Non potevamo non essere presenti ad un avvenimento così importante, per la città e per il suo quartiere più multiculturale, il Gad. In concomitanza con la partecipatissima manifestazione organizzata per ottenere la sospensione dal servizio dei poliziotti accusati della morte di Federico Aldrovandi, tanti giovani, ma anche meno giovani, chi con abito e copricapo tradizionale, chi vestito all’occidentale e chi comodamente in tuta si sono riuniti sabato pomeriggio in Via Oroboni. Ciò che li accomuna è la religione: l’islam. Sono le 15 e davanti al capannone del civico 10 si attende che l’inaugurazione abbia inizio. Apre infatti le sue porte alla città il nuovo Centro Culturale Islamico di Ferrara, voluto in prima persona dall’Associazione Pakistani Ferraresi.

L’associazione, ormai da oltre un anno attiva in città, si è sempre contraddistinta per il dinamismo e la trasversalità delle proprie attività, sottolinea anche Girolamo Calò, presidente della Circoscrizione 1 e presente all’inaugurazione in rappresentanza del Comune: sport (tornei di pallavolo alla base del grattacielo, cricket); educazione (scuola di lingua e cultura italiana e di lingua araba per bambini e donne), manifestazioni religiose e tradizionale preghiera, partecipazione alle attività del Comitato Zona Stadio di cui il presidente dell’associazione Akbar Waheed ne è componente. Il centro vuole essere un luogo di esperienza e condivisione, contenitore di queste ed altre attività. Si svolgeranno al suo interno anche le riunioni dell’associazione e sarà presto (ci dicono) anche luogo di incontro per le donne.

L’obiettivo è prima di tutto quello dell’integrazione, un luogo al quale chiunque si può avvicinare per conoscere la cultura pakistana, la religione islamica, le attività che vi si svolgono. “Perché è attraverso la conoscenza che si combattono indifferenza, razzismo, intolleranza” mi dice entusiasta una residente della via che ha deciso di partecipare all’inaugurazione.

A lei, come ad altri residenti, sabato pomeriggio presenti all’apertura, salta però all’occhio che non ci sono né donne, né bambini. Chiediamo il perché.

Foto di Pier Paolo Giacomoni

Ci spiegano che non sono state invitate, non per una questione culturale né religiosa, ma, di “apertura mentale”. In una cultura maschilista come la loro, nella maggior parte dei casi questa apertura latita e ci si accontenta di un riconoscimento della donna limitato alla “cura della casa e della famiglia”.

I giovani pakistani presenti sono i primi ad esprimerci il loro disappunto riguardo “l’emarginazione” della donna islamica, ma sono anche fiduciosi in un cambiamento che può venire anche dall’intenzione (esistente) di trovare adeguate soluzioni per una gestione, da parte di ambo i sessi, del nuovo centro. Alle donne, infatti, dovrebbe essere consentito di trovarsi in momenti e spazi a loro esclusivamente dedicati.  Nella maggior parte dei centri e delle moschee esiste una camera separata per le donne per favorire la concentrazione nella preghiera e per poter condurre, negli intervalli, lezioni di religione con calma e tranquillità. In Italia, come in via Oroboni, dove tanti centri islamici sono miseri garage, spesso non si trova lo spazio per questa camera.

Il centro è già frequentato da alcune settimane da oltre 100 fedeli, il 90% dei quali appartenenti alla comunità pakistana di Ferrara, comunità che conta circa 200 persone. Svolgono a Ferrara, da oltre 10 anni, attività imprenditoriali prevalentemente nel settore alimentare, kebabberie, negozi alimentari, macellerie, molti lavorano nel bolognese.

Sono presenti all’inaugurazione anche rappresentati di altre realtà del ferrarese, alcuni rappresentanti del Comitato Zona Stadio, rappresentanti della comunità libanese e marocchina e la Minhaj-ul-Quran International, un’organizzazione internazionale non governativa fondata da Muhammad Tahir-ul-Qadri con lo scopo di promuovere la pace, un’autentica democrazia, l’eliminazione della corruzione dalla politica, il dialogo interreligioso.

Entriamo nel centro per capire di cosa si tratta.

L’arredo è minimal, all’entrata del capannone un cartello invita tutti i fedeli a non disturbare e a non assemblarsi davanti al portone di ingresso. Un muretto divide la zona adibita ai lavacri da quella del deposito scarpe, e ancora dal luogo in cui si svolgeranno le attività del centro. Questo perché, per tutte le attività previste dalla sharìa islamica, è richiesto lo stato di “purità legale”, ottenibile con lavacri parziali o totali del corpo e una evidente pulizia dello spazio. Scalza, mi accingo ad entrare nella zona sacra, priva di qualsiasi raffigurazione umana o animale (osteggiate dall’islam), e adornata nelle sue spoglie pareti da qualche decorazione vegetale e da alcune scritte riportanti versetti del Corano e avvisi di vario tipo.

Tra questi gli orari di preghiera obbligatoria, che, per essere valida, deve essere compiuta all’interno di precisi momenti della giornata, scanditi dall’andamento apparente del sole. Il venerdì, a mezzogiorno per le preghiere pubbliche, in sostituzione delle cinque volte in cui devono pregare i rimanenti giorni: al mattino, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto, un’ora e mezza dopo il tramonto.

Non c’è un vero e proprio Imam in questo centro. Imam non si nasce da un giorno all’altro. Serve tanto studio, preparazione spirituale e comportamenti virtuosi. Il suo compito è quello di essere la guida spirituale. Nella comunità ferrarese ci sono più presone che, pur non essendo imam, sono state riconosciute dai fedeli guide religiose.

La preghiera viene recitata in arabo (lingua nella quale si è rivelato il Sacro Corano), ma l’urdu (la lingua ufficiale pakistana) e l’italiano sono la seconda e terza lingua. Molti bambini, ormai di seconda, terza generazione sono infatti nati in Italia e non conoscono né l’arabo né l’urdu.

L’area adibita alle attività del centro e alla preghiera è rettangolare, per consentire ai fedeli di ordinarsi sui tappeti rossi rigorosamente disposti l’uno a fianco all’altro, come fossero una grande scacchiera. Definiscono i posti di inginocchiamento per la preghiera e rendono il luogo esteticamente gradevole e ordinato. Il capannone è fortunatamente già orientato verso la Mecca e ciò ha facilitato l’organizzazione dello spazio. A lato, su di un mobiletto, alcuni volumi e libretti per la preghiera.

La comunità pakistana ferrarese, ci dice Akbar, presidente dell’associazione, si sente integrata nel tessuto cittadino. Non saprei dire se sia vera convinzione o ingenua inconsapevolezza di ciò che veramente significhi integrazione.

In molti casi le attività dell’associazione hanno davvero arricchito il tessuto cittadino (basti pensare alle attività alla base del grattacielo, al cricket introdotto come sport in alcune scuole). Ma alcuni italiani mi fanno presente come l’associazione e il centro effettivamente non siano osteggiati dai residenti del quartiere, ma per lo più ignorati. Manca la voglia di conoscere “ciò che è diverso”.

Alcuni ragazzi pakistani mi sorprendono spiegandomi che per un musulmano non è difficile vivere in Italia, perché la cultura italiana, come tutta quella occidentale, non è incompatibile con l’Islam. I problemi di integrazione nascono da differenze culturali, non da questioni religiose. L’Islam è diffuso in tutto il mondo, come del resto anche il cristianesimo. e quindi viene a contatto con culture e lingue molto diverse tra loro.

E’ quindi proprio attraverso questo centro e il contributo all’integrazione che potrebbe dare, che passa il rafforzamento delle reciproche identità. Non bisognerebbe mai contrapporre l’obiettivo dell’integrazione a quello dell’identità, sono obiettivi che vanno strettamente tenuti uniti fra loro.

8 Commenti

  1. Giusto scrive:

    Ci mancava proprio

  2. Platone scrive:

    Purtroppo l’integrazione è un gran bel progetto sociale per una comunità ma neanche nei paesi di antica tradizione multiculturale come la Gran Bretagna e gli Usa si è mai verificata, nonostante in questi ultimi anni il mondo abbia avuto l’onore di contare fra i paesi più potenti al mondo un presdiente come Obama. Anzi. Si sono formati i quartieri ghetto. La zona della stazione di Ferrara è già un ghetto e con questa operazione non ha fatto altro che allargarsi anche a nord ovest. E poi per cortesia chiamamo le cose e i luoghi con il loro nome: una chiesa cattolica si è mai sentito dire che è un circolo culturale? E allora, nessuna vergogna: quello non è un circolo ma una moschea!

  3. otto muehl scrive:

    respiro…respiro… ancora un respiro…

    Grazie a voi, Giusto e Platone sto respirando come di rado mi accade.
    Con quei nomi lì… scrivere quelle cose lì…
    Scomodare un presidente…
    respiro…
    Il ghetto poi, a Ferrara, è da un’altra parte

  4. Agesilao scrive:

    Caro il mio fu artista austriaco, il discorso dell’utente che si firma Platone è ineccepibile. Dimostrazione di ciò sta proprio nella di Lei rinuncia a qualunque tentativo di motivare le proprie posizioni. Ci dica di più.

    Nell’articolo si leggono passaggi come: “Nella maggior parte dei centri e delle moschee esiste una camera separata per le donne per favorire la concentrazione nella preghiera e per poter condurre, negli intervalli, lezioni di religione con calma e tranquillità. In Italia, come in via Oroboni, dove tanti centri islamici sono miseri garage, spesso non si trova lo spazio per questa camera.”
    Ma sì, giustifichiamo tutto! Interpretiamo le incongruenze sempre e comunque dal più tollerante dei punti di vista, anche quando ciò va contro ogni logica intuitiva!
    Evitiamo di dire che la religione islamica è foriera di una cultura patriarcale misogina, omofobica, retaggio di un medioevo (per essere eufemistici) da cui i paesi arabi, tra gli esempi più estremi del divario tra oligarchie ricche e popolo sottosviluppato, non sono mai usciti.

    Si assiste in questo articolo all’ennesima manifestazione della trita mentalità che vuole nascondere, sotto le false spoglie del desiderio di conoscere “ciò che è diverso”, l’espiazione di un non ben specificato peccato originale per il quale dovremmo tutti sentirci in colpa in quanto rei di essere nati in una cultura di tipo occidentale. Ed è in virtù di tale atteggiamento che alcuni non si fanno riguardi a sacrificare invece “ciò che è nostro”, per il puro brivido di poter chiedere scusa alle altre culture per il fatto che anche noi esistiamo.
    Se io ho l’hobby di collezionare francobolli ed il mio amico ha una raccolta di monete, e a me la numismatica non interessa affatto, dovrei forse sentirmi in torto perché mi “manca la voglia di conoscere ciò che è diverso”? Ciò non ha senso. Suum cuique.

    Certe interpretazioni della dottrina cristiana e del pensiero socialista sono ovviamente da citare tra i principali colpevoli di questo andazzo. Mi stupisce che, dopo la sterminata statistica di fallimenti raccolta nei decenni, tale delirante senso di colpa detti ancora la condotta di personalità della politica, del giornalismo e quella di cittadini comuni che confondono un approccio scettico alla multiculturalità con razzismo e xenofobia, e per paura di subire tali accuse arrivano a fare il male della cultura in seno alla quale sono cresciuti (che risulta quantomeno sempre data per scontata).
    Dovrebbe invece essere chiara la distinzione. La multietnicità è un dato di fatto, un fenomeno ovvio che non va neanche più giudicato come bello o brutto anche perché, con buona pace degli ultimi razzisti, esso esiste già da tempo in Europa. Altra cosa è il multiculturalismo, la scelta di includere più usanze, valori e stili di vita anche molto diversi e talvolta contrastanti fra loro sotto la stessa bandiera nazionale. Contrastanti quanto i valori di chi crede nel Corano rispetto a quelli di chi rispetta la Costituzione Italiana o la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Si cerchi il discorso di David Cameron sul tema; il Regno Unito è proprio un esempio di come un atteggiamento troppo entusiasta nei confronti della multiculturalità abbia conseguenze negative, anche solo dal punto di vista della governabilità.

    Rispetto e tolleranza sono quindi dovuti alle persone che frequentano il centro di cui si parla, qualunque sia la loro etnia ed il paese da cui provengono. Ma è davvero impensabile non vedere che un luogo adibito alla divulgazione di una cultura incompatibile con quelle europea ed italiana è destinato inevitabilmente ad assumere la natura di ghetto. L’obiettivo dell’integrazione e quello dell’identità non sono certo incompatibili a priori, ma qui stiamo parlando di due identità non integrabili per motivi che risiedono nei loro fondamenti.

  5. otto muehl scrive:

    Che dire di più…

    “Crociati, all’arrembaggio!!!”

  6. Agesilao scrive:

    Caro “otto muehl”, lei fa finta di non accorgersi che, mentre le crociate si sono svolte un millennio fa, il numero delle chiamate al jihad (inteso come guerra contro coloro che nel Corano sono definiti «infedeli») da parte di autorità religiose islamiche che vengono registrate in occidente sta aumentando vertiginosamente in questi anni.

    Non è informato? Mi permetterò di darle alcuni spunti. Per cominciare, ecco un paio di esempi presi a caso dal web:
    http://youtu.be/A75Vg__GcqQ
    http://youtu.be/3CQwU_QhrHE
    Chiaramente non pretendo di convincerla con due episodi, ma ad informarsi sul mondo che esiste dietro essi dovrà pensarci lei, se ne avrà voglia. Personalmente ritengo che chiunque abbia a cuore sia la laicità dello Stato che il rispetto della persona in generale, dovrebbe documentarsi sulla condotta che viene predicata dal testo sacro dell’Islam ai suoi devoti nei confronti dei cosiddetti infedeli e degli apostati.
    Sappia infatti che tutto ciò che viene detto dalle autorità religiose nei filmati che ho linkato è effettivamente in linea con il Corano. Che si studia anche nel centro/moschea descritto in questo articolo.

    Naturalmente il musulmano osservante non verrà a dirle nulla di tutto ciò, poiché vincolato da due precetti coranici noti come taqiyya e kitman (sui quali il web è pieno di spiegazioni). Si vedano i discorsi di machiavellici artisti della propaganda come il noto professore naturalizzato svizzero Tariq Ramadan, che spesso nei dibattiti fa ricorso alla manifesta menzogna pur di portarne l’esito dalla sua parte.

    Ribadisco che sarebbe un banale e gretto errore quello di considerarmi in alcun modo xenofobo per quanto ho scritto; basta rileggermi con più attenzione, ma se ciò non fosse sufficiente mi lasci aggiungere che io ho avuto ed ho più di un amico sedicente musulmano: guardacaso si è sempre trattato di persone poco osservanti, cioè fedeli occasionali che vivono secondo usanze compatibili con quelle della nazione in cui risiedono e che infatti molto ignorano delle imposizioni del Corano.
    Per fare il solito parallelismo con il più famoso dei regimi totalitari europei (che tra l’altro nutriva non poche simpatie per l’Islam), temo che lei sia uno di quegli individui che sarebbero pronti a difendere anche l’ideologia nazista in nome di questo “amore per il diverso” che è in ultima analisi il solito complesso di inferiorità di cui ho parlato nel mio primo commento.
    Dovrebbe però ormai avere capito che la mia “paura dell’altro” esiste solo quando tale “altro” ha intenzioni belligeranti.

  7. otto muehl scrive:

    …non ho parole, sebbene diplomaticamente preceduto de un “temo” lei mi sta dando del potenziale filo-nazista.
    Credo si sia andati decisamente fuori strada.
    L’articolo presentava ai lettori una nuova realtà di Ferrara.
    Lei l’ha accolta, come altri, come una presenza pericolosa per la città ed i suoi abitanti occidentali.
    Supportato da discutibile documentazione si dice praticamente certo che questa nuova comunità abbia intenzioni belligeranti.
    La invito a risolvere privatamente i suoi evidenti problemi nei riguardi del Cattolicesimo e della libertà di fede religiosa.
    Salam aleikum.

  8. Giancarlo Massari scrive:

    Chiar.mo Presidente Akbar Waheed ; noi sottoscritti siamo a chiederLe un incontro per indicazioni o suggerimenti su questo problema : “giovane siriano che intende investire in Italia e trasferirsi con tutta la famiglia “. Vorremmo riferirLe il contesto nel quale è sorto il problema e ricevere i Suoi competenti consigli . Con osservanza .

    Carlo Alberto e Giancarlo Massari – Via Fratelli Aventi n. 7 – Ferrara – Tel. e Fax 0532/766139 – Cell. 339/8985738 .

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