Le ultime classifiche mondiali relative alle politiche di genere – Global Gender Gap 2013 –  pongono l’Italia all’ottantesimo posto. Nella lista stilata a Ginevra dal Word economic forum, su 136 Paesi analizzati l’Italia si classifica 124° in quanto a parità di stipendio tra i sessi. Un risultato tutt’altro che allegro, commentato in diverse occasioni durante il recente Festival di Internazionale a Ferrara. Tra le varie conferenze a tema e iniziative dedicate, Listonemag ha deciso di conoscere meglio il progetto Unaqualunque Talks, presentato durante il recente Festival di Internazionale presso il Mercato Coperto.

Si tratta di un esperimento di verbalizzazione femminile strutturato come il celebre Ted, con un sito di riferimento – www.unaqualunque.it – e una serie di eventi per ascoltare dal vivo le storie e i discorsi che le donne vogliono condividere. Il progetto è stato ideato e promosso da Sabina Ciuffini. Sì, quella Sabina Ciuffini. La prima valletta della televisione italiana, la showgirl in minigonna che negli anni Settanta accompagnava Mike Bongiorno durante Rischiatutto. Sono passati quarant’anni da quella prima apparizione sul piccolo schermo, tante le esperienze e i percorsi professionali intrapresi, dal giornalismo di costume al cinema. Attualmente Sabina lavora come imprenditrice a Milano, gestisce un proprio blog per Il fatto quotidiano, si dedica alla promozione di un portale virtuale “allo scopo di creare una massa critica femminile irreversibile”.

Da dove nasce l’idea alla base di Unaqualunque Talks?

La donna italiana è un brand planetario: intelligente, elegante, madre dolcissima, forse un po’troppo angelicata ma veramente è amatissima nel mondo. Qui però viene data per scontata. Non viene ascoltata. Le donne si rivolgono a sé stesse in lunghissimi monologhi interiori, restano inespresse, per certi versi anche giustamente: sono logiche, hanno talmente tanto da fare, problemi urgenti da risolvere, e allora frammentano gli obiettivi, scelgono di non esprimersi. Ma il pensiero delle donne deve incidere sul discorso pubblico, non per fare a gara con quello degli uomini ma per riempire un vuoto di senso. É un tesoro da scoprire. L’idea di creare Unaqualunque Talks è nata da questa osservazione, dalle chiacchiere tra colleghe, amiche, vicine di casa. Come donne abbiamo tante cose da dire, questo è un dato, ma dobbiamo imparare a dirlo bene. Il logos, la parola, quando scaturisce da una profonda riflessione interiore e viene lavorato con la giusta energia acquisisce una valenza magnetica. La retorica è l’arte degli dei. Per questo il progetto non cerca l’improvvisazione, non cerca la diretta, ma la costruzione di un discorso curato, che funzioni, che possa essere strumento di trasformazione. Non vuole essere un divertissment ma qualcosa di necessario, un dovere più che un piacere.

Foto di Valerio Spisani

A quali donne si rivolge l’iniziativa?

Le donne servono tutte. Vanno bene tutte. La ricca, la povera, la stronza, la simpatica, la giovane, la vecchia. Perché la base archetipica è comune. Essere donna in Italia è un’esperienza tutt’altro che facile. Il delitto d’onore  è stato abrogato solo nel 1981. Credo che oggi le ragazze stiano vivendo un momento più difficile ma che non se ne rendano conto. La difficoltà è mascherata. Vivono a cavallo di due millenni, la scelta tra maternità o lavoro viene spacciata come un privilegio.

Da chi viene condotto questo progetto? In che modo si sostiene?

Non siamo un’associazione culturale ma un gruppo abbastanza bordeline di cui fanno parte scrittrici, esperte di nuove tecnologie, curatrici, imprenditrici. Ognuno porta il suo contributo, in modo semivolontario. Abbiamo inoltre raccolto degli sponsor, ed è importante specificare che chiunque intenda sostenere economicamente Unatalks deve aderire alla linea che ci siamo date: non chiedere niente in cambio, perché di sacchetti della spesa ne abbiamo già portati tanti. Ringraziamo gli sponsor ma non usiamo striscioni o altro materiale pubblicitario.

A ottobre il progetto Unaqualunque Talks ha incontrato le donne ferraresi, “reclutate” contattando diversi referenti dell’associazionismo locale al femminile, come Soroptimist e Udi. Si è trattato di un confronto preliminare per sviluppare futuri speech da proporre dal vivo e sul sito. Quali sono state le tematiche maggiormente discusse?

Cerchiamo oratrici che vogliano raccontare ciò di cui solitamente tacciono. Qui abbiamo intervistato una trentina di donne, quello che ci ha colpito è stato soprattutto il loro interesse per i temi legati alla terra, argomento che si allaccia probabilmente al terremoto del maggio 2012. Si è parlato con grande attenzione di biotecnologia e territorio, dei nuovi brevetti omg. Un altro argomento molto sentito è stato quello della cura degli altri, intesa sia in senso professionale che familiare. Da questo punto di vista la lingua italiana è trasparente, lascia intendere benissimo i termini della questione. In inglese si usa il verbo “take care”, qui invece si usa il riflessivo “prendersi cura”, la differenza è sostanziale. Prendersi cura significa addossarsi i problemi degli altri, filtrare il veleno.

Come procederà il percorso avviato a Ferrara?

Abbiamo trovato qui una risposta veramente buona, un’atmosfera accogliente. In primavera ci piacerebbe proseguire nella raccolta delle storie. L’idea sarebbe quella di creare una triangolazione tra Ferrara, Cento e Comacchio, cittadine vicine geograficamente ma molto diverse. Il progetto tornerà nel capoluogo estense venerdì 15 e sabato 16 novembre, per registrare altre videointerviste e fare visita alla Casa delle donne.

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