Per chi vive la reclusione, la libertà può essere anche un fazzoletto di cemento. Un campo da gioco all’aperto, dove una palla che due squadre fanno rimbalzare sopra la rete è un modo per sospendere la condizione di prigionia. Oltre a cementare quel senso di gruppo e di fiducia nei propri mezzi che un luogo come il carcere tenderebbe invece a ostacolare. Ne abbiamo discusso con lo psicomotricista e insegnante di educazione fisica Michele Testoni, che nel carcere di Ferrara organizza da anni partite di pallavolo.

Da quanto tempo lavori all’Arginone?
Sono ormai diciott’anni che svolgo la mia attività all’interno dell’istituto.
Di cosa ti occupi?
Io sono laureato in scienze motorie. Inizialmente ho fatto da istruttore nella palestra del carcere.
Ce la descrivi?
Una classica palestra con le macchine, i bilancieri, i manubri e gli attrezzi da usare in panca.
È molto frequentata?
Sì, compatibilmente con le sue dimensioni di circa una cinquantina di metri quadrati. I detenuti che vogliono usarla, fanno i turni.
Oltre a quella d’istruttore, quale altra attività svolgi?
Dopo circa cinque, sei anni da quando ho cominciato come istruttore, mi sono occupato del corso pallavolo e di organizzare partite in carcere coinvolgendo anche persone esterne alla struttura.
Come è nata l’idea?
Rientra nell’ambito di un progetto dell’Uisp, in convenzione con l’amministrazione comunale, dal nome ‘Le porte aperte’.
Perché proprio la pallavolo?
Perché è un gioco di squadra dove si limitano i contatti fisici. Inoltre, nella pallavolo non c’è molto spazio per gli individualismi, l’intera squadra vince e perde insieme.
Esiste nel carcere un’area attrezzata?
C’è uno spazio circondato da quattro mura, con un pavimento in cemento, e senza copertura. Scherzando con i ragazzi, lo definisco un ‘corso di pallavolo estrema’.
A causa delle condizioni climatiche, quante possibilità di giocare ci sono durante l’anno?
Circa due, tre mesi fra primavera ed estate e un paio di mesi in autunno.
L’equipaggiamento?
Si gioca in tuta e scarpe da tennis.
Quando avete giocato di recente?
Abbiamo organizzato una partita a novembre e una a febbraio, mentre la prossima è in programma a marzo.
Come recluti i volontari esterni?
Attraverso l’Uisp. Molti dei volontari esterni si allenano da tempo al Cus di Ferrara.
Come si arriva, passo dopo passo, alla preparazione della partita?
L’attività di allenamento prima di un incontro si svolge solitamente il mercoledì. Poi, una volta che si fissa la data e che le condizioni climatiche lo consentono, si gioca.
Ci racconti il percorso che compie chi dall’esterno si dirige al campo di gioco?
C’è un primo controllo dei documenti all’ingresso del carcere. Poi viene assegnato a ognuno un pass e con quello si attraversa la struttura fino all’arrivo al campo.
Quali sono state le tue impressioni delle prime volte?
Sentire il rumore dei cancelli che si chiudono dietro i tuoi passi fa uno strano effetto, che dà il senso della condizione di reclusione. Durante le partite, tuttavia, è come se questa condizione venisse sospesa. Gli stessi detenuti mentre giocano hanno l’idea di essere liberi.
Quanto dura una partita?
L’appuntamento dura circa un paio d’ore, ma il momento di gioco effettivo intorno a un’ora.
In quanti detenuti partecipano?
Quelli coinvolti, di volta in volta, sono circa una quindicina. Anche in questo caso, per via del tempo limitato, ci si organizza con i turni.
Che età hanno?
Si va dal più giovane che ha vent’anni al più adulto che ne ha cinquantadue.
C’è chi possiede un buon bagaglio tecnico?
Le esperienze da cui provengono sono le più diverse, ma sono tutti discreti calciatori. A questo proposito, possono mettersi in luce con il tocco con il piede, previsto nella pallavolo.
Anche tu prendi parte all’incontro?
Io preferisco assumere un ruolo di terzo rispetto alle squadre e mi occupo dell’arbitraggio. C’è bisogno di un elemento regolatore che gestisca le situazioni.
E le guardie?
Assistono alla partita.
C’è correttezza in una competizione sportiva in carcere?
Devo dire di sì, soprattutto durante le sfide con gli esterni.
Ci racconti qualcosa delle prime partite fra esterni e detenuti?
In un primo momento, gli incontri avvenivano fra una squadra composta da detenuti e una composta da esterni. Poi abbiamo organizzato partite anche fra squadre miste, con elementi maschili e femminili. Da parte dei carcerati c’è sempre il massimo impegno.
Che cosa ti ha colpito?
La voglia dei detenuti di fare bella figura. Misurarsi con chi arriva da fuori per loro è molto gratificante.
Nel carcere, chi ha preso parte a questa esperienza, ha voluto ripeterla?
Certamente. I detenuti richiedono quotidianamente esperienze di confronto con il mondo reale che vive fuori.
Hai visto qualcuno dei detenuti, privo di interessi per la pallavolo, avvicinarsi a questo sport?
Quasi tutti. Dopo la conclusione di una partita, spesso qualcuno di loro mi raggiunge per chiedermi pareri su come è andata.
Quale è l’obiettivo che si vuole ottenere?
Favorire la socialità. Anche semplicemente parlando, si può imparare qualcosa.
Quanto è importante un’esperienza come questa?
C’è chi magari è scettico su queste iniziative e si ferma alla funzione repressiva della pena. Io però ritengo che siano occasioni per agevolare la rieducazione di chi è carcerato.

A ricalcare, è il caso di dirlo, le parole di Michele, arrivano quelle di Simone, autore anche della suggestiva illustrazione che accompagna questo pezzo. «Sono andato a giocare in carcere lo scorso novembre per la prima volta – racconta – tramite la squadra amatoriale del Cus. A essere sincero, la cosa che più mi preoccupava era il meteo. Ma davvero si può giocare a pallavolo all’aperto, a novembre?, mi chiedevo. Per il resto ero molto curioso di incontrare i detenuti all’interno del carcere. Il primo impatto è stato un po’ straniante. Le guardie carcerarie ci hanno accompagnati all’interno di un cortile poco più grande del campo di pallavolo, circondato da mura altissime. Il campo era decisamente da ‘battaglia’. Buche, tombini e una rete da tennis sotto la rete da pallavolo. E il freddo che ti fa domandare se le dita ti rimarranno attaccate alle mano o cadranno per terra gelate. Poi sono arrivati i detenuti. Quindici, venti persone dai venti ai cinquant’anni. Da tutti i loro volti traspariva la grande felicità per quel poco tempo di svago e di contatto con persone nuove. Abbiamo giocato un paio di set, prima contro di loro e poi a squadre miste. È stato incredibile vedere quanta passione e voglia di giocare bene avessero. E una grande voglia di imparare da noi cose nuove. Con qualcuno scambi anche qualche chiacchiera in più e ti sembra di parlare con un nuovo amico conosciuto al bar. Ti parla di come è la vita all’interno del carcere e ti dice che ci rimarrà trent’anni. Ah… è il mio commento. Ecco, ‘Ah…’ è la sintesi di questa esperienza per chi viene dall’esterno. È stupore per trovare così tanta gioia nel giocare qualche set di pallavolo, darsi il cinque per una bella azione e non pensare che il tuo compagno di squadra ha una condanna di trent’anni. Ho pensato a questa illustrazione dove i giocatori sono all’interno di un campo di pallavolo totalmente isolato. Oltre le linee del campo, il precipizio. Quando si gioca in quel campo, non esistono più le buche, i tombini o la palla che perde i pezzi. Neanche il cattivo tempo ci può fermare. Fuori dal campo poi sarà tutto diverso».

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