La piccola stazione era sempre pulita e ordinata. Per arrivare ai binari si attraversava l’androne, con la biglietteria su un lato e l’orario dei treni sul muro opposto, dietro le due panche di legno che servivano da sala d’attesa.
La ferrovia passava un po’ lontana dal centro del paese, perchè il ponte sul Reno l’avevano costruito in un punto dove il fiume era più stretto e così, per raggiungerla, si era dovuta fare una strada lunga e diritta, costeggiata da due filari di pioppi che tagliavano la pianura.
Ogni mattino presto, d’estate e d’inverno, Udilio Cesari la percorreva lentamente, appoggiandosi al bastone. Andava sul primo binario, entrando dal cancelletto di fianco all’edificio, senza mai attraversare l’androne della biglietteria.
Poi raggiungeva una vecchia panchina di legno verde sul primo binario, la puliva appena con un fazzoletto e si sedeva, con il muro della stazione alle spalle.

“Pensa di certo ai suoi anni in America” mormoravano i paesani in attesa dei treni sulla banchina di fronte. Stava appoggiato con le mani sul bastone davanti a sè, con lo sguardo fisso per ore sulla campagna, oltre i binari, come se quello sfondo gli servisse soltanto per proiettare il film che stava scorrendo dietro i suoi occhi.

A differenza di tutti gli altri emigranti che dal giorno del ritorno in paese non avevano mai smesso di raccontare, davanti al bar, le cose, ogni volta sempre più prodigiose, che avevano visto nel nuovo mondo, Cesari non aveva mai detto una parola con nessuno sulla sua vita laggiù in America.
Almeno nei primi tempi rispondeva ai saluti dei vecchi amici o a quelli dei loro nipoti che gli passavano davanti, quando scendevano dai treni pieni di studenti di ritorno dalle scuole di città.

Poi aveva smesso anche di rispondere.
Stava solamente lì, fermo sulla sua panchina tutto il giorno, sino al tramonto, a guardare la pianura calma e infinita e i treni lenti che gliela nascondevano per qualche attimo.

La notte del 20 maggio, alle quattro del mattino, il capostazione si alzò dal letto quando sentì il cigolio del cancelletto di ferro che si apriva. “I soliti quattro cretini ubriachi” pensò.
Si avvicinò alla finestra della piccola casa di fianco alla stazione per aprire gli scuretti e cacciarli con un urlo minaccioso.

Dall’alto vide invece Cesari, seduto sulla sua panchina e si domandò perché mai fosse venuto in piena notte, come in tanti anni non aveva mai fatto.
“Cesari, non passano treni a quest’ora!” gli gridò, sapendo già che lui non avrebbe risposto nemmeno con un cenno del capo.
Si soffermò a guardarlo nell’oscurità, nella sua posizione di sempre, con le mani appoggiate al bastone.
Sentì improvviso un boato squarciare il silenzio, come salisse dalle viscere  della pianura e poi tutto attorno a lui iniziò a vibrare e a spaccarsi in un frastuono di rumori sconosciuti.

Corse giù per le scale rischiando di cadere, aprì la porta che dava sulla banchina dei binari, uscì e vide a pochi metri da lui la sua stazione che si apriva, sventrata dalla forza antica della terra che si era risvegliata. La guardò accasciarsi come fosse di carta,  dentro una nube di polvere bianca nel nero della notte.

Poi di colpo tutto tornò fermo come sempre e lui vide che Udilio Cesari stava ancora lì, immobile sulla panchina. Ma alle sue spalle, dove c’era la stazione, adesso si intravedeva nell’oscurità solo un cumulo di macerie e la linea lontanissima dell’orizzonte, oltre il silenzio dei campi di grano e dei frutteti.

“Ora è di nuovo soltanto pianura attorno a lui”, pensò.

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Illustrazione di Simone Campana

2 Commenti

  1. Feliciano C. scrive:

    Il Ministro Franceschini è un abile scrittore ma credo anche un avido lettore .
    Certamente nella sua libreria non manca Gianni Celati con il suo “Narratori delle pianure” e alcune opere di Giuseppe Pederiali . .. nel racconto sopra vi sono “pennellate” che ne richiamano l’inconfondibile stile.
    Se inseriva nell’ordine ;
    1)l’odore della spagnara recisa che fluttuava nel buio puntato di lucciole .
    2)il pontino all’incrocio degli scoli, oltre al quale una siepe di sicomoro accompagnava lo
    sbisciare infinito dei binari.
    3)”Tutto ciò che voleva conoscere lo aveva già imparato nell’attesa di quella littorina notturna tra i fiori di zucca,che non ha mai preso né doveva prendere,poiché passava solo affinché lui la potesse ammirare”….
    Avrei potuto anche azzardare che non gli sono sfuggiti nemmeno i racconti del giornalista e scrittore Riccardo Roversi .
    Detto questo, penso che la lettura del brano è delicatamente piacevole e racchiude una palpabile ferraresità,spalleggiata da una leggera ma inevitabile vertigine che arriva con il risveglio dei ricordi di quei terribili giorni .
    È passata… guardiamo avanti.
    saluti
    felix

    Accidenti… quasi dimenticavo … e si che in alto a sinistra ,anche se con caratteri minuscoli (forse sperava che passasse inosservato ) è riportato:
    Auguri di buon compleanno Sig. Eugenio.

  2. Eugenio Ciccone scrive:

    Grazie mille Feliciano!

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