Certo, il mondo è caos, lo è da sempre, lo è per sua “natura”, quasi per sua missione si potrebbe dire. Anche per chi crede sia opera di un Essere perfetto e incorruttibile, la sua cifra rimane quella del dis-ordine, dell’anarchia sempre latente. Poche sono le leggi – naturali e umane – che lo governano, poche e sempre insufficienti, sempre sul confine dello scacco. Il nostro sguardo di esseri imperfetti ci trattiene dentro questa confusione non del tutto inesprimibile, “srotolabile”. L’arte di Maurizio Pierfranceschi è un tentativo di sciogliere il nodo sul senso della realtà, cosciente dell’impossibilità di ciò, e per questo artista autentico, sincero.

Pierfranceschi è una persona tanto schiva quanto socievole. Sembra una contraddizione ma è così, o meglio questa è l’impressione che ho avuto in quei brevi istanti nei quali ho avuto modo di parlargli, o di osservarlo. Sabato 8 ha inaugurato, in due luoghi diversi della città – lo Spazio Frau in c.so Porta Mare e l’Hotel Annunziata in Piazza della Repubblica – le due parti della sua mostra “Cartoni animali”, presentata per la prima volta nell’ottobre scorso alla Galleria “Alda Costa” a Copparo. Maurizio, che nasce e vive a Roma, si aggira come un visitatore qualsiasi per le sale, tra le sue opere, tra i gruppetti di persone accorsi per ammirare le sue creazioni. A tratti si ferma a parlare con alcuni avventori, ma decidendo di non esporsi, nemmeno intervenendo alle presentazioni, lasciate interamente alle parole di Elena Bertelli, curatrice e organizzatrice dell’evento e Vice Presidente del Centro Studi Dante Bighi.

L’artista si aggira, osservatore pensieroso, tra chi, a sua volta, osserva le sue opere. Come a tentare di carpire frasi, sensazioni, giudizi, impressioni sulla sua arte. Avendo notato tutto ciò, gli ho detto, appena avuto modo di avvicinarlo, che trovo offensivo domandare il “significato” delle opere a chi le ha create. E così all’Annunziata è stato lui ad avvicinarmi e a dirmi, scherzando: “vuoi sapere qual è il significato?? A saperlo!!”. Una volta a Roma, mi racconta, una signora ha commentato una sua opera in questo modo: “belle le tue opere, ma sono così tristi, angoscianti!” E questo, forse, spiega, almeno in parte, la sua ritrosia a esporsi. Quest’opera di “nascondimento” trapela anche dalla mancanza delle etichette col titolo, ma soprattutto dall’anima delle sue creazioni. Supporti in carta o legno nel quale gli animali occupano uno spazio non significativo ma si confondono col mondo vegetale, minerale, umano.

Foto di Giulia Paratelli

Come mi spiega Elena Bertelli, “le opere sono come tanti microcosmi viventi”, pulsanti, nei quali “l’essere animale” non è rappresentato in un accumulo “da zoo”, ma nel quale la vita – nelle sue diverse forme – si fonde, è un’unica materia, un corpo inscindibile, tanto “la vita dell’uomo quanto quella dell’animale sono materia viva”. I diversi strati di materia usati – continua Elena – “lasciano ognuno una traccia dell’artista, la scelta stessa dei materiali riguarda il suo mondo, serve a raccontare la vita”, nel tentativo di districarsi, usando parole di Gadda, scrittore molto amato da Pierfranceschi, “nell’aggrovigliata paura delle giungle immense [1]”; ma è un tentativo, questo, per sua natura destinato al fallimento. “Così – prosegue Elena – regna sovrano il caos, che in fondo è il caos del mondo”, inteso tanto come “vita interiore” dall’eco moraviano quanto realtà esterna, che mai potremmo ordinare del tutto.

Le figure o sagome, umane e non, sono perciò prive di volto, di segni o lineamenti che possano in qualche modo distinguerle, identificarle. Sono anonime, nient’altro che semplici componenti del misterioso e inquietante regno naturale. Questa confusione è perciò rappresentazione riuscita di una visione panteistica della realtà, per la quale è un’unica Sostanza a governare, informare e sostenere le espressioni vitali, e a permettere loro di esistere. I profili sono immagini, rappresentazioni eterne, né materia né idea ma immagine creata e dunque eterna, trasfigurata in una dimensione sovratemporale. Chi osserva non venga, quindi, ingannato, dalla sofferenza, dallo strazio, dallo sporco delle opere: risultano sì difficili da affrontare, sono manomesse, strappate, rovinate, ma è la nostra stessa esistenza terrena ad essere, in questo modo sublime, espressa dall’artista.

Può aiutare, nell’ammirare le opere di Pierfranceschi, prima osservarle a uno o due metri di distanza, per poi, gradualmente, avvicinarsi, fin quasi a sfiorarle con lo sguardo. Si noterà in questo modo il forte impatto che provocano e in fondo si comprenderà la duplice, tragica, condizione dell’uomo, teso verso l’infinito e immerso negli “approdi lutulenti [2]”.

“Avrà il capo stancamente nel flutto, il viso rivolto verso i cieli gelidi. Così composto nella sua morte parerà un fiore pallido della eternità [3]”.

 


[1] Carlo Emilio Gadda, La meccanica, 1970.

[2] Ibid.

[3] Ibid.

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