«Il presente, che è nel tempo quello che la facciata è nello spazio,
impedisce di vedere le cose in profondità».

Alberto Savinio, Scritti dispersi.

«[…] Pertanto dipingo. E cosa dipingo? Il duomo, sede sensoriale del mio dio – oh my god! – l’ho fotocopiato in piccolo formato e ci passeggio intorno, come faccio spesso, e ci passeggio con i colori. Stessa immagine, stesso duomo, e il colore invece, ogni volta differente, anche di mezzo tono, ma sempre differente. Come se il colore venisse buttato fuori dal duomo, tante piccole pennellate e il colore, da che è dentro il duomo, ne esce fuori, se ne va la spiritualità e si riversa per le strade che delle strade non hanno traccia: è tutto colore». Con queste parole l’artista Terry May descriveva qualche anno fa le sue opere, la serie intitolata “Il Dio del Duomo”, quadri che rappresentano proprio lui, il duomo di Ferrara, il centro del Centro e di tutto il resto. Il duomo visto dalla parte del listone. Una visuale insolita, aerea, ma tangibile eccome.

Io e Terry ci incontriamo qualche settimana prima della fine dei lavori che stanno coinvolgendo la piazza. Parliamo del vecchio listone e del nuovo che avanza, le chiedo il suo parere sui lavori in corso, sulla città e sulle cose che solo lei sa trovare. Terry infatti realizza spesso le sue opere con materiali che (ri?)trova per terra, ovvero monetine, chiavi, pezzi di campanelli… Insomma, tutto quello che noi perdiamo quotidianamente, e che la città e suoi ciottoli raccolgono in attesa che arrivi qualcuno a scovarli.

Terry, cosa ne pensi del nuovo listone? L’hai già visto?

No, ho deciso che lo vedrò solo una volta finito. Ho un po’ di timore pensando ai nuovi lavori della piazza, ho paura di trovarla completamente diversa. La piazza del listone è il cuore di Ferrara, e tutte le strade che le sono intorno sono le sue vene. È la più grande e vissuta che c’è, è come se fosse il punto di riferimento della città. Ti innamori di quella piazza, volente o nolente, ti ci innamori proprio. Ti senti una persona fortunatissima solo a camminare dove hanno camminato Alberto Savinio e Giorgio De Chirico. Loro hanno scoperto delle cose lì sopra, hanno scoperto la metafisica. In fondo, se ci pensi, è la piazza delle scoperte. Sai, Ferrara è a dislivello, non è per niente dritta anche se siamo in pianura. Là in mezzo a tutte quelle insenature trovavo un sacco di cose, prima. Ora mi vien da dire che se non ho trovato nulla fino ad ora, chissà mai se ci troverò qualcosa. Almeno prima mi rimaneva la speranza.

Foto di Lucia Ligniti

La speranza di cosa?

La speranza di scoprire qualcosa! Come poi è accaduto per i metafisici. Ferrara è la città dove è nata la metafisica. Non è nata a Pisa, né a Firenze né a Bologna e manco a Latina. È nata proprio qui ed è sconvolgente ritrovarla negli scritti di De Chirico, e ancor più in quelli di Savinio. Quando io li studiavo sentivo il loro respiro. Loro ci hanno camminato su quella piazza, ma su un’altra pavimentazione. Studiandoli, Ferrara l’avevo vista ancora prima di vederla con i miei occhi. È proprio una città strana questa, è proprio come loro che la descrivevano. E io da Roma sono approdata qua alla ricerca dei due Dioscuri, Alberto e Giorgio, quelli che hanno scoperto la metafisica. E invece poi che succede?

Che succede Terry?

E poi succede che mi si è stravolta la piazza! Se i sampietrini prima erano a raggiera e ora li metti dritti, allora cambia la piazza, perché così cambia la sua visuale. E a te ti cambia la vita. È necessario che quando tu cammini nei posti, ti fermi a pensare anche a quello che hai sotto di te, perché fa parte del tuo mondo. Se i ciottoli vengono dai fiumi, anche il tuo camminare è come se fosse trasportato dalla corrente. La terra, la pavimentazione in cui cammini, ti porta a seguire il suo ritmo. Se sotto i tuoi piedi c’è qualcosa che proviene da un fiume, anche tu sei più portato a scorrere, o a farti travolgere, in base ai casi. Mettendolo invece tutto piatto e senza insenature o dislivelli, allora ecco che diventa invece tutto allineato. E a me l’allineamento mi preoccupa. La paura che ho è di guardare ora questa piazza e vederla finta. Quello che mi piace di meno è che si sia usata della manovalanza cinese, anche se magari loro c’hanno pure messo il cuore per realizzarla. È risaputo che costano meno e pur di risparmiare e di seguire le regole dei soldi ormai facciamo, cioè fanno, di tutto. Ci hanno pure costruito il McDonald’s lì! Siamo condizionati dalle immagini che troviamo ovunque, tanto che io mi chiedo spesso «’Ndo sto adesso?». Mi sembra tutto uguale. Ma questa non è globalizzazione, è allineamento. È roba di soldi.

D’altra parte, tutti ora possono andare in piazza e di questo sono felice. Ora che è tutta liscia, almeno sono contenta perché così potrà viverla anche chi sta in sedia a rotelle. Ci potranno vedere anche loro le cose belle che ho visto io. Per noi è una cavolata ma per loro è importante. A Ferrara qualcosa di differente c’è rispetto agli altri posti, tanti non vedono la bellezza che ha. Non sono contro il restauro di per sé, ma ho la paura di non sentire più il battito di quel cuore.

In molte tue opere cerchi proprio di far vedere anche gli altri questa tua visione di Ferrara. E proprio nella serie «Il Dio del Duomo» dai la tua rappresentazione – presa dal listone – di quell’opera monumentale che è il duomo di Ferrara.

Nella serie il duomo è visto proprio dalla parte del listone, ma come se si fosse sospesi in un punto sopra il listone, nel cielo, dall’alto. E da lì, a volo d’uccello, viene ritratto il duomo ma non in una visione prospettica. È una visione assonometrica. L’assonometria deriva dalle parole misura e asse, ovvero misurare gli assi. Con l’assonometria si vedono le stesse distanze, quindi anche se questa è la forma di misurazione più astratta, in realtà è la più reale. Invece nella prospettiva le cose le metti sul piano dell’orizzonte, cioè sul piano del futuro. Ma le cose non sono per nulla prospettiche, anzi. La realtà è fatta in un modo e noi lo vediamo in un altro. In tutte le cose che vedi, c’è sempre la linea invisibile dell’orizzonte davanti agli occhi. È la prospettiva. Se vedessimo senza questa linea, saremmo tutti d’accordo. Vivremmo solo l’oggi e non il domani, anche fare le cose senza prospettiva è toglierle dal tempo. Più facile di così!

E il toglierle dallo spazio circostante è proprio quello che fa l’assonometria. La cattedrale era per me il nucleo di tutto e ogni volta che ci passavo davanti era diversa. Il duomo è la cosa più spirituale di Ferrara. E come si fa a rappresentare lo spirituale? Non volevo la solita cartolina della facciata, così ho scelto la mia cattedrale prendendola da una cartina della città. In ogni «Dio del Duomo» che ho fatto c’è sempre un pezzo di listone, ma non tutto, solo un piccolo pezzo. Ogni quadro cambia sempre di un po’ e nessuno è mai uguale al precedente realizzato. Sono diverse aree di sosta. La cornice, in legno, è avvolta da camere d’aria che rappresentano il respiro, che è la nostra prerogativa vitale. Tutto ciò che è intorno al duomo nei miei quadri non c’è più. È nullo, come nel deserto. È di sicuro una delle cose più astratte che ho fatto. L’assonometria diventa una contro-prospettiva e dentro ci ritrovi tutte le cose che nel tempo ho trovato per terra e che vanno a finire proprio lì, nei miei quadri. In piazza ne ho trovati parecchie di cose: campanelli, monetine, chiavi… Soprattutto tra le insenature dove ci sono i ciottoli e lì vicino al rialzo del listone.

Quel rialzo che ora non c’è più…

Già. Sono felice del restauro, ma provo anche un po’ di tristezza perché ora mi è più difficile ritrovare nella piazza quei passi, i passi di Castore e Polluce, di Giorgio De Chirico e Alberto Savinio. Il senso di movimento era il fascino suo. È come se è tutto questo nuovo va a sostituire l’antico e se tu l’antico non l’hai visto non lo vedrai mica più. Voglio aspettare che sia tutta finita per sentire le sensazioni che mi darà. Spero di sentire ancora battere il cuore di Ferrara, anche se sento che è come se sia stata operata al cuore, e ora ha questa cosa, come la chiamano…

Terry, tu sai come si scrive? Terry digita qualcosa sul suo portatile.

Il pacemaker! Che dall’inglese significa segnare il ritmo. Ecco, ora Ferrara ha il pacemaker… il suo nuovo segna-ritmo.

«Il duomo è un insieme di punti. In bianco e nero. Effetto di una fotocopia. Come se si togliesse l’anima da dentro: ogni punto che lo forma ne amplifica l’astrazione. Come se nel colore ci fosse l’anima. E allora ogni volta lo prendo questo dio qui, mutevole la percezione dei suoi colori e del tempo: li tiene a sé e li rimbalza, li estrae da sé, e s’espandono intorno, nella piazza e nei suoi dintorni; e permane nell’immagine che è spaziale. Si capisce che è la cattedrale di Ferrara e si capisce che Ferrara è spaziale. E bella.

Quasi una cattedrale strabella in un mondo, intero deserto d’anime; mondo che va, di buon grado, a farsi fottere».

Terry May, Il Dio del Duomo.

1 Commento

  1. Laura scrive:

    Grande Terry!
    Come sempre, originale e bizzarra nel suo pensiero. 🙂
    Complimenti ad Anja (sempre bravissima a scrivere) e alla fotografa per le immagini che hanno colto il cuore della Homegallery di Terry.
    Laura

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.