mi preparai per il concorso senza l’aiuto di alcun insegnante, scelta che nessuno avrebbe mai fatto. Ero davvero incosciente.

Hai poi vinto premi o partecipato ad altre manifestazioni?

Ho vinto il primo premio a una decina di concorsi pianistici nel periodo che va da quando avevo 15 anni a quando ne avevo 32.

Courtesy Simone Ferraresi

Da piccolo sarai rimasto senz’altro affascinato dai tanti strumenti musicali nel negozio di tuo padre. Come mai ti sei avvicinato proprio al pianoforte e agli studi classici? 

Sì, avevo già un pianoforte in casa e quindi è stato naturale imparare a suonarlo quando avevo 5 anni. Il mio primo insegnante è stato mio padre e il mio primo saggio è stato all’asilo. Più che altro è stato determinante il fatto che il negozio di mio padre vendesse i dischi. Ascoltavo tutto cio’ che arrivava. Praticamente rubavo e portavo a casa una copia di ogni disco o musicassetta che veniva venduto nel negozio. Inoltre ogni anno ero abbonato alla stagione del Teatro Comunale per cui anche questo è stato fondamentale per la mia formazione, vedere i grandi musicisti dal vivo, cosa che non può essere paragonata ad ascoltarli in disco.

Ti manca la dimensione di una piccola città e la sua vita tranquilla?

Alcune volte sì, alcune volte no. Mi soddisfano entrambi gli stili di vita, ma con una preferenza per la città caotica. Ferrara va benissimo per rilassarmi per le vacanze, ma non potrei mai viverci per fare il mio lavoro. Mi mancano molte cose di Ferrara, specialmente i suoni attutiti rispetto a una grande città, il silenzio, il cibo. Diciamo la verità, per un ferrarese è una vera e propria tortura vivere all’estero senza il proprio cibo tipico.

Di cosa ti occupi a NY? L’insegnamento è l’unica forma di sostentamento per un musicista o si può vivere di concerti nel mondo della musica classica?

Svolgo tanti mestieri che mi gratificano. Sono professore di ruolo nel dipartimento di musica in una prestigiosa scuola privata di Brooklyn. Dirigo un coro ogni domenica con il quale eseguo musica sacra rinascimentale. Tengo concerti, compongo, registro le mie esecuzioni. La maggioranza dei pianisti classici insegna per vivere, probabilmente il 90% o forse di più. Il rimanente 10% sono i nomi famosi tra i quali se ne leggono alcuni anche nella stagione di Ferrara Musica. Il mondo della musica classica è profondamente ingiusto, poiché il rapporto tra quantità di pianisti e possibilità di fare concerti pagati bene è estremamente sproporzionato. I concerti pagati bene sono solo per un’élite di pochi pianisti di fama internazionale, che spesso guadagnano cifre enormi per un concerto, mentre la stragrande maggioranza dei pianisti guadagnano poco o male e inoltre non hanno un agente che trova loro almeno venti concerti da fare all’anno, per cui vivere di concertismo è impossibile.

Hai fatto altri lavori mentre studiavi pianoforte o è sempre stata la tua unica occupazione?

Ho sempre insegnato pianoforte e non ho mai svolto nessun altro tipo di lavoro. Insegnare è il mio lavoro principale e suonare il pianoforte è la passione più grande che ho da sempre, nonché la mia unica qualifica professionale. Purtroppo le qualifiche professionali e i titoli di studio ottenuti all’estero non servono a molto ai fini dell’insegnamento nei conservatori italiani.

In Italia a tuo avviso c’è interesse per il pianoforte classico o l’attenzione dei media e del pubblico più generalista è solo rivolta a personaggi più pop come Einaudi ed Allevi?

Sì certo, c’è e ci sarà sempre interesse per il pianoforte classico. Anzi, direi anche di più adesso nell’era di internet. Alcuni giovani pianisti sono recentemente diventati molto famosi grazie alle trasmissioni streaming sul web di alcuni dei maggiori concorsi pianistici internazionali.

C’è spazio secondo te nel nostro paese per nuovi talenti che possano emergere ed affermarsi senza fuggire necessariamente all’estero?

Vedo la nozione di “fuggire all’estero” come un luogo comune che ha fatto il suo tempo. Non esistono più barriere nazionali e viaggiare costa sempre meno per cui molti musicisti semplicemente lavorano dove trovano, senza che questo abbia un significato di fuga come lo poteva essere tempo fa. Viaggiare è naturale per i musicisti, che sono praticamente dei nomadi di natura. E’ vero che non ci sono opportunità di lavorare come pianista classico in Italia, ma basta varcare il confine per trovarne. I pianisti italiani che trovano lavoro fuori dall’Italia non considerano se stessi come “scappati”, ma semplicemente come persone che hanno trovato lavoro un po’ più lontano, e sanno che possono tornare in Italia per le vacanze quando vogliono senza spendere una fortuna, per cui non è più come cento anni fa che uno emigrava e non tornava mai più.

Conosci Jacques Lazzari, un giovanissimo pianista e compositore di Ferrara? Ha già tenuto alcuni concerti e l’abbiamo incontrato qualche mese fa: https://www.listonemag.it/2013/07/25/jacques-lazzari-il-pianista-dietro-la-luna/

Non lo conoscevo, ne leggo ora con interesse! Essendo lontano da Ferrara da nove anni ho perso i contatti con molti di quelli che appartengono alle generazioni più giovani di musicisti.

Veniamo al Ferrara Piano Festival. Come mai organizzare un festival del pianoforte proprio a Ferrara? Bisogno di stabilire di nuovo un legame con le tue origini?

Prima di tutto perché non è mai esistito un tipo di evento simile a Ferrara e rappresenta quindi un’importante novità per la città. E poi, proprio come dici, per riuscire a collegare Ferrara con New York, in un tentativo di promuovere le rispettive culture e nella speranza di fare avvicinare persone appartenenti a mondi diversi. Ho fondato un’associazione musicale qui a New York, che si chiama Ferrara Piano Festival, tenendo come uno degli obiettivi principali quello di pubblicizzare il nome di Ferrara in America e nel mondo attraverso l’arte pianistica. Questa associazione si propone di aiutare giovani pianisti di talento offrendo loro diverse opportunità attraverso lo scambio culturale a livello globale.

Hai trovato difficile tornare a lavorare con l’Italia, i suoi tempi, le sue burocrazie?

No, tutte le persone a cui mi sono rivolto mi sono venute incontro con entusiasmo.

Come si svolgerà il festival? A chi si rivolge?

Durante il Festival ci saranno famosi pianisti che si esibiranno in concerto e daranno lezioni ad allievi provenienti da tutto il mondo. Si rivolge a tutti i giovani pianisti che vogliono iscriversi e a tutto il pubblico che ama il pianoforte. Ci saranno due sezioni, una jazz e una classica. Tutte le informazioni sono sul sito www.ferrarapiano.org

Hai trovato supporto ed aiuto in città da parte delle istituzioni? Senz’altro era qualcosa che mancava all’ampio programma di eventi in città, ma c’è stato appoggio ed entusiasmo o stai facendo tutto da solo? 

Sono stato molto fortunato che l’idea del Festival è piaciuta molto al vicesindaco Maisto, al vicedirettore del Teatro Comunale Favretti, al direttore artistico del JazzClub Bettini, all’Associzione Bal’danza, al direttore del Conservatorio Biagini e alla direttrice del Museo Archeologico Cornelio. Sono anche molto fortunato ad avere come collaboratore Mauro Vignolo che è membro del comitato consultivo di Ferrara Piano Festival e fa le mie veci quando non sono a Ferrara. Ho trovato molti sponsor, partner tecnici, volontari, e abbiamo in programma attività di fundraising a New York e Philadelphia, nonché attraverso il canale del crowdfunding. All’inizio ho fatto quasi tutto da solo, tra cui il sito web, la parte burocratica della creazione dell’associazione, l’organizzazione degli eventi, la comunicazione con artisti e partecipanti, ma adesso tutte le persone che ho citato mi stanno dando una mano.

Sono previsti eventi pubblici di avvicinamento all’arte del pianoforte? Concerti, rassegne, mostre, workshop per bambini delle scuole o per chi volesse avvicinarsi allo strumento?

Per ora non è pensato come un evento di promozione rivolto ai bambini ma più che altro a chi è già in qualche modo nel mondo del pianoforte. Infatti le masterclass sono dirette ad allievi di alto livello e i docenti sono alcuni tra i più famosi musicisti al mondo, per cui si potrebbe dire che si tratta di un evento di nicchia. Tuttavia i concerti sia di maestri e allievi e le masterclass saranno aperti a tutti, proprio per divulgare l’arte pianistica. Stiamo ancora studiando come avverrà l’accesso ai concerti, il quale probabilmente sarà senza biglietto o a offerta libera.

Se l’organizzazione di questo Festival sarà un successo pensi si potranno pensare eventi simili altrove in Italia? 

Troppo presto per pensarci. Credo che la sede principale sarà sempre Ferrara, per i motivi che ti ho detto prima. Abbiamo comunque pensato di allargare il Festival ad altre nazioni. Organizzeremo concerti degli allievi negli Stati Uniti e inviteremo insegnanti da Inghilterra e Giappone, sempre con la missione principale di fare viaggiare i giovani musicisti di talento, offrendo loro opportunità di esibirsi all’estero e imparare dai migliori maestri.

Torneresti a vivere in Italia un giorno, non necessariamente qui a Ferrara?

Sì, perché no. Io vorrei vivere in Italia, ma lavoro e ho famiglia a New York per cui vedo questa possibilità molto lontana. Inoltre la mia famiglia è internazionale, mia moglie è giapponese e mio figlio ha tre passaporti: americano, giapponese e italiano. Chi lo sa dove andrò a finire!

Se Ferrara tra 500 anni sarà davvero New York è presto per dirlo, ma un primo passo di avvicinamento tra le due città e stato senz’altro stabilito. Prima fermata: Ferrara Piano Festival, in città dal 17 luglio 2014.

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