“C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina: se si lasciava per qualche ora un libro su di un tavolo, e poi lo si toglieva, se ne trovava il profilo in negativo; i tetti erano coperti da uno spesso strato di polverino, che nei giorni di pioggia si imbeveva come una spugna, e ad un tratto franava violentemente a terra”

scriveva Primo Levi nel 1975 in Nichel uno dei 21 racconti del “Sistema Periodico”, ognuno dei quali porta il nome di un elemento della tavola periodica.

Nell’amiantifera di Balangero, dove è ambientato il racconto, lo scrittore vi aveva lavorato nel novembre del 1941, appena dopo aver conseguito la laurea in chimica. E poco più di un decennio dopo anche Italo Calvino, in circostanze diverse, vi lavorò, come redattore inviato dell’Unità e scrisse:

“All’ora in cui monta un nuovo turno, gli operai vengono su dai sentieri del bosco, quelli di Balangero, quelli di Coassolo, quelli di Corio, con la loro aria di montagnini, con le giacche di fustagno, gli scarponi, i berretti col passamontagna. E paiono cacciatori che vadano per lepri; o soltanto per funghi, visto che non hanno il fucile. Ma non ce n’è di lepri nel bosco, non crescono funghi nella terra rossa dei ricci di castagno, non cresce frumento nei duri campi dei paesi intorno, c’è solo il grigio polverone d’asbesto della cava che dove arriva brucia, foglie e polmoni, c’è la cava, l’unica così in Europa, la loro vita e la loro morte.” (Reportage “La fabbrica nella montagna”)

Ed è proprio a partire dall’amiantifera di Balangero (Torino), la più grande cava di amianto in Europa e una tra le prime nel mondo, che si dipana nell’arco di più di cento anni, una delle storie simbolo della nostra contemporaneità; veleni in cambio di ricchezza e progresso, sforzi e fatiche al limite dell’umano in cambio di compensi accettabili, fino a scambiare “malattia” in cambio di “benessere”.

Ma anche rabbia, amore e speranza, da cui si scatena con forza l’antidoto all’indifferenza, alla menzogna e, speriamo un giorno, anche alla malattia. A Casale Monferrato piccolo e bel comune tra le colline e il Po, nella provincia alessandrina, la polvere è stata la testimonianza dell’andare del tempo. Passando dalla polvere di gesso, alla polvere del cemento per arrivare all’amianto, la malapolvere della multinazionale Eternit, che proprio da Balangero veniva estratto.

Abbiamo incontrato Laura Curino, attrice di teatro, regista e drammaturga, da sempre impegnata nel teatro civile, civico e di denuncia. In Malapolvere (tratto dall’omonimo libro della giornalista Silvana Mossano e scritto dall’attrice, insieme a Lucio Diana, Alessandro Bigatti ed Elisa Zanino), in scena al Teatro De Micheli di Copparo, ci racconta, con un tocco poetico, a tratti comico, una delle più grandi tragedie ambientali e umane dei nostri tempi.

Perchè “la tragedia mica la sai prima che accada!”. Già, perché mica lo sapevano i cittadini di Casale, così come i cittadini di Bagnoli, di Cavagnolo, di Rubiera, di Roma, di Mongrassano Scalo, di Broni, di Bologna, Cuneo, Prati di Caprara, Praia a Mare e tanti altri. Mica lo sapevano che una polvere così sottile, 1300 volte più di un capello, ai nostri occhi così invisibile, li avrebbe uccisi. Si insinua ovunque. Il vento la trasporta fino a 27 km di distanza, galleggia sull’acqua del Po, scorre nei rigagnoli di pioggia.

I vertici dell’azienda invece si che lo sapevano. Sapevano i danni che provocava, sapevano che era mortale. Non solo per i lavoratori direttamente esposti ma per tutti i cittadini di Casale, come di Bagnoli, Cavagnolo e Rubiera. E sapevano che la malattia insorge indipendentemente dalla dose di esposizione, anche di una sola volta!

Nel libro Mala Polvere 1800 ci sono le storie di persone che si sono ammalate di asbestosi, mesotelioma, carcinomi  polmonari e altri tumori, a Casale a causa di questa polvere. Sarebbe stato difficile, quasi impossibile sceglierne qualcuna da rappresentare a teatro, si sarebbe persa l’obiettività. Era necessario guardare le cose in prospettiva per non perdere le speranze. Un lavoro duro, mesi, forse anni, quello di Laura, che ha portato sul palcoscenico uno spettacolo in cui sono le cose che parlano, non le persone. La torre, la piazza, il castello, l’acqua in tutte le sue forme. E’ attraverso di loro che vengono raccontate le storie della gente di Casale.

Foto di Pier Paolo Giacomoni

Ma qualche nome va fatto. Romana Blasotti Pavesi, è’ la presidente dell’Associazione Familiari Vittime dell’Amianto (Afeva). 82 anni, in buona parte spesi a battersi per ottenere giustizia per le vittime dell’Eternit. Ormai simbolo della lotta all’amianto nel mondo, nel 2013 ha ricevuto una delle 15 medaglie d’oro  “Al merito della sanità pubblica”. La sua stessa esistenza è stata costellata da lutti (cinque familiari uccisi dall’amianto). Laura ama definirla “una nonna a forma di nonna”, la nonna di tutti.

Bruno Pesce, e Nicola Pondrano, sindacalisti e tra i promotori storici della lotta all’amianto, l’uno responsabile dell’Afeva, l’altro  oggi presidente del Fondo nazionale vittime dell’amianto. E’ grazie anche a loro, alla dedizione delle famiglie, alla volontà di una intera città, se oggi possiamo raccontare una storia d’amore e di speranza, che ha portato alla chiusura della fabbrica nel 1986, alla messa al bando dell’amianto nel 1992, all’iscrizione nel 1994 dell’asbestosi e dei mesoteliomi come “malattie professionali”, alla creazione di un fondo per le vittime, al maggior processo penale che si sia mai celebrato per un disastro ambientale provocato da un luogo produttivo.

Era proprio oggi di due anni fa, il 13 febbraio 2012, quando una sentenza del Tribunale di Torino ha condannato in primo grado i proprietari dell’azienda Eternit, l’88enne barone belga Jean-Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne e Stephan Schmidheiny, quarta generazione di una delle più importanti dinastie industriali svizzere. E’ impressionante e assolutamente impertinente il suo curriculum: capo-consulente dal 1990 per gli affari e l’industria presso la Segreteria Generale della Conferenza ONU per l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED), consigliere di Bill Clinton, e fondatore della Fondazione AVINA per lo “sviluppo sostenibile” in America Latina,  ideatore della Swatch.

Condannati a 16 anni di reclusione (poi portati con una successiva sentenza a 18 anni) per “disastro ambientale doloso permanente” e per “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche”, e obbligati al risarcimento di circa 3000 parti civili oltre al pagamento delle spese giudiziarie.

Il caso Eternit è il primo al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati, costituendo un precedente importante che potrebbe dare il via a decine di processi in tutta Europa. In Italia, una legge del 1992 (la  n. 257 del 27 marzo) ha vietato la produzione, l’importazione, il commercio e l’utilizzazione di materiali contenenti amianto a causa delle proprietà patogene legate alla dispersione di fibre nell’aria. Per le sue straordinarie proprietà è stato utilizzato nell’edilizia per oltre 3mila manufatti, per piccoli elettrodomestici, tessili, per i pannelli di cemento-amianto (Eternit), per la coibentazione di tetti, fabbriche, navi e treni, per rivestire tubi, caldaie, turbine.  Negli anni ’50 la Philip Morris lo metteva nei filtri di sigarette.

Sono 55 i paesi dai quali l’amianto è stato bandito, ma in 39 ancora si produce e si utilizza (Cina, Canada  e molti altri, e negli slums delle grandi metropoli del Sud del Mondo è uno dei materiali più utilizzati).

In Italia oggi l’amianto è ancora molto presente, soprattutto nell’edilizia pubblica e privata. “Molto è stato fatto, ma non a sufficienza” ci dice l’assessore all’ambiente del Comune di Ferrara Rosella Zadro. Quella dell’amianto è una tragedia ancora in corso. Stando alle stime, la punta massima delle vittime sarà raggiunta solo tra il 2018 e il 2020, quando le conseguenze dell’esposizione da amianto esploderanno in tutta la loro tragicità.

A Ferrara, il Comune è intervenuto in modo massiccio, sugli edifici di proprietà (ottenendo la certificazione ambientale ISO 14001), ma anche scegliendo di impegnarsi in modo sistematico assieme al polo chimico per la bonifica di tutti i magazzini e ancora per la rimozione di tutti i manufatti all’interno del conservatorio. Il territorio di Ferrara sta rispondendo in maniera molto attiva e partecipata, ma ciascuno di noi può fare molto di più. Può adoperarsi in prima persona.

Al 2012 a Ferrara rimanevano ancora 60 siti da bonificare, ma le criticità più grandi sono quelle legate agli abbandoni da parte delle aziende specializzate per la rimozione, alla necessità di un monitoraggio continuo, alle calamità (basti pensare al recente terremoto) e intemperie che ci mostrano quanto sia importante rimuovere non solo “l’obbligatorio” ma anche tutti i manufatti che per ora non sono dannosi perché non sfibrati.

“Ho voluto raccontare le storie di persone che cercano nella giustizia, nella scienza, e anche nella gioia, gli antidoti alle male polveri delle coscienze” dice Laura Curino. E’ un invito a rimanere svegli e attenti, perché non ci sono profitti, non ci sono soldi, che possano giustificare stragi di questo tipo. Perché le battaglie vanno affrontate, con lo spirito mai spento. Perché questa storia ci insegna che gli uomini possono scegliere, e se è vero che oggi non possiamo occuparci di tutto, perlomeno possiamo non abbassare la guardia e offrire il nostro sostegno a chi se ne occupa.

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