“Il vicino è il mio nemico” cantavano i Punkreas anni fa, e non mi viene in mente colonna sonora migliore di questa per cominciare a introdurre il lettore attraverso la selva di argomenti spinosissimi che mi accingo a esplorare.

Partirò dai fatti: esiste a Ferrara in via della Resistenza l’omonimo centro di promozione sociale, gestito collettivamente da associazioni e gruppi vari (per maggiori informazioni rimando a questo articolo ). All’interno di questo centro succedono tante cose e alcune di queste provocano del rumore, solitamente musica e/o chiacchiericcio. Com’è naturale in una piccola città di provincia, la tolleranza della popolazione residente nei confronti di qualsivoglia attività serale non è altissima. L’abbiamo già visto mille volte questo copione, anche se non sempre l’happy ending è assicurato. Quando i vicini si lamentano, se si tratta di feste private, da parte delle forze dell’ordine arriva un garbato invito ad abbassare il volume dello stereo, una pacca sulla spalla e buonanotte (immagino la noia e forse anche l’invidia di questi uomini in divisa, costretti ai turni di notte, che per mestiere devono rovinare la festa a chi – beata gioventù! – ancora riesce a divertirsi). Quando si tratta di serate organizzate in locali pubblici la pacca sulla spalla arriva con meno disinvoltura, e non di rado fioccano multe capaci di piegare in due il bilancio degli esercenti più oculati e attenti – penso ad esempio ai diversi streetbar costretti a chiudere a seguito delle polemiche di via Carlo Mayr, ma anche al sopravvissuto circolo Zuni, che a settembre ha riaperto quando ormai da mesi lo si dava per spacciato -.

Dagli appartamenti affacciati sul giardino del centro La Resistenza sono arrivate negli anni diverse lamentele, negli ultimi mesi però la questione s’è spinta un poco oltre. Da quanto raccontano i ragazzi che gestiscono il posto, la settimana scorsa un vicino particolarmente disturbato avrebbe pubblicamente minacciato provvedimenti che potrei definire, usando un eufemismo, quantomeno «inconsueti». Davanti a tutti i frequentatori del locale avrebbe chiesto – e ottenuto – di cancellare il concerto programmato lunedì sera, prospettando una telefonata a polizia, carabieri e (rullo di tamburi) «a quelli di Forza Nuova». Al di là del fatto che io, se appartenessi a quello schieramento politico, mi offenderei non poco per un simile annuncio (esser trattato alla stregua di una milizia privata finalizzata all’appannaggio di beghe condominiali non mi farebbe piacere), e al di là dell’evidente maleducazione implicita in un simile intimidazione, credo che questo caso sia interessante perché apre una serie di questioni sulle quali vale la pena soffermarsi.

I ragazzi del centro hanno organizzato giovedì sera una assemblea aperta per discutere dell’accaduto e riflettere su quale potrebbe essere la migliore linea di condotta da tenere, per evitare che l’insonnia di uno si trasformi nella mancata partecipazione alle attività sociali di tanti.

«Siamo convinti di essere una risorsa per la città – spiegano alcuni rappresentanti del collettivo studentesco Sancho Panza al folto gruppo di persone presenti -. Nessuno di noi percepisce reddito per il lavoro svolto per il centro, ma qui la crisi non entra. Ci occupiamo in modo volontario di teatro, musica, libri, esperienze formative e approfondimenti politici. Le nostre iniziative possono piacere o non piacere, ma oggettivamente se dovessimo chiudere esclusivamente per delle logiche legate al «date fastidio, fate casino» Ferrara perderebbe una ricchezza. Non siamo il solito locale che mette musica e siamo preoccupati perché attualmente non è in discussione solo la possibilità di fare concerti, ma anche tutto il resto».

Il centro ha cercato in diversi modi di incontrare le richieste dei residenti: ha anticipato l’orario dei concerti, ha chiuso l’entrata laterale per spostare in un luogo più riparato le discussioni di chi esce a fumare una sigaretta, da qualche mese ha anche disallestito la cucina perché rivelatasi non conforme. «Abbiamo cercato di regolarizzarci il più possibile – proseguono alcuni soci dell’Associazione 34R – ma qualche tempo fa hanno chiamato la polizia per un torneo di scacchi organizzato dagli anziani. Immaginate i decibel al momento dello scaccomatto! Praticamente siamo in balia del primo folle che passa, ci mettono spalle al muro perché da un punto di vista legale siamo esposti ai quattro venti».

Foto di Luca D’Andria

E qui si arriva alla prima domanda. Considerando il fatto che in Italia non mi è ancora capitato di conoscere un datore di lavoro, un locale pubblico o privato, un banalissimo contribuente in regola al 100% rispetto a quelli che dovrebbero essere i propri obblighi, considerando quindi che gli armadi sono pieni di scheletri più o meno ingombranti, è possibile evitare che si vengano a creare situazioni del genere? È possibile evitare che il dito puntato di uno diventi scoglio legittimo su cui infrangere l’impegno e la buona volontà di tanti? Custodire uno scheletro nell’armadio rende tutti più deboli, ma spesso le irregolarità con cui si convive non sono state scelte ma imposte (ereditate o obbligate). Scrivendo questo non intendo assolutamente sostenere chi ad esempio affitta i propri appartamenti in nero, o chi assume dei dipendenti otto ore al giorno tutti i giorni con un contratto di collaborazione occasionale. Ovviamente le irregolarità hanno pesi specifici diversi a seconda degli effetti che producono su terzi, ma se un contratto farlocco ha sicuramente ricadute negative sulla vita del lavoratore, un bagno sprovvisto di antibagno non danneggia tendenzialmente nessuno. L’interrogativo è questo: in un contesto slegato da logiche commerciali o di mercato – quale appunto il mondo dell’associazionismo – è possibile da parte degli enti locali dotarsi di una maggiore flessibilità normativa?

A  Ferrara le istituzioni non sembrano insensibili a questo tipo di argomenti, se possono  sostengono i progetti di cittadinanza attiva promossi sul territorio senza fini di lucro, e questo va bene fino a quando – vedi sopra – non si arriva al dito puntato. Contro il dito puntato crollano tutti, appunto perché tutti – chi per colpa chi per dolo – hanno qualcosa da nascondere. Non è ipotizzabile una regolamentazione diversa, più protettiva, più semplice anche solamente da capire? Che margine di libertà ha il Comune in materia, per esempio, di decibel?

Spesso la diatriba tra vicini si inasprisce proprio su questo punto, il caso del centro La Resistenza è solo l’ultimo di una lunga serie. Possibile che non ci sia un modo intelligente per evitare l’eterno ritorno dell’uguale? Lo chiedo ingenuamente, non sono un’addetta ai lavori e proprio per questo mi piacerebbe che qualcuno più autorevole di me provasse a rispondere.

Logica vorrebbe che chi sceglie di alloggiare in centro abbia poco da recriminare – non si può pretendere sia la botte piena (silenzio e quiete totale) sia la moglie ubriaca (tre passi da casa propria alla piazza) – ma purtroppo la logica spesso non varca l’uscio di casa propria, la si lascia sul pianerottolo a sgocciolare insieme all’ombrello. Dunque chi compra il bilocale tanto carino sopra al Messisbugo poi si lamenta degli schiamazzi notturni, chi si trasferisce nell’appartamento accanto alla Resistenza interviene sul posto con spropositate minacce dal vago sapore squadrista.

L’amministrazione non ha veramente nessuno strumento per facilitare la convivenza?

Un mio amico, particolarmente affezionato a questo argomento, immagina ad esempio degli incentivi comunali per chi risiede vicino a circoli o streetbar per l’acquisto di doppi vetri. Altri amici invece, impegnati nell’organizzazione di eventi, immaginano una burocrazia semplificata per gestire feste e relativi assembramenti. Altri ancora si domandano perché non sia possibile predisporre dei dispositivi che consentano alle strutture di regolarizzarsi lentamente, un «work in progress» formalizzato capace di scoraggiare «il primo folle che passa» dalla denuncia incontrollata e quindi di preservare le attività dalla chiusura forzata.

1 Commento

  1. feliciano callegari scrive:

    Credo che l’Associazionismo,il ritrovarsi, il confronto diretto,il parlare e ascoltare ,ricercando con lo sguardo il battito delle ciglia di chi ti sta davanti, sia una delle poche cose rimaste che abbia ancora connotazioni sane (per cui da salvaguardare) in questa società ormai scagliata verso quel becero decadentismo sociale , sempre più sostentato da una tecnologia che prima ti suggerisce il metodo , poi ti avviluppa nell’isolamento. Piano piano si entra in un vortice e non ci si accorge che la convivialità diviene desueta e viene spesso permutata con gesti e frasi che si estendono all’utilizzo minimale di un’espressione difforme e poco sinergica.Così è sempre più difficoltoso attingere dal nostro pensiero, ancor meno dal bagaglio dell’esperienza ,e alla fine ci si ritrova omologati come pratiche automobilistiche.

    Esiste un antidoto a tutto questo …e si chiama Associazionismo ,splendida tendenza sociale che raggruppa negli animi la voglia di camminare verso il futuro , valutando congiuntamente quale sia il percorso meno insidioso da intraprendere . È per questa serie di ragioni che sarò sempre dalla parte di chi mette in fila le sedie, appoggiando le braccia sulle spalle di chi gli sta accanto, e mai dalla parte di chi punta il dito e lancia anatemi .

    D’altra parte,lo sguardo di chi ama il bello sfugge al dito … e preferisce la luna .
    Lunga vita al Centro Sociale .
    Felix

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