«Cosa c’è scritto?»
«Suca»
«Dai, cosa c’è scritto?»
«Cosa c’è scritto? Scrivo sempre la stessa cosa»

Omz day 2013. Qualcuno sa cosa significa? Chi nelle ultime settimane ha avuto modo di fare due passi tra i capannoni della vecchia stazione ferroviaria di via Foro Boario dovrebbe sapere, anche solo vagamente, di cosa si sta parlando. Ma come ho fatto a scordarmene? Nessuno – a meno che non sia un tossico, un barbone, un clandestino o tutte e tre le cose assieme – è solito passeggiare da quelle parti. Occorrerà dunque spiegare dal principio.
Ferrara, come tutti gli agglomerati urbani che si rispettino, non ha un solo volto. Può sembrare monotona, uniforme, passivamente uguale a sé stessa, ma fortunatamente non è così. Anche dentro al placido e umido territorio estense esiste l’Altracittà, quella che Mia Lecomte descrive così: «è la città che tutti abitiamo e spesso non sappiamo, è sempre altrove ed è sempre qui». L’Altracittà ferrarese è popolata da un variegato microcosmo sociale, che difficilmente si incontrerà a fare la spesa al mercato del venerdì mattina, o a prendere il caffè in via Mazzini la domenica pomeriggio. L’Omz day, per una fetta di questo microcosmo, rappresenta una festività importante. È il raduno annuale dei writers ferraresi e dei loro amici, organizzato dal gruppo Over Mind Zoo, un’occasione per salutare vecchie e nuove conoscenze, per divertirsi assieme. Si accede esclusivamente su invito e il luogo del ritrovo viene comunicato solo il giorno prima per evitare spiacevoli sorprese o presenze non gradite. Così si legge nel leggero e riservato vademecum dell’evento:

«No Fuking Toy, No DECORATORI, No Writer Fighettini, No sostanze Merda, No Hypster, No Puffi, No Sbarby party, No Sponsor. Rispetta la locationZ e chi ti sta intorno! Rispetta eventuali zingari e barbons!».

Ogni anno l’Omz day viene organizzato in un posto diverso, sempre imprevisto e abbandonato. Prosegue il vademecum: «L’abbandono ci richiama l’attenzione, ci crea attrazione, curiosità verso spazi e luoghi non più attivi che già da soli ci offrono e raccontano una storia. L’abbandono come scarto della nostra società, vale la pena spenderci qualche riflessione. Chi più chi meno, siamo bestie urbane». Per il 2013 il dito sulla mappa è cascato in via Foro Boario, nella zona del vecchio deposito adiacente alla stazione, dietro la palestra di pugilato.

Foto di Lucia Ligniti

Alcuni ragazzi dell’Omz crew arrivano abbastanza presto la mattina per preparare i muri scelti per l’intervento con una base verde smeraldo. Batte sui cappellini da baseball l’ultimo sole d’autunno. Gli amici arrivano con calma, chi prima e chi dopo a seconda degli impegni e della voglia e della sveglia più o meno difficoltosa. Tra un saluto e una battuta tutti nell’arco di un paio di ore aprono gli zaini e iniziano a dipingere, bombolette alla mano ma non solo. Alcuni usano anche il pennello e la vernice in barattolo per cominciare a delineare il soggetto, spiegano che usando solo lo spray avrebbero speso troppo. La confidenza e l’allegria inciampa contro la spazzatura accumulata per terra, la sporcizia desolata dei capannoni, i vetri infranti. In un salone vuoto, tra i resti di un falò e faldoni contenenti pratiche della Regione per le pensioni di invalidità, stampate negli anni Ottanta, anche alcuni caschi puntuti e argentati, carnevalate in stile Stargate. Chi può mai aver scelto questo posto per allestire un duello tra spade laser? Un tossico futurista? La battuta è terribile ma cade giusta. «Qui una volta era veramente pieno di tossici – replica un ventenne asciutto, probabilmente incline alla leggenda -. Mi hanno detto che ci facevano anche i combattimenti, si picchiavano. Tipo Fight Club».

L’accesso a questo spazio è libero, nessun cancello, nessuna recinzione. Su alcuni muri un cartello dell’amministrazione comunale in doppia lingua, arabo e italiano, avverte chi lo legge che… non dovrebbe trovarsi lì a leggere quel cartello. «Gli anni scorsi ci è capitato di dover scavalcare o tagliare le reti per entrare nel posto che avevamo scelto – ricordano i veterani dell’evento -. Qui invece è tutto aperto, non bisogna faticare per entrare. Il vecchio deposito da anni è diventato un non luogo ma si vede che c’è ancora della vita. Hai conosciuto la gattara?» Certo, impossibile spendere qualche ora nei dintorni senza incrociare quella signora curva e sorridente.

I writers hanno età diverse, si passa dai 15 ai 35 anni. C’è chi ha iniziato con i graffiti perché li vedeva fare dal vicino di banco alle superiori; chi ha sempre avuto una passione per il disegno e ha trovato nel writing un modo per esprimersi liberamente, «senza critiche, senza recensioni, ognuno fa quello si sente». C’è chi sogna di andare in America e aprire un negozio di bombolette e tavole da skate, chi durante la settimana realizza scenografie e arredi scenici, chi frequenta l’Accademia di belle arti. «A cosa serve quello che facciamo? A buttar fuori quello che abbiamo dentro, nel bene e nel male. È uno sfogo. C’è chi preferisce lo shopping o la droga, andare a ballare. Per noi è così. Serve a costruirci una via di fuga». Sul rispetto dei muri altrui ognuno pare aver trovato la propria misura, il proprio personale compromesso tra legalità e illegalità. Sintetizza bene il pensiero comune questa dichiarazione: «è bello lavorare in un contesto di legalità ma è importante non perdere le radici, altrimenti l’azione perde senso, non sei spronato a far niente. Il graffitto è nato sui treni, il muro è arrivato dopo. La rapidità imposta dall’illegale è stimolante a livello di stile, più sei veloce più è bello. Quando ho fatto un bel pezzo pulito senza inceppature posso andare a letto soddisfatto. Parte del gusto è anche quella di esplorare dei luoghi nei quali altrimenti non saresti mai andato. In linea di massima cerco di evitare le case private, scrivo sugli edifici abbandonati».
Chiedo un commento sulle scritte che capita di trovare in giro per Ferrara: «se mi sveglio e trovo sul muro del palazzo dove abito una scritta fatta a muzzo tipo “Valeria ti amo” mi incazzo anche io. In Italia sono più frequenti le scritte che i graffiti. A volte sono frasi di rivolta che ok, è importante, ma se per trasmettere un significato agisci a discapito delle persone è ovvio che quelle persone non ti vedono come un rivoltoso ma come un coglione».

I vecchi binari ricoperti di erbacce si scaldano al sole poco distanti dai ragazzi, si torna a parlare di treni: «quando vai alla stazione le fughe dalla polizia sono preventivate, come pure quando vai in un posto trafficato. C’è sempre chi chiama i carabinieri, anche se sono le 3 di notte. Coi muri è diverso, sei più coperto, ti puoi scegliere un posto tranquillo oppure osare. Il bello di lavorare su un treno dipende proprio dal fatto che è un treno, un mezzo accessibile e usabile da tutti, è graffitto radicale. Negli anni Novanta le carrozze sono state ripulite e pellicolate, adesso è un po’una bega ma a volte si combina».

Loro rispondo alle domande girati di spalle, continuando a impegnarsi tra colori e sfumature. Chiacchierano ma non si interrompono, il braccio resta in tensione, le dita concentrate sul tappino. Interrogati su alcune diciture poco comprensibili presenti nell’invito alla giornata, illustrano il significato di alcuni termini strettamente gergali: «i toy ad esempio sono quelli che si appropriano del writing, ostentano ma non si impegnano, mancano di costanza e di attitudine. Sono gli impiccioni della situazione, quelli che fanno sempre le stesse cose e si bullano».
Raccogliendo opinioni qua e là ci si rende conto di quanto articolata e per nulla scontata sia questa porzione di Altracittà, ed è interessante capire quali punti di contatto possono esistere tra dimensioni diverse. È uno dei writers più scafati a raccontare di come si sono incontrate e continuano tuttora a incontrarsi la strada e la galleria d’arte, ripercorrendo la storia lunga che parte dall’arte di Keith Haring e Basquiat e approda al cinema di Exit Through the Gift Shop, attribuito a Banksy: «adesso si parla di street art ma chi fa solo lettering di solito critica questa definizione, come pure l’uso dello stencil. La regola sarebbe che i veri writers fanno solo i writers, scrivono. Io non concepisco questo tipo di discorsi, alla fine è tutto uguale: si tratta sempre di dipingere un muro. Anche perché spesso le scritte non si riescono a leggere, e se scrivi qualcosa che nessuno capisce vuol dire che non è tanto il messaggio che conta, quanto la sfida stilistica. È una questione di forme e colori».

4 Commenti

  1. Francesco scrive:

    bell’articolo e belle foto. complimenti

  2. kittensencula scrive:

    l’area adesso è sotto sequestro giudiziario….càmadò

  3. Tom scrive:

    Bello sapere che anche Ferrara ha sua la parte underground.
    Sarebbe bello che certi spazi abbandonati ma frequentati vengano resi meno grigi e più colorati dai writer (o più in generale dalla street art), come ad esempio il palazzetto dello sport e parte del parcheggio ex-mof.

  4. claudia scrive:

    Anche questa è arte una parte di arte del nostro tempo,e dare uno spazio all’arte in questa città grigia, è una gran cosa pecccato che ancora queste figure che non imbrattano i muri ma li abbelliscono non siano viste bene da tanti ma meno male che ci sono
    Belle foto e articolo interessante complimenti all’autrice

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