Sì può provare nostalgia per qualcosa che non si è mai vissuto? Questa è la prima domanda che mi viene in mente quando mi alzo dalla comoda poltroncina della Sala Estense e mi incammino verso casa, dopo una serata passata a sbirciare i ricordi degli altri. Ricordi che comprendevano Fiat Cinquecento parcheggiate sul listone, bagagliai stipati per raggiungere le pinete quasi vergini dei Lidi, adolescenti capelloni, la voce di Milva, il primo transessuale approdato in città, tale Lucy.
Martedì sera il format ormai pluriennale del “Made in Fe” – varietà ideato e condotto da Paolo Franceschini  e Andrea Poltronieri – ha voluto proporre al pubblico qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso: una puntata tematica dedicata agli anni Sessanta a Ferrara. 
Guest star dell’evento la band dei 60 Lire, ovvero Michael al microfono, Cama alla chitarra, Peri al basso e Riccardo alla batteria, accompagnati per l’occasione dalle tastiere di Stefano, già cantante e pianista dei Koiné. I ragazzi dal 2010 suonano assieme e vivono assieme, «ma c’è anche il cane Franco, la cui intelligenza fortunatamente alza la media della casa». L’affiatamento è totale e sul palco si sente. Sono giovani ma scafatissimi, specializzati nel repertorio italiano anni Sessanta, veri e propri trascinatori di folle. Completini in velluto, mossette, ginocchia che dondolano e pathos quanto basta.
Il pubblico cantava in coro e sapeva ogni brano a memoria, da “Bandiera gialla” a “Riderà”, da “Cuore” all’immancabile “Ragazzo della via Gluck”. Ma perché piacciono così tanto questi brani? Ho provato a chiederlo direttamente ai componenti del gruppo: «perché solo le migliori sono sopravvissute», «perché erano scritte meglio», «perché le suonava l’orchestra, poi negli anni Settanta sono arrivati i complessini, negli anni Ottanta il sintetizzatore», «perché abbinavano musica impegnata e testi leggeri: connubio molto fico», «perché in quegli anni nascevano i festival e portavano i brani in giro per le piazze d’Italia, creavano un repertorio veramente accessibile per tutti». Conclusione: «in verità è tutta colpa di Jerry Calà».
Lo show è stato un alternarsi di musica, sketch comici, letture, fotografie e cartoline d’epoca proiettate sul maxischermo ad accompagnare interventi e canzoni. Un tuffo nel passato, negli usi e nei costumi di un epoca che evidentemente rimpiangono in tanti, basta pensare al successo del gruppo Facebook “Sei di Ferrara se…”. È stato con la lacrimuccia impigliata nelle ciglia che Giovanni Calza – autore del libro “T’arcordat…?”, pubblicato dall’editore Freccia d’oro – ha letto ad alta voce il brano autobiografico dedicato al “trappolo”, l’appartamentino tattico presso in affitto con gli amici per portarci le ragazze: «avevamo collegato l’impianto elettrico allo stereo, appena entravi e accendevi la luce partiva la musica, magia». Nel calderone revival anche l’immancabile Spal, che proprio nella stagione 1959/1960 ha portato a casa il migliore risultato della sua storia, e le Vespe originali portate sul palco dal Vespa Club di Goro.

Foto di Giulia Paratelli

Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo evento ma posso dire di essere uscita soddisfatta. Non tutto quello che ho visto e sentito mi è piaciuto. Ho apprezzato moltissimo l’idea di trasformare il ringraziamento degli sponsor in uno show dentro lo show: gli inserti pubblicitari sono stati presentati sotto forma di carosello, con grande ironia. Il video riuscito meglio? Uno spot in bianco e nero che mostra gli impiegati di una nota banca milanese in ufficio, mentre a turno cercano di passare attraverso un hula hoop: capriole, cadute, gesti atletici, spanciate accompagnate dal noto pezzo del Quartetto Radar, “Bidibodibu, bidibodiye”. Meno simpatica, per quel che mi riguarda, la poesia di ispirazione escatologica scritta sulla carta igienica… ma a tanta gente dev’essere piaciuta, le risate in sala si sprecavano.
«Cerchiamo di essere nazionalpopolari – mi ha spiegato Franceschini in camerino -, non proponiamo intrattenimento di nicchia, vogliamo far divertire tutti».  Parlo con lui e il sassofonista-tuttofare Poltronieri per capire com’è nata l’idea del “Made in Fe”: «la prima volta che ne abbiamo parlato eravamo a dieci metri da qui, eravamo appena usciti da un incontro organizzato alla Sala Estense. Volevamo creare qualcosa capace di coinvolgere gli artisti ferraresi, uno spettacolo aperto, all’interno del quale ciascuno potesse portare le proprie capacità. Per questo abbiamo pensato di rifarci alla vecchia formula del varietà. Per la prima serata, nel gennaio 2012, abbiamo chiamato sul palco tantissimi volti noti ferraresi: dal nuotatore olimpico Mirco Di Tora al celebre bassista Ares Tavolazzi. Poi ci siamo spostati di più verso la musica, la comicità, la magia».
All’insegna di questo trittico è stato organizzato anche, parallelamente al varietà, il concorso “Made in Fe’s got talent”: «con le selezioni abbiamo trovato tanti personaggi interessanti. L’ultimo appuntamento della stagione 2014, che si terrà il 20 marzo, sarà incentrato su di loro. Vogliamo diventare un punto di riferimento per i più giovani, dare alle nuove generazioni l’opportunità di esibirsi davanti a una sala che in questi anni ci ha sempre seguito con entusiasmo e passione».

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