«Quel che sogno è un’arte fatta di equilibrio, purezza e tranquillità…qualcosa come una buona poltrona». Chissà a cosa avrebbe pensato Henri Matisse se avesse potuto assistere, seduto sul grande divano bianco nella saletta di “You & Tea”, al secondo dei cinque incontri dedicati alla sua mostra di Palazzo dei Diamanti, svoltosi mercoledì 12 marzo nella sala da tè di via de’ Romei, 36/A.

Ogni tappa di questo tour in diversi esercizi commerciali del centro storico vede Maria Chiara Ronchi, vice presidente Confesercenti Ferrara e titolare della società “Itinerando”, proporre agli avventori una spiegazione delle opere presentate a Palazzo Diamanti nell’esposizione “Matisse, la figura. La forza della linea, l’emozione del colore”, in programma fino al 15 giugno prossimo.

“Un tè con Matisse” – ispirato al film di Franco Zeffirelli del 1999, “Un tè con Mussolini” – è il titolo assegnato al secondo appuntamento. “You & Tea” riprende l’idea del negozio abbinato al locale, già sperimentato nella nostra città, ad esempio, da “Cusina e Butega” in C.so Porta Reno. Tra una lattina di Betjeman & Burton e una tavoletta di cioccolato, tra un contenitore di fior di sale di vaniglia e una fetta di cheesecake, si entra nel locale accolti (o meglio, avvolti) dal profumo delle varie essenze fumanti dalle grandi tazze bianche o trasparenti.

Le pareti dell’area negozio/bancone, dove vi sono anche alcuni tavoli e poltroncine, sono di un verde chiaro e diventano ambrate nella saletta dove si svolge l’incontro, autentico angolo di pace, privo di finestre e isolato dall’entrata principale. L’ambiente spoglio ma attraente accoglie coppie o terne di signore, alcuni ragazzi, persone sole, le quali sorseggiano il tè già nell’attesa. In quest’ora di viaggio pare di sprofondare nella gialla poltrona della donna seduta con i piedi nudi[1], o sul cuscino blu di un altro soggetto[2] del pittore francese, o di scivolare sul tappeto persiano di fianco alla sensuale odalisca[3].

Foto di Pier Paolo Giacomoni

Una ragazza si sporge curiosa sulla soglia della saletta: ha i crespi capelli legati da un nastro dello stesso verde della sala grande. Sui tavolini sono appoggiate alcune ciotole con diversi tipi di biscotti pronti per essere immersi nella calda bevanda servita da Michele, che con discrezione si aggira tra i tavolini. La stessa relatrice, pochi minuti dopo aver iniziato a parlare, e durante gli applausi finali, si versa nella larga tazza bianca un sorso di tè – che, dirà dopo, «profuma di tabacco». I visi languidi e rilassati, a tratti trasognati, accompagnano il lento spargersi dell’odore dei tè nell’aria, un aroma leggero e accogliente.

Maria Chiara Ronchi spiega come la mostra ai Diamanti sia «difficile, non immediata» e incentrata sulla figura, «quasi un’ossessione per Matisse». Negli ultimi anni della sua vita ebbe a dire: «Ciò che m’interessa di più non è né la natura morta, né il paesaggio: è la figura umana; solo lei mi consente di esprimere meglio il mio sentimento, quasi religioso, della vita».

Matisse ha dovuto lottare contro la propria famiglia d’origine, soprattutto il padre, per non indossare la toga d’avvocato ma per entrare in una “sorta di Paradiso”, per dipingere le sue donne carnali, i suoi variopinti soggetti. Questa fauve col pennello attratta «dall’espressione, da un uso emotivo del colore, non da un dato oggettivo di descrizione», si potrebbe definire – nonostante abbia vissuto gli orrori di due Guerre mondiali – il “pittore della felicità”, una pittura non frivola ma che «consola dalle fatiche quotidiane». Il tintinnar dei cucchiaini sui piattini fa da leggero sottofondo alla voce della Ronchi, mentre le immagini dei dipinti sullo schermo richiamano i colori del locale, dei centrini, delle varie sostanze dei tè e degli infusi. Sono colori vivaci, pieni quelli di Matisse, che catturano con forza chi li osserva. Le sue tele vanno ammirate, nelle varie sfaccettature, con occhi infantili, curiosi, senza pudore, senza sovrastrutture. Grazie all’armonia delle sue linee e alla suggestione dei suoi colori, è riuscito a creare un universo che ci permette di trasfigurare il nostro sguardo sulla realtà. Nel ’38 scrutando l’orizzonte dalla collina di Cimiez, a Nizza, affermò:

«Da quassù tutto brilla e risplende (…). A volte mi dico che noi profaniamo la vita. A forza di vedere le cose, non le guardiamo più. Io dico che bisognerebbe cominciare dalla rinuncia. Turner viveva in una cantina buia. Una volta alla settimana faceva aprire la finestra e allora che incandescenza, che splendore».

Bisognerebbe, dunque, lasciarsi trasportare nell’atelier di Matisse e con questo spirito ammirare le sue opere, e allo stesso modo ammirare la natura, ogni particolare delle nostre giornate. Bisognerebbe sentirsi come la donna con la sciarpa bianca[4], che sembra, come nei sogni, appoggiare sul nulla, che pare avere la consistenza di una fantasia, pur essendo reale, pur essendo la creazione di «una vita consacrata alla ricerca della verità».


[1] “Donna in poltrona”, 1940.

[2] “Nudo su cuscino blu”, 1924.

[3] “Odalisca con i pantaloni grigi”, 1926-‘27.

[4] “Nudo con sciarpa bianca”, 1909.

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