Ormai qualche mese fa, mentre salivo le scale che conducono alla porta di casa, vengo fermato dalla voce di un’anziana signora, che stava facendo il mio stesso tragitto. Mi chiese se avevo e potevo prestarle le chiavi della cantina comune, che probabilmente aveva perso o dimenticato da qualche parte. Asserii e consegnai le chiavi alla vecchia che prontamente mi disse:

– Quando posso riportargliele?

– Quando vuole signora, tanto non le uso mai, guardi, anche tra un mese!

– Va bene, allora domani mattina te le porto: per che ora? Posso suonare il campanello?

– Certamente, nessun problema, lei suoni che dei quattro che vivono in questa casa, qualcuno le aprirà di sicuro!

– No sa – proseguì lei – so che solitamente voi studenti dormite fino a tardi, mezzogiorno giù di lì e preferirei non disturbarvi.

La prima domanda che mi sorse in quel momento fu: come fa la vecchia a conoscerci così bene? E nello stesso istante un’altra domanda leggermente più seria mi assalì: l’immaginario collettivo del cittadino comune nei confronti degli studenti, è possibile che sia lo stesso della vecchia? Tuttora non ho risposte a questi quesiti ma di sicuro mi sono informato sul contrario, ovvero sulla fazione opposta, quella di cui faccio parte, quella dei dormiglioni, quella che crea infine l’immaginario collettivo. Cercando di fare un passo in più nello scoprire quel mondo sotterraneo di vita universitaria ed andando oltre la già provata immaginazione.

“Due treni al giorno, due all’andata e due al ritorno, i ritardi di Trenitalia, una camminata di mezz’ora, il sonno e la non completa voglia di tutto questo sbattimento, nonostante il dovere”. Non è una poesia di Emanuel Carnevali, ma quello che mi dice Nicolò descrivendomi la sua vita da pendolare: da un paesino in provincia di Rovigo all’Università di Ferrara. Perché non a tutti piace il romanticismo delle stazioni e l’essere stipati tra un sedile ed una valigia. Sono sei anni che Nicolò, studente di Comunicazione, frequenta praticamente tutti i giorni questa città e ne percorre le vie. A proposito di questo dice: “Ferrara è una sorta di prototipo di città perfetta: a misura d’uomo, non caotica e fredda come i grandi centri urbani, ma al tempo stesso non è nemmeno statica e noiosa come possono essere altre cittadine. Camminando per le sue strade, si ha come l’impressione di essere a casa e non essere mai estranei a nessun luogo. Alcune volte mi fermo a casa di amici, che mi ospitano per qualche serata ferrarese. Oppure interessandomi alla filosofia, gradisco molto partecipare agli Aperitivi Filosofici organizzati di tanto in tanto nei bar del centro, ma di solito ritorno a casa con uno degli ultimi treni, per poi prendere uno dei primi in mattinata e tornare su di nuovo”.

Sembra che anche per Gustavo, Ferrara in qualche modo abbia lo stesso sapore. Lui, che non fa due ore di treno ogni giorno per arrivarci ma arriva da molto più lontano. “Arrivo dall’Angola” mi racconta “ma abito qui da quattro anni, da quando mio zio mi ha iscritto all’università. Il primo anno abitavo nello studentato di via Putinati, in gestione all’azienda regionale per i diritti allo studio ER-GO. Ci ho vissuto un anno, perché avevo vinto una borsa di studio che mi permetteva di accedervi. Frequentavo il corso di laurea in Informatica, ma la matematica non è mai stata una mia grande passione, per cui non ho raggiunto i 60 crediti necessari per avere di nuovo una borsa di studio ed ho dovuto cambiare residenza. Ora grazie al consiglio di un parroco, condivido una camera con il mio amico Hotens al Collegio Arcivescovile di via G. Fabbri”.

Alla mia domanda: come si vive in questo studentato, c’è un regolamento da rispettare? risponde: “Si sta alla grande, risparmiamo rispetto agli affitti degli appartamenti e siamo tranquilli. Non ci sono particolari regole, abbiamo un’entrata indipendente per arrivare alla camera e non dobbiamo rispettare orari rigidi. Questo è un collegio solo maschile e non si possono portare ragazze in camera, ma io sono fidanzato e peraltro non sono un tipo mondano, per cui per me non è un grosso problema! Un paio di volte a settimana vado in palestra, la sera guardo un bel film o passo qualche ora con la mia ragazza su Skype. Generalmente me la vivo così”.

Mica tutti gli studenti però sono così diligenti e visto che l’università è per molti la prima esperienza di vita fuori casa, ci si vuole anche divertire e sprecare del tempo, meritandosi quindi i commenti tipo: dormono, si ubriacano e vogliono solo far festa, come alcuni pensano.

Per questo a volte capita di passeggiare per alcune vie anguste, in cui non sembra esserci anima viva e sentire ululati e sbraiti che pensavi di poter sentire solo al circo. Invece è proprio lì che stai sbagliando, perché l’inaspettato appare. “Le feste private in casa sono una figata!” mi dice Luca, che dalla sua, in quattro anni di università ne ha viste tante. “Chiaro, se sono fatte a casa tua non proprio, perché poi continui a vivere per giorni nell’immondizia in cui viene ridotto l’appartamento. Bisogna pulire e riportare tutto alla decenza. Comunque ne vale la pena visto che a Ferrara di locali in cui passare serate fino a notte inoltrata ce ne sono pochi”. Chiedo come si organizzano queste feste, si è in pochi intimi, o viene un po’ chi vuole. “Di base si invitano amici e compagni di corso, poi si aggiungono contatti che vanno oltre la propria stretta cerchia di conoscenze e così si raggiunge un numero di persone che permette di andare oltre l’intimità di pochi. Altrimenti leggo di tanti eventi Facebook, che però da un certo punto di vista sono pericolosi. Possono scapparti di mano e riempirti la casa di sconosciuti che si appropriano dei tuoi divani, brindando con le tue birre con altri sconosciuti”. Ricorda un episodio in cui, durante una di queste feste a casa sua, al quarto piano del condominio, ragazzi mai visti facevano entrare loro amici, senza chiedere nessun permesso ai legittimi proprietari. Oppure di quella volta in cui vide frantumarsi a terra la televisione cadendo dal mobile, mentre uno dei suoi coinquilini cercava di calmare la vicina sofferente d’insonnia per colpa loro.

Posso immaginare ovviamente che questi siano casi limite, sia da una parte che dall’altra, nel bene e nel male. Johnny invece mi sembra nella media. Preferisce dormire fino a tardi, svegliarsi e curarsi solo di fare una buona colazione per affrontare il pomeriggio, dirigendosi verso una laurea in Economia. “Ormai i periodi del divertimento e delle serate sono terminati. Ogni tanto qualche bella nottata la si passa ancora, ma credo che ogni cosa abbia i suoi stadi. Riscopro Ferrara in modo diverso ogni anno da quando mi sono trasferito qui – dice – e per quanto paradossale, trovo nel suo piccolo sempre qualcosa di nuovo. Ora preferisco le belle cene, con una bella bottiglia di rosso, magari grigliando con il barbecue d’estate in terrazza. Bella compagnia e un po’ di buona musica” mi spiega sorridendo. Mentre prima dove bazzicavi più spesso? “I locali che ci sono qui, li ho girati come tutti quasi tutti. L’aperitivo ai Due Gobbi, il concerto da Zuni o alla Resistenza, qualche birra al Clandestino, ascoltare un po’ di musica al Bolognesi, oppure farsi una lunga camminata per andare fino al Renfe il mercoledì sera. Queste sono le alternative da scegliere in base ai diversi giorni di chiusura”.

In conclusione anch’io frequento quasi tutti questi locali e ho guardato film o serie tv per nottate intere. Sono stato invitato anche a feste più o meno divertenti, piacevoli ed interessanti. Da concertini acustici a casa di amici, a piccole mostre fotografiche installate sui muri del salotto, passando non con meno piacere in quelle degenerate e disastrose. Sarà che sto diventando vecchio e più vicino alla non-pensione, ma pensando a queste ultime, io mi sarei incazzato se uno sconosciuto si fosse bevuto la mia birra seduto sul mio divano con altri sconosciuti.

 

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