In questo mite inizio di marzo ci sono state coincidenze e incroci cinematografici/geografici da far girare la testa, costruiti da puntini invisibili, scritti con l’inchiostro simpatico, che una volta rivelati vicino alla fiamma della candela oh, che vertigine!

Il puntino della primavera

Il puntino iniziale, quello dall’alto della vertigine da guardare con la mano sulla fronte a fare ombra, può essere fissato il giorno del compleanno di Giorgio Bassani, il 4 marzo (del 1916 a Bologna) e quello finale 98 anni dopo, questo 3 marzo dell’Oscar a La grande bellezza e in mezzo Ferrara, Roma, un paio di libri e il verde degli alberi, tanti alberi.

Nel 1972 Il giardino dei Finzi Contini, per la regia di Vittorio De Sica, vince l’Oscar come miglior film straniero (nel 1972 Kurosawa era vivo e l’Unione Sovietica pure, come testimonia la lista dei film stranieri nominati). Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Bassani, si svolge a Ferrara, la Ferrara di Corso Ercole I d’Este, dei giardini, delle biciclette e della luce gialla, tra il 1938 e il 1943 e narra la formazione di un gruppo di ragazzi, nella maggior parte ebrei, della Ferrara borghese; gran parte dell’azione si svolge dentro il giardino del titolo perché con l’entrata in vigore delle leggi razziali  meglio restare a casa, non si sa mai, e se la casa ha un parco meraviglioso con tanto di campo da tennis e amici da invitare per pomeriggi di infinite partite, meglio ancora. Un film, un romanzo, che dunque si svolge dentro, perché dentro si è protetti e nulla può accadere, come dice Alberto Finzi Contini:  «No, io non esco mai, e poi per andare dove? Se uno potesse scegliersi le facce da incontrare per la strada allora sì ma io invece ogni volta che sono uscito mi sono sentito spiato, invidiato.» Dentro il parco il mondo non può entrare e infatti quando i fascisti arrivano per il rastrellamento ed entrano nel parco con l’auto, fino ad allora solo le biciclette dei ragazzi vi si erano avventurate, è l’inizio della fine, i Finzi Contini escono per non rientrare più.

«Quando sono arrivato a Roma, a 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che potrebbe essere definito “il vortice della mondanità”. Ma io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire.» Jep Gambardella 42 anni dopo, a Roma. Nelle oltre due ore e mezza di film, Jep è quasi sempre fuori, in giro, all’esterno, da qualche altra parte; quando non è fuori il soffitto diventa il mare che insomma, se non è sinonimo di spazio aperto lui. Le interminabili passeggiate, gli spazi aperti, terrazze delle feste comprese, che scandiscono La grande bellezza sono il negativo della fotografia del parco di villa Finzi Contini; là dove le candide divise per il tennis annunciano un mondo che sta per finire, qui le prove di Sabrina Ferilli per l’abito da indossare a un funerale dicono che tutto è stato perduto e che a noi va benissimo così.

Il puntino dei libri

Giorgio Bassani era nato in primavera, i due Oscar sono stati vinti in primavere molto distanti tra loro ma sempre quando il freddo era finito ed entrambi i lungometraggi sono governati da un libro; il film di De Sica è tratto – uscito fuori – dal romanzo di Bassani (a sua volta facente parte del ciclo che nel 1980 l’autore ha pubblicato come Il romanzo di Ferrara) e, per quanto Bassani pur inizialmente collaborando se ne sia poi distaccato fino a far togliere il suo nome  dai titoli, ne ricalca perfettamente i modi, le sensazioni, l’aria rarefatta di una decadenza anticipata, Ferrara.

Jep Gambardella ha invece scritto un unico romanzo in gioventù, L’apparato umano (inizialmente doveva essere anche il titolo del film), che gli ha riservato un posto temporaneo nell’empireo dell’elite culturale italiana e che con tutto il suo carico di rimpianti e malinconia da unico-libro, è uno dei motori dentro La grande bellezza.

Il puntino del verde e dei luoghi

Le mura di Ferrara come il parco degli Acquedotti, il parco  di villa Finzi Contini, nella realtà il ferrarese Parco Massari, come il parco di villa Medici. Il giardino nel film di De Sica protegge e abbraccia fino all’ultimo i suoi abitanti; l’ultimo fotogramma è il campo da tennis, deserto.

Entrambe sono lo sfondo, la cornice e allo stesso tempo attrici principali senza le quali la storia non potrebbe essere. Ferrara ci costringe e ci protegge nella sua immobilità grigia, gli stessi cognomi sui campanelli da sempre. Roma ci fa riempire i polmoni di aria e ci fa perdere sulle sue isole senza farci trovare la terraferma illudendoci di essere liberi.

Bassani si  è spento a Roma, nel 2000, dopo avervi trascorso quasi metà della vita.

Jep Gambardella continua a non far fallire le feste.


Il giardino dei Finzi Contini

Padre di Giorgio: nella vita se uno vuole capire, capire veramente come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta.
E allora meglio morire da giovani quando uno ha tanto tempo davanti a sè per tirarsi su e resuscitare; capire da vecchi è molto più brutto, come si fa, non c’è mica il tempo per ricominciare da zero.

La grande bellezza

Jep Gambardella: la più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

1 Commento

  1. giorgia scrive:

    ieri sera ho rivisto il film il giardino dei finzi contini…da commuoversi per quanto è bello, da come Ferrara ne esca vincitrice. .

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