Parto da un dato di fatto: rispetto a qualche anno fa i corsi di prepugilistica sono decisamente aumentati a Ferrara. Da pochissimi spazi periferici si è rapidamente arrivati a una presenza capillare di luoghi dove si propone, in maniera più o meno fedele, l’attività propedeutica alla noble art, con tanto di infinite divagazioni sul tema come fit-boxe, boxe-music, soft-boxe e via andare.

Tra i fattori che hanno portato a questa espansione, una spinta importante l’avrà probabilmente data la ribalta nazionale dei boxeur estensi. I diversi titoli recentemente conquistati hanno spinto anche l’assessorato comunale allo sport a istituire per la prima volta la “Giornata del pugilato”, per dare risalto all’impegno e ai risultati ottenuti soprattutto nel 2013 dagli atleti e dalle rispettive società sportive – tema al quale dedicheremo presto uno spazio -.

Considerando tuttavia quanto latiti l’informazione sportiva non calcistica in Italia, quali altri fattori possano aver spinto così tanti ragazzi e ragazze ad avvicinarsi a questa disciplina? Il piacere sadomaso di qualche naso rotto non pare una motivazione sufficiente, per quanto stimolante in tempi di crisi e frustrazione.

Una prima risposta viene dal pugile e istruttore Jorge Alberto Pompè, che evidenzia come stia cadendo quel muro di violenza dietro al quale molti immaginavano questo sport – «le persone si sono semplicemente accorte del fatto che nessuno si fa male» -. Altre attività di combattimento, tra cui molte arti marziali, sono state sdoganate da anni grazie al cinema che ne ha dipinto i lati morali e formativi, mentre la boxe è stata racchiusa entro le corde del suo ring, tra occhi neri, volti tumefatti e labbra sanguinanti. Sorvolando sull’effettivo arricchimento morale portato da esempi come Karate Kid, appare evidente come nell’immaginario di una madre sia normalissimo portare i figli a lezione di judo e difficilmente immaginabile accompagnarli a pugilato. Il candido karateka, in armonia con il cosmo e con il junco sul quale sta in equilibrio, si contrappone al rozzo pugile galeotto che si allena picchiando i manzi appesi ai ganci del mattatoio.

Foto di Sandro Chiozzi

Allargando l’indagine si arriva ai praticanti. A loro chiedo le ragioni che, fuori dai denti e senza panegirici, fanno aumentare i guantoni da dieci once in circolazione. Ecco il sunto delle interviste compiute in pieno stile Missouri 4 (cfr: “Gazebo” su Rai Tre).

«Ho sempre voluto farlo ma prima i corsi si tenevano fuori mura».

Considerare la distorta percezione delle distanze che affligge chiunque abiti a Ferrara, aiuta a comprendere la rilevanza della questione. Fare attività fisica per andare a fare attività fisica da molti è considerato reato.

«Mettere le fascette nere ai polsi mi fa sentire troppo fico».

C’è poco da discutere, alcuni rituali di questo sport sono entrati nell’immaginario collettivo tra videogiochi, film e personaggi leggendari. É bello sentirsi dei duri anche se solo per pochi istanti, il tempo di fasciarsi polsi e pugni.

«Brucio come a frequentare un corso di aerobica ma senza la para delle cinquantenni gnocche in tutina».

Commento?

«Imparare a dare due cazzotti male non fa».

Vivendo a Ferrara l’autodifesa fortunatamente non è una priorità, ma sapersi difendere dal vicinato o dai ciclisti spregiudicati torna sempre utile.

«Mi fa sentire come quando finivo di fare le vasche in piscina, bellissimo».

Il kit indispensabile comprende una felpa con il cappuccio, da sollevare a fine allenamento per coprire il capo fumante di un corpo esausto, non ha prezzo.

«Vuoi mettere dire che vai a boxe, rispetto a dire che vai in palestra?»

Oggettivamente il fascino di questo sport rimane immutato negli anni e il fatto di praticarlo, seppur nella sua versione light, qualche punto in più lo regala sempre.

Chiarite le ragioni del crescente interesse, subito un altro dubbio comincia ad arrovellarmi. Rientro personalmente – per buona parte delle ragioni appena elencate – nelle fila di chi frequenta con passione e scrupolosa saltuarietà un corso di prepugilistica, ma per scelta personale i miei unici avversari sono dei sacchi. Alcuni aggressivi e robusti, altri più smilzi e timidi. So già che il mio allenamento non arriverà mai al suo fine ultimo, non salirò mai sul ring, magari qualche scambio amichevole con altri ragazzi del corso ma nulla più. Ecco, qui sorge l’ulteriore annoso dilemma: può esistere prepugilistica senza pugilato? Gioca a calcio chi fa le partitelle a due tocchi con i birilli come porte e mai una partita a undici con gli amici che insultano l’arbitro? E come mai, nonostante anche alla maratona oppure a ginnastica artistica ci si debba avvicinare con un’adeguata preparazione, il pugilato è l’unico sport con un “pre”? Non faccio in tempo a scriverlo che mi viene in mente la presciistica, attività che non ha ovviamente la stessa rilevanza (e inoltre chi la pratica si trova in una situazione diametralmente opposta, ossia preferisce dire agli amici che sta andando a lezione di zumba), per cui la domanda resta valida.Come mai il pugilato è quasi l’unico sport con un “pre”?

Dopo giornate insonni e ricerche etimologiche sempre Jorgè mi fa intravedere la luce, raccontandomi di quando a Buenos Aires, nel 1988, iniziò a insegnare nella palestra di Miguel Angel Castellini – campione del mondo WBA nel 1976 –. Teneva un corso di… boxeo recreativo. Questo termine, tuttora usato per indicare la prepugilistica nei Paesi di lingua spagnola, chiarisce bene il senso dell’attività, che si differenzia dal pugilato vero e proprio essenzialmente per l’assenza del contatto e quindi per la sua connotazione di svago e ristoro.

Una distinzione semplicistica e un neologismo rubato ad un amico mi aiutano a riassumere il tutto: esiste il pugilato e, un poco più in là, il pugilismo con i suoi derivati. Si riesce così a dare al primo la piena dignità che merita e a scherzare un po’ con il secondo, alleggerendolo da quel “pre” così ingombrante.

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