«Vorrei fare un patto con voi. Insomma, invece di chiedervi dei soldi vi chiederò una parola. Voi mi date una parola, io prendo la parola e poi… e poi scriverò una poesia che contiene la parola. E se vi piace, ossia se vi piace la mia poesia, se sentite che ha aggiunto qualcosa alla vostra vita, allora potete pagarmi quello che vi pare».

Ad animare uno spezzone di ‘Prima dell’alba’, film del 1995 di Richard Linklater, è la voce di un poeta che incrocia i passi dei due protagonisti, lungo una sponda del Danubio, nel buio di Vienna.

La notte come sfondo, la parola come dono, la poesia come strumento. Gli ingredienti cinematografici ci sono, ma quello che va in scena a Ferrara, in Biblioteca Ariostea, nelle ore a cavallo fra il 21 e il 22 marzo, ha piuttosto il sapore ‘sportivo’ di una maratona. Una sorta di staffetta letteraria fra insoliti atleti che, in un quarto d’ora a loro disposizione, regalano la propria voce all’inchiostro. ‘La 24 ore della poesia – Non si uccidono così anche i poeti?’ riceve il suo battesimo nella città estense dall’arrivo ufficiale della primavera. A promuovere l’evento, che cade in concomitanza con la celebrazione della ‘Giornata mondiale della poesia’, il servizio biblioteche e archivi del Comune di Ferrara insieme a una serie di associazioni culturali della città. Un’iniziativa incastonata all’interno di un contesto più generale di laboratori, interviste, letture e intervalli musicali. A farci da guida e a raccontarci qualche retroscena della maratona di poesie è Alberto Amorelli, poeta, presidente del Gruppo del Tasso nonché redattore di Listone Mag.

Come è nata l’idea dell’iniziativa?
Da tempo a Ferrara, per celebrare la ‘Giornata mondiale della poesia’, vengono organizzati dibattiti in Biblioteca Ariostea. Fausto Natali, referente per le attività culturali della Biblioteca, ha proposto di aggiungere alla consueta tavola rotonda, una maratona notturna di poesie e l’idea è piaciuta molto.

Quali realtà culturali ha coinvolto?
In primo luogo il Gruppo scrittori ferraresi e il Gruppo del Tasso. I primi, nella giornata di venerdì, hanno dato vita a una tavola rotonda e a una serie di letture fino alle 22. Poi siamo entrati in gioco noi, del Gruppo del Tasso, con la maratona notturna aperta a tutti.

Le parole che compongono il sottotitolo, ‘Non si uccidono così anche i poeti?’, sono legate a una scelta precisa?
C’è il richiamo al film drammatico del 1969 di Sidney Pollack, ‘Non si uccidono così anche i cavalli?’. Ma è un riferimento scherzoso, un po’ per sdrammatizzare l’ipotesi di come ci siamo ridotti la mattina dopo.

A chi si è rivolta la maratona?
Non c’è una categoria particolare. Chiunque voleva condividere le poesie che lo appassionano ha avuto la possibilità di iscriversi.

Foto di Andrea Bighi

Come si è articolata nel corso della notte?
Ogni iscritto ha avuto a disposizione in totale un tempo di circa dieci, quindici minuti per la poesia, o le poesie, che ha scelto. Potrà anche leggere testi che ha composto lui. La lingua scelta potrà essere italiana o straniera.

Quante richieste sono pervenute?
Circa una ventina.

Sono nomi conosciuti nella realtà di Ferrara o persone comuni?
Ci sono entrambi i casi. La maggior parte di loro sono nostri soci e alcuni hanno già avuto modo di pubblicare qualcosa. Altri sono insospettabili appassionati di poesia.

Chi ha inviato la sua adesione non era tenuto a indicare la poesia scelta, ma solo a concordare l’orario della lettura. Come mai questa scelta?
Non volevamo mettere troppa pressione addosso a chi ha partecipato. E poi ci piaceva l’idea di creare un effetto sorpresa.

Sono stati letti testi scritti di ogni tipo, come anche brani musicali. Che cosa rende poetico un testo?
Secondo me, anche quando un testo non può essere definito canonicamente una poesia, se riesce a suscitare un’emozione, significa che il suo messaggio ha fatto un salto universale. La poesia dovrebbe rendere il messaggio del poeta, non dico condivisibile, ma comprensibile agli altri.

Tu come sei arrivato alla poesia?
Senza rendermene conto. A quindici anni non trovavo altro modo che non fosse quello. Poi mi sono accorto che le persone condividevano quello che scrivevo. Ci vuole anche una dose di coraggio, perché quando si scrive inevitabilmente ci si espone alle critiche.

La sensibilità di un poeta è più sollecitata dalle armonie o dalle disarmonie della realtà?
A me piacciono le disarmonie. Se il poeta riesce a coglierle, vuol dire che ha saputo leggere la società.

Ci sono casi di poeti inconsapevoli?
Assolutamente sì.

Una volta terminata la maratona, intorno alle due di notte, è partito il ‘MasterPoet’. Ci racconti di cosa si tratta?
Un’iniziativa a metà fra la gara e il gioco, nata inizialmente per colmare un buco temporale. Ragionando con Fausto su cosa organizzare, una volta terminata la maratona, abbiamo pensato a un contest fra poeti. In funzione del numero dei partecipanti sono previste delle manches, per arrivare alle fine a un vincitore che riceverà una targa. Peraltro le poesie dei partecipanti saranno pubblicate su un e-book.

Sei stato uno dei tre giurati, insieme al poeta Matteo Bianchi e all’editrice Silvia Casotti. A quale criterio hai fatto riferimento per premiare il migliore?
Alcune prove prevedevano l’estrazione di un vocabolo che i partecipanti dovevano inserire nel loro componimento, in un tempo predefinito. In quel caso abbiamo valutato ad esempio l’abilità del poeta nell’incastrare la parola nelle sue liriche.

La lunga notte della poesia ha il volto di una biblioteca il cui portone d’ingresso è rischiarato dal bagliore di una dozzina di faretti. La poetessa Rita Montanari inaugura il percorso della carovana dei partecipanti. Al viavai dei ‘maratoneti’ intorno al leggio, corrisponde un andirivieni del pubblico in sala. C’è chi si dilunga in spiegazioni prima della lettura dei versi, chi accenna una breve descrizione delle liriche scelte, chi opta per il suono di una lingua straniera. Qualcuno aggira la postazione del leggio e approda al porto più sicuro del tavolo con le sedie. Gli autori selezionati talvolta sono varchi in memorie adolescenziali, ricordi di scuola che riaffiorano luminosi ai nomi di Eugenio Montale, Cesare Pavese o Aldo Palazzeschi. C’è anche posto per l’estro di chi compone le proprie poesie e prova a lanciare un ponte a chi è lì per ascoltare. Ognuno recepirà in virtù della sua sensibilità.

Il ritmo, con le ore che trascorrono, subisce anche momenti di calo. Eppure, il richiamo evocativo delle parole ha il potere di ridestare improvvisamente l’attenzione. Così Alda Merini, Bertolt Brecht, Dylan Thomas, Allen Ginsberg, Charles Bukowski (e l’elenco potrebbe continuare), diventano il testimone vivo, che cambia, di una staffetta che arriva a destinazione poco prima delle due di notte.

Per i più impavidi, la vera prova di resistenza fa irruzione a quell’ora. I nove iscritti alla prima edizione del MasterPoet sono Raimondo Galante, Anna Bondani, Eleonora Rossi, Giuseppe Pietroni, Stefano Urban, Carlo Bollani, Virginia Mancini, Elisa Orlandini e Lara Cantarelli. Saranno proprio le ultime due a contendersi la vittoria, dopo una competizione agguerrita, suddivisa in ben sette manches. Fra parole pescate nei bigliettini, come ‘risacca’, ‘rabbia’, ‘marmo’, ‘smarrimento’ o ‘compagnia’, intorno alle quali costruire o evocare un messaggio poetico, e divisioni in sillabe, necessarie per realizzare un haiku, la competizione volge al suo termine poco prima delle cinque del mattino. Per la cronaca, la spunterà Elisa nella prova finale, mentre gli applausi del pubblico di reduci saluteranno un esperimento destinato a ripetersi in futuro.

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