Maria è contenta. Oggi ha fatto canestro due volte. La mamma le sistema il colletto della camicia, “andiamo a far merenda” le dice. Gli occhi di Maria si illuminano “Si, voglio la crostata!” La mamma sospira: “Poca però, sennò niente pizza”. Maria ha cinquant’anni e soffre di una disabilità intellettiva dalla nascita. Se è così tanto felice del canestro di stasera è anche grazie all’A.S.D. del gruppo sportivo terapeutico ANFFAS.

La sede è in via della Canapa, ed è lì che ci aspettano Francesca Bortolazzi, addetta alla segreteria e la Presidente Sabrina Carli. E’ mattina presto e negli uffici la luce delle lampade scaccia via il sonno. Sabrina Carli ci racconta dell’associazione con una voce di un’eleganza d’altri tempi: “L’associazione nasce a metà degli anni ’80 grazie all’iniziativa di alcune famiglie dell’associazione ANFFAS di Ferrara. Tutto ruota intorno allo sport: i benefici psico-fisici che ne derivano sono incalcolabili, senza contare che un’attività sportiva è anche sinonimo di inserimento e integrazione sociale per i nostri ragazzi. Noi qui ne ospitiamo una cinquantina, sono tutti ragazzi di Ferrara con disabilità intellettive e relazionali.” Tutto gira intorno allo sport, a una fatica buona, a un sudore utile, un grande stimolo per un miglioramento interiore prima che fisico. E se questo vale per tutti possiamo solo immaginare cosa possa essere per i ragazzi dell’ANFFAS. Perché lo sport non dovrebbe avere niente a che vedere con il successo, con record superati e con traguardi tagliati ma con il dare il meglio di sé. E in certi casi può fare la differenza tra una vita relegata e defilata, agli angoli della società, e una vita vera e degna di essere vissuta.

“Gli sport principali che offriamo sono tre: nuoto, equitazione e ginnastica – continua la Presidente – il nuoto è fondamentale: senza la gravità non si è più prigionieri di un corpo troppo pesante. Ma lo sport che la neuropsichiatria raccomanda da sempre è l’equitazione, sia per il rapporto affettivo che si instaura tra cavalli e disabili sia per il valido aiuto che dà alla postura. L’equitazione si svolge all’ippodromo comunale di Ferrara oppure nei centri diurni ed è l’attività preferita dai più piccoli, mentre i più grandi un po’paura dei cavalli ce l’hanno, specialmente dei due grandi e neri. Si, sono bravissimi e disponibili”. Mi ci vuole un po’ per capire che stiamo parlando dei cavalli. ”Due sono neri, belli grandi, e poi c’è la nostra biondona, una cavalla dalle caviglie robuste”. Pare che i cavalli siano considerati operatori a pieno titolo. “Certo. Ci teniamo ai nostri animali, finito il lavoro non finiscono certo al macello, gli riserviamo un bel posticino dove trascorrere la pensione. Se la sono meritata”.

Foto di Andrea Bighi

Insieme alla presidente c’è Francesca, che sorride già dal mattino presto. “Tutte le attività vengono svolte con personale qualificato e con il supporto del C.S.I. (Centro Sportivo Italiano) a cui il nostro gruppo è affiliato da anni. Ma non è finita qui.  Ci sono i campi estivi, la vela a Comacchio e il catamarano in estate. E poi le attività atletiche, le gare, gli orienteering, le cacce al tesoro, le gite fuori porta. Portiamo i nostri ragazzi ogni mattina in un centro diurno diverso, come il S. Martino, per esempio, o il Rivana dove si organizzano attività di laboratorio come musica e teatro. L’anno scorso abbiamo organizzato un corso di tamburi con un percussionista africano. Ha avuto un grandissimo successo: il ritmo li aiutava ad esprimersi. Poi c’è anche il volontariato al canile, come portar coperte per l’inverno ai cani infreddoliti”. I ragazzi dell’associazione non stanno mai fermi ed è qui il segreto, contrariamente alla tendenza alla mera assistenza che spesso domina in ambiti di aiuti ai disabili. “Invece noi vogliamo dare degli obiettivi a questi ragazzi. Le gare servono per spronarli a progettare, a impegnarsi, a sfidare sé stessi, è questa la vera medicina. Fare qualcosa di utile, non restare chiusi in casa. E’ proprio questo il punto, – spiega la Presidente – i disabili di solito non vengono investiti di responsabilità. E questo è sbagliato. Da noi i disabili più autonomi danno una mano, per esempio spingono le carrozzine dei meno fortunati, così la loro autostima cresce. Hanno bisogno di una vita sociale, di una vita associativa. E anche i genitori.”

I fondi? Quelli sembrano non bastare mai. “I fondi per finanziare i nostri progetti derivano da bandi, regionali o della Provincia, a cui partecipiamo – spiega Francesca – ma buona parte delle nostre attività sono autofinanziate. E quando i soldi non bastano sono le famiglie a metterci la differenza. I volontari sono la nostra risorsa. Che sia l’autista di pulmino per portare i ragazzi alle gare o in gita fuori porta, che siano operatori per le attività di supporto in palestra e durante la riabilitazione equestre”.

Chi sono gli operatori? Gli educatori sono volontari del servizio civile o operatori laureati in scienze motorie ma “…sono più amici che educatori. Con il progetto Carta Giovani Protagonisti abbiamo accolto anche volontari giovanissimi, perfino di tredici, quattordici anni”. Adolescenti che si occupano di disabili? “Si, è stato un successo, un’esperienza bellissima, sono stati davvero di aiuto, e sono sicura che anche a loro è servito tanto. Quello che vogliamo, infatti, è coinvolgere la città in modo che non ci sia una segregazione tra normali e disabili”.

Il come abbattere questa distanza lo scopriamo una sera alla palestra del Carducci. L’edificio sa di scuola fin dalla ruggine del primo banco. La palestra è essenziale e illuminata a giorno. I ragazzi sono in fila, ognuno con una palla in mano, e seguono i richiami degli istruttori: “Forza Valentina, ce la puoi fare, passala qui!” Insegnare a palleggiare, a passare la palla, a fare canestro, a rispettare la fila e il proprio turno è compito degli istruttori. Vito e Marina sono due ragazzi laureati in scienze motorie, arrivati qui con il tirocinio del servizio civile. “Ma la passione ci ha fatto restare” sorride Marina. Poi ci sono Andrea, Chiara, Cristina e Nadia. Nadia è un’ex insegnante di scuola media in pensione, lavora con l’associazione da ben vent’anni. “Le prime settimane sono stare dure“ ammette “venivo da esperienze di vita e di lavoro con i normodotati, non ero preparata. Ma poi mi si è aperto un mondo. Sono diventata un loro punto di riferimento. Il loro affetto è immenso, mi hanno dato tantissimo”.

Intanto negli spogliatoi i genitori dei ragazzi aspettano. Seduti sulle panche si stringono nelle loro giacche. Le donne chiacchierano, gli uomini aspettano, uno sguardo alle lancette. Tre signore hanno voglia di raccontare. “Se non ci fossero tutte queste attività saremmo spacciati. Una volta non era così, si tenevano i figli disabili a casa e basta. Noi ci diamo moltissimo da fare ma non possiamo fare tutto, abbiamo il nostro lavoro o altri figli a cui badare”. “Certo siamo preoccupate per i tagli finanziari” aggiunge la sua amica” l’anno scorso hanno fatto corsi di musicoterapia ma quest’anno chissà se ripartirà”. Tutti ricordano con un sorriso i volontari tredicenni “deliziosi” come suggerisce una signora dagli occhialetti tondi. Ma i genitori non stanno mica con le mani in mano. “In che modo aiutate l’associazione? – chiedo. “Oh, in mille modi diversi. Facciamo i pacchi regalo all’Ipercoop al Castello per esempio. Serve a dare visibilità e a finanziare le nostre attività”. “Quando esce in edicola il Listone?” chiede un signore pulendosi gli occhiali. “Mi dispiace – sorrido – è tutto online”.  “Ah, ma io non lo so mica usare il computer. Mia figlia lei sì che è brava. Certo, non è come gli altri ma al computer è una scheggia”. “Mia figlia ha cinquant’anni – sorride una signora con un caschetto grigio – è felicissima di venire qui in palestra. L’ultima volta è salita sul podio, aveva vinto la gara di nuoto. Si allena moltissimo”. Sì perché non sono tanto le gare, quanto l’attesa della gara con tutto il suo corollario di emozioni, allenamenti, calli e sudore. E la felicità sta tutta lì, nel momento dell’attesa.

Ma veniamo alla grande novità: “Mio figlio è un grande appassionato di baskin” mi dicono tutti i genitori. Cos’è il baskin? E’ uno sport nuovo nato a Cremona, un basket particolare con ben quattro canestri, due ad altezza regolare e due ad un’altezza inferiore per permettere anche a chi siede in carrozzina di poter tirare e fare centro. “E’ uno sport con gradi di abilità differenti pensato per permettere ai disabili di giocare nella stessa squadra insieme ai normodotati” spiega Vito. “Ogni giocatore porta il proprio personale contributo e il successo è di tutti. Il ruolo di ogni giocatore è definito dalle sue competenze motorie e ha un avversario diretto dello stesso livello”. Inutile dire che anche i ragazzi normodotati traggono beneficio dal confronto con l’altro-diverso-da-te, una ricchezza formativa importante. E per i disabili i benefici non si contano. “Siamo andati anche a Verona a giocare con la squadra nazionale di baskin!” sorride Vito, la palla sotto il braccio. “L’aumento dell’autostima è la prima cosa, poi c’è la consapevolezza di sé, il miglioramento delle abilità psicomotorie e di interazione sociale, la lezione del senso del sacrificio e dell’allenamento imparata sulla propria pelle non si scorda più”.

E’ quasi ora di cena. Maria e gli altri ragazzi seguono i genitori verso casa, Nadia mette in moto il motore e Vito sale in sella alla sua Vespa. Quello che hanno dato stasera nessuno glielo porterà via.

Mentre tu hai una cosa può esserti tolta. Ma quando tu dai, ecco, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare. E allora è tua per sempre” (James Joyce)

Per essere informati sulle attività o per fare domanda di volontariato al Gruppo Sportivo Terapeutico ANFFAS cliccate qui http://www.gstanffas.net/?page_id=8

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