È probabile che nulla capiti per caso. Venerdì scorso c’era la presentazione di Medea, con la Pandolfi che parlava e che intervistava la Paiato, l’attrice che ha interpretato questa tragedia al Teatro Comunale di Ferrara. Maria Paiato che è originaria di Stienta e che dunque forse si potrebbe intervistare, se la chiamiamo in tempo. Invece scorre incessabile, il tempo. E gli impegni si susseguono, si attaccano per poi scollarsi, e si perdono nei ricordi di un messaggio letto di fretta. “Venerdì purtroppo non riesco per la presentazione, ho un impegno”, rispondo tra il dispiaciuto e l’adombrato nel perdermi certe situazioni.

In quell’orario, infatti, avevo già aderito ad un progetto che vuole parlare della violenza sulle donne. “Un tema che io vorrei rendere in modo diverso”, mi spiega il fotografo che deve farmi le foto. “Hai presente – continua – il simbolismo di inizio Novecento? Hai presente quelle donne che iniziano ad emanciparsi, che non stanno più negli schemi dettati loro dalla società? Ecco, quelle donne lì. Quelle donne che non si arrendono al male subito. Quelle che come una Giuditta si vendicano, che sono temute. Donne che non hanno paura”. Ecco.

Medea immagina, inventa, escogita.

Medea ricama astuzie e scaltrezze.

Medea, fra le macerie, decide.

“Questo giorno farà, sì, farà quello che mai nessuno tacerà! Aggredirò gli dei, farò crollare il mondo!”. Ok, come in tutte le storie anche in quella della matricida per eccellenza è doveroso fare un piccolo passo indietro.

Tutto ha inizio, infatti, con la spedizione di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, ambita pelle che si trova in quella regione della Turchia chiamata Colchide. Il vello è qui custodito da Eete, re della Colchide. Per recuperare il prezioso cimelio, Giasone deve dunque superare una serie di prove per lui impossibili fino a quando non gli viene in aiuto Medea, maga e figlia del re. Con le sue arti magiche, infatti, Medea riesce a uccidere il drago che custodisce il vello d’oro e i due scappano insieme. Medea lo segue perché innamorata, mettendosi contro il re Eete suo padre, che li insegue con delle navi. Qui Medea, facendo di nuovo uso della magia, uccide suo fratello, per rallentare il padre che disperato ferma la sua imbarcazione per raccogliere i resti del figlio. I due fuggitivi riescono a scappare e si recano in Grecia, a Corinto, dove dal loro amore nasceranno due figli. Qui, però, Giasone si innamorerà di Creusa, figlia di Creonte, re di Corinto. A questo punto, ferita nel suo amore impazzisce, perché capisce che non c’è possibilità per lei di riconquistare il suo adorato Giasone. Macchina allora la sua atroce vendetta, il suo drago mostruoso. Sebbene prima decide di uccidere Creusa per colpire i sentimenti dell’amato, scopre poi successivamente il lato più debole di Giasone: i figli generati con lei. Decide dunque, nella più totale delle vendette, di ucciderli.

“Questa è la tragedia dell’ira”, recita il volantino di presentazione a cura del regista Pierpaolo Sepe. Certo, l’opera presentata dalla Paiato e compagnia è ripresa dalla tragedia di Lucio Anneo Seneca, riscritta quasi mezzo millennio dopo quella di Euripide (datata 431 a.C.). Seneca, infatti, di fronte al delitto dei delitti, ad una madre che uccide i propri figli per annientare il marito, non può che far emergere il suo lato più pomposo e retorico, dando a tutti costi un substrato di moralità alla tragica faccenda. Seneca analizza così il concetto di furor, che si sostituisce alla ratio, che annienta completamente e cancella ogni istinto razionale, primo su tutti quello materno. Ma Medea non è solo questo. O almeno – dall’alto del loggione – non può che apparire qualcosa di più.

Medea diviene così la demoniaca, se si vuole mettere in risalto il suo carattere soprannaturale votato alla magia.

Medea è anche straniera, è una barbara che si fa portavoce di conflitti inguaribili tra civiltà differenti.

Medea, infine, è una donna follemente innamorata di Giasone e in nome del suo amore ha già dimostrato di poter commettere qualsiasi atrocità.

“L’amore infelice rende crudeli”, grida a un certo punto Medea. Lei che ha fatto un sortilegio affinché Giasone riuscisse ad impossessarsi del vello d’oro, lei che ha ucciso per amore di lui il proprio fratello. Lei che per vendetta vuole ferire l’amato uccidendo prima la sua nuova compagna e passando poi ad escogitare la vendetta finale, la più tremenda, l’uccisione della sua stessa carne.

Resterà un personaggio solo, abbandonato, divorato da un dolore e da una furia che lo rendono quasi disumano. Un monstrum in cui Medea è diventata Medea, una corazza in cui ha imparato a fingere e a nascondere il rancore.

Questo è il prezzo da pagare per “diventare Medea” e aderire completamente alla sua natura. Lei che con Giasone ha già infranto i limiti del mondo posti dagli Dei, attraversando i mari inesplorati, ora si prepara a sfidare l’universo intero e le sue regole, tornando ad essere strega, prima che donna. Barbara, prima che essere umano.

Mentre Medea ha piena coscienza della propria storia, Giasone risulta cinico ed opportunista, poiché vede le nuove nozze come una liberazione dalla madre dei suoi figli, oltre che come una nuova investitura sociale.

L’agire di Medea trova spiegazione nella necessità di essere stimata e di non essere derisa per le sue origini. È insofferente verso i condizionamenti della società greca nella quale si è inserita per amore e nella quale la legge della città si scontra, inevitabilmente, con la legge dei sentimenti. Medea percorre così un lungo viaggio emozionale che la conduce all’autocoscienza, scoprendo che per l’amato ha sacrificato la patria, il padre, il fratello e, non da ultimo, il pudore. Medea diventa così l’eroina della consapevolezza.

È una donna che è stata condannata, come ancora oggi accade, perché ha osato avere consapevolezza del proprio ruolo. Seppur sola, seppur isolata, è una donna che non si arrende, che non subisce e che anche nel più profondo del male, decide. Si misura di continuo con le sue scelte e ne cade a sua volta vittima, perché nulla può ridarle l’amore di Giasone, oltre che il fratello e i figli tanto amati.

Medea è artefice del proprio destino, è contraria al senso comune e agli Dei, qualsiasi essi siano. Donna che non ha paura – come direbbe il fotografo del progetto di venerdì scorso – o donna che ha smesso di averne nel più tragico dei modi? D’altronde, niente è più possibile, ormai.

E, in questo dubbio, non si può che volerle del bene.

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