“Sento le ferite del mondo.
Allo stesso modo sento la bellezza del mondo.
Così le ferite diventano più profonde e più evidenti,
e colori e profumi, morbidezze e meraviglia diventano angoscia.
Ogni ferita scende giù nel cuore del colore e non cicatrizza.
È un dolore intenso e continuo. […] ”

(Isabella Guidi, per “Grano, grano, grano”, 2011)


Una ragazzina tra i giganti

Il piccolo studio di Isabella Guidi in via Recchi a Ferrara, tra la Parrocchia della Sacra Famiglia e la Scuola Ercole Mosti, più che uno spazio scelto, tre anni fa, per la propria attività, sembra al contrario da sempre interamente modellato intorno alle opere che la abitano. Ogni punto, ogni angolo è occupato da ritratti, paesaggi, introspezioni materializzate sulle piccole o grandi tele. Tutto parla di Isabella, lo sguardo ovunque si volti può scovare tracce di mondi che sembrano poste lì per iniziare un discorso, una relazione, per richiamare uno spaccato di vita.

Una vita intensa la sua, a stretto contatto con alcuni grandi maestri troppo spesso dimenticati dalla nostra città. Il primo, cronologicamente, è il legame con Don Franco Patruno, artista, Direttore dell’Istituto di Cultura Casa “G. Cini” di Ferrara, critico d’arte e cinematografico dell’Osservatore Romano e collaboratore di Raisat 2000. “L’ho conosciuto da bambina, veniva a fare la messa delle 11 a Porotto, dove abitavo. Alla sagra paesana, insieme al maestro Adriano Franceschini premiava i migliori disegni dei bambini. Io ero alle elementari e un anno vinsi. Le prime esposizioni risalgono proprio a quel periodo, nella canonica della chiesa. L’amicizia con Don Franco è continuata fino alla sua scomparsa, nel 2007. Ha celebrato anche il mio matrimonio.”

A circa quindici anni l’esperienza nello studio del maestro Marcello Tassini, in via Montebello, alla quale seguirà, circa vent’anni dopo, quella con Gianni Vallieri. Isabella è l’unica ragazzina in mezzo a tanti adulti, quei momenti con Tassini rimangono indelebili nella sua memoria: “Lui – mi spiega – preparava composizioni di natura morta difficilissime da rappresentare e mi faceva stare in postazione ottocentesca, distante dal cavalletto, con in mano i pennelli lunghi. Son convinta che tutto nella vita serva, quindi anche questo mi ha aiutato molto.” Erano gli anni del Liceo Scientifico, della sua maturazione personale e artistica, nonostante la scelta di non iscriversi all’Istituto Dosso Dossi, dal quale solitamente escono tutti gli artisti – o aspiranti tali – della città. Dopo una breve parentesi di circa due anni alla Facoltà di Lettere a Bologna, s’iscrive all’Accademia “Clementina” di Belle Arti, alla quale si diploma a ventotto anni.

Poi, nel ’90 la prima mostra, a “Casa Cini”, prima ed unica esposizione delle sue sculture. “Tutte quelle che avevo fatto, circa una ventina, le ho distrutte in un momento di rabbia. Questo perché molta gente in città mi aveva etichettato solo come scultrice: era diventata un’etichetta, qualcosa di troppo limitante. Ferrara allora era un ambiente molto chiuso, anche per questo mi sono convinta, in questi anni, ad esporre quasi sempre fuori città e all’estero.” Nemo propheta in patria, per dirla con le parole del Vangelo.

Foto di Giulia Paratelli

Quando mani e parole spiegano la contraddizione

Avrà, dunque, breve vita il periodo scultoreo, ma la tecnica, la forza della scultura le rimarranno sempre impresse nelle mani, negli occhi. “Avevo necessità di suggerire il colore nella forma: per questo sono passata immediatamente alla pittura. Il fare scultura era diventato opprimente rispetto al desiderio di colore, in quanto in essa è sufficiente la forma.” La sua, infatti, è una pennellata decisa, carica, le sue piccole mani sottili nella solitudine dello studio compiono un gesto forte sulla tela, come se esplorassero direttamente il volume, la luce, la profondità. Come se l’unidimensionalità del supporto pittorico fosse ingannata da questa esperienza fisica, diretta con la materia. Senza spiritualità, però, la materia è un nulla inerme, senza parole la vita sarebbe un vuoto di senso. “Prima di dipingere ho sempre in mente un discorso che voglio fare e che devo spiegare a me stessa”, come nel caso dei versi sopracitati. Le parole possiedono una pregnanza essenziale, “una capacità superiore anche alle arti visive, un qualcosa in più”, un quid insostituibile, lasciano più spazio alla soggettività, creano un universo preliminare di senso necessario alla creazione pittorica.

Un discorso che è frutto di “una tensione, un movimento interiore necessario”, un’inquietudine come stato d’animo non cercato, e non definitivo. Il punto d’approdo, infatti, deve avere la forma dell’equilibrio, di una profonda gradevolezza, di un rilassamento davvero autentico in quanto punto finale di una parabola sofferta, in una catarsi rappresentata dall’opera. “Equilibrio e inquietudine” – la sua mostra in programma dall’1 settembre al 6 ottobre scorso nella Delizia Estense del Verginese – e “L’urlo della montagna”, omaggio a Munch, spiegano al meglio questa concezione dell’esistenza artistica, questa dualità. “Nei miei quadri c’è spesso sacro e profano, erotismo, sensualità ma anche compostezza e riposo, costruzione ma anche fuga, scatti d’energia.”

Anche i ritratti da lei creati risultano emblematici all’interno di questa riflessione. Da Eugenio Montale a Egon Schiele, da Pablo Picasso a Pierre Bonnard, per Isabella fare un ritratto significa “violare l’intimità dello sguardo. Entrare ed uscire dal pensiero di un volto senza bussare.” Lo stesso sguardo penetrante di Vincent Van Gogh o il volto, rugoso e assorto, di Michelangelo Antonioni sono segni profondi di una lotta interiore forse mai conclusa. Se, com’è lei stessa a scrivere, l’opera è ”quella manifestazione, tanto cercata, di uno splendore profondo, nella sua forma esteriore”, il fascino di quest’artista, troppo spesso ignorato dalla nostra città, meriterebbe ben altra considerazione, affinché quel “mare là in fondo al viaggio” non sia la prigione di un’apolide, ma quell’equilibrio tanto agognato, e che le sue mani forse non hanno ancora accarezzato.

3 Commenti

  1. Filippo scrive:

    “l’unidimensionalità del supporto pittorico” è un’espressione un po’ curiosa…….

  2. Se desideri ricevere i nostri programmi inviami la tua e-mail Cordiali saluti
    Roberto Giuliani

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