«Conosco i miei limiti, conosco le mie difficoltà, conosco la fatica dell’esistenza, che è stata segnata per me da grandi doni, da grandi successi, ma anche da grandissimi dolori. So che la mia vita vale poco, ma è consegnata da me questa sera nelle mani di Dio: Egli ed Egli solo è la nostra forza: “Tu fortitudo mea”. E così sia».

Con queste parole Mons. Luigi Negri il 3 marzo 2013 ha concluso la propria omelia di insediamento nell’Arcidiocesi di Ferrara – Comacchio. Vecchio despota, arcigno fustigatore dei costumi, relitto di epoche pre-moderne, nemico della laicità e della libertà, bacchettone avverso ai giovani. Quante puerili definizioni gli sono state assegnate in questi suoi primi dodici mesi come Vescovo nella nostra città. Che scandalo per molti vedere un “vecchio reazionario” tenere testa alla gogna della terribile «opinione comune massmediatica[1]», un mix di giustizialismo televisivo, cieco rigetto giovanilistico, disumana indifferenza, con una verniciatura di leggera e farisaica indignazione per situazioni create ad arte dalle Iene di turno.

Mons. Negri si presentava così nel 2010 a un incontro di giovani a Macerata: «Non ho bisogno che la pensiate come me, non è un problema di opinioni. In qualsiasi talk-show televisivo ciascuno vuole imporre il proprio punto di vista. Qui invece non è in questione quello che io o voi pensiamo, ci interessa come viviamo e, la cosa più importante, qual è il senso dell’esistenza[2]». Uomo dalla voce dura, dallo sguardo fermo e severo, gli occhi schivi e accesi da una passione malinconica ma viva. Un volto terreno, di un uomo che ha sofferto molto, come ha confessato nella sopracitata omelia. In pochi hanno pensato, durante questo lungo anno, di avere a che fare con un uomo. Una delle ultime decisioni di Papa Benedetto XVI fu quella di nominarlo, il 1 dicembre 2012, Vescovo dell’Arcidiocesi di Ferrara – Comacchio. Mons. Negri commento così, a caldo, l’abbandono del Pontificato da parte di Joseph Ratzinger: «mi sono sentito come ferito da un’improvvisa lontananza[3]».

«Una responsabilità tremenda[4]» quella di guidare una Diocesi in un’epoca massmediatica come l’attuale dove la feroce folla è giudice immediato del bene e del male. Un anno durante il quale ha saggiato, forse come non mai, cosa vuol dire andare contro il “pensiero unico radicale”. Fin dai primi mesi di servizio nella nostra Arcidiocesi, ha sperimentato in prima persona cosa sia oggi affrontare alcuni temi, partendo da una concezione etica che non strizzi l’occhio alla “moda”, mettendo il dito nella piaga delle contraddizioni etiche, sociali, esistenziali tipiche del nostro tempo. In una Lettera alla Diocesi, lo scorso agosto, confessò questi suoi tormenti: «L’inizio del mio servizio episcopale a Ferrara è pieno di promesse e di previsione di fatiche. […] Vi sono elementi di fatica e di tensione che esigeranno certamente decisioni faticose».

Fu proprio lui, nel 2012, a celebrare a Pennabilli, nella provincia riminese, i funerali di Tonino Guerra, poeta che, per usare le parole dello stesso Mons. Negri, ha vissuto questa «inesorabile nostalgia del Mistero in ogni momento. […] La sua è stata un’autentica vocazione all’Infinito». Il 17 gennaio scorso si sono svolti, invece, i funerali di Don Pietro Tosi, il sacerdote autore dello stupro ai danni di una giovane, violenza dalla quale nacque Erik Zattoni. Come nella famosa diatriba sulla movida e il sagrato della Cattedrale, anche in questo caso Mons. Negri ha dovuto subire un feroce attacco mediatico. Tutto ciò, nonostante lui stesso abbia pubblicamente definito quel fatto «un avvenimento infame che non può essere in nessun modo sottaciuto o giustificato. Chi l’ha compiuto si è macchiato di un peccato innominabile. […] La volontà di negare pervicacemente qualsiasi responsabilità da parte del sacerdote, ha reso la Diocesi di allora ingiustificatamente incerta e contraddittoria nelle sue reazioni, impedendo di fatto qualsiasi provvedimento che forse anche solo il buon senso avrebbe suggerito. Siamo di fronte al mistero del male radicale, sia nelle sue origini che nelle sue conseguenze, a tutti i livelli».

Tempo fa, riguardando gli episodi ispirati alle vicende di Don Camillo e Peppone tratteggiate da Giovannino Guareschi, uno in particolare mi ha fatto comprendere cosa significhi la pietà, verso i vivi e verso i morti. Nel primo episodio della saga, del 1952, diretto da Julien Duvivier, Peppone, sindaco comunista di Brescello, contro il parere iniziale di tutti i consiglieri comunali del paese decide di assecondare le ultime volontà, espresse in punto di morte, di un’anziana monarchica, di poter posare la bandiera sabauda sulla bara durante il corteo funebre.

Un ottimo esempio, in tempi dominati da contrasti ideologici spesso aspri, di quale sia il significato autentico del termine “laicità”. «Laicità vuol dire avere il senso del popolo, avere il senso che la società è una cosa seria, che nella società ci si mette insieme per valori positivi, per realizzare la famiglia, gruppi di famiglie, opere culturali e sociali. La famiglia è alla base di una società, naturalmente la famiglia crea una società. […] La Costituzione affermando […] che la Repubblica riconosce la famiglia come cellula della società, dice quello che abbiamo espresso finora. Lo stesso Palmiro Togliatti, segretario politico del Partito Comunista Italiano, capì che non si poteva attaccare questo principio, altrimenti si sarebbe attaccata la sostanza laica del nostro popolo[5]».

Il sagrato della Cattedrale di Ferrara è diventato, in quest’ultimo anno, un vero e proprio campo di battaglia: un simbolo della laicità dunque, a dimostrazione di come la polis debba essere luogo di incontro e di confronto. Purtroppo però non si è colta del tutto quest’occasione, riducendo la discussione a un triste balletto di indignazioni, di distinguo, di attacchi personali e pregiudiziali. La laicità da luogo dell’uguaglianza si sta trasformando in spazio spersonalizzato, da luogo correttamente neutrale sta diventando patria dell’indifferenza, da luogo di un attivo pluralismo si sta mutando in rappresentazione del relativismo edonista.

Al contrario, usando ancora le parole di Mons. Negri, «la laicità sta nel fatto che l’uomo si misura con la realtà in modo sincero e incondizionato, e non sovrappone alla realtà nessuna visione precostituita. […] La laicità è vivere la problematicità dell’esistenza senza nessun pregiudizio[6]».

Oggi, in una società in crisi come la nostra – crisi etica prim’ancora che economica – sembra invece più conveniente assecondare le pulsioni della maggioranza. La verità, e la sua ricerca, sono diventate scomodi ostacoli da rimuovere, inutili orpelli appartenenti a epoche passate. Una delle menti più lucide del Novecento, Pier Paolo Pasolini, ha vissuto nella propria carne questa condizione, lasciandoci un insegnamento ancora oggi fondamentale: «sento ormai intorno a me lo “scandalo dei pedanti” – seguito dal loro ricatto – a quanto sto per dire. Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo […]. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà[7]».


[1] LUIGI NEGRI, Emergenza educativa, Incontro con gli insegnanti della Diocesi di San Marino-Montefeltro, 21 ottobre 2007.

[2] LUIGI NEGRI, Parole di fede ai giovani, Incontro con i giovani di Macerata Feltria, 19 marzo 2010.

[3] http://video.sky.it/news/mondo/dimissioni_papa_le_parole_di_luigi_negri/v150200.vid .

[4] LUIGI NEGRI, Omelia d’insediamento Arcidiocesi di Ferrara – Comacchio, 03 marzo 2013.

[5] LUIGI NEGRI, Emergenza educativa, Lezione tenuta presso la Parrocchia Maria Assunta, Buccinasco, 15 settembre 2007.

[6] Ivi, Riflessioni con gli insegnanti della Scuola Superiore di San Marino sul discorso che Papa Benedetto XVI avrebbe pronunciato alla Sapienza, 22 febbraio 2008.

[7] P. P. PASOLINI, Lettere luterane, 1975.

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