L’unico punto fermo è il movimento. Ci pensano i lati della tela a sanare una contraddizione solo apparente e a schiudere una finestra fra chi dipinge e chi osserva. In mezzo c’è un universo di suggestioni che ognuno può decifrare in virtù della propria sensibilità. E l’universo del pittore Alfredo Pini è un qualcosa di sospeso che prende forma, secondo la contingenza del momento, in uno scorcio di strada, in una scritta su un muro, in un modello di vespa. Ne abbiamo parlato con lui, nel suo studio-galleria in via Goretti, a Ferrara, che funge anche da laboratorio per le sue creazioni.

«Sono nato a Mirandola, in provincia di Modena – ci racconta – ma mi sono trasferito a Ferrara a metà degli anni ottanta. I miei primi studi non avevano a che fare con l’arte, mi sono diplomato in ragioneria e per un periodo ho anche lavorato in banca. Eppure l’attrazione verso il mondo dell’arte mi ha spinto a mollare un lavoro che non mi appagava per inseguire tutt’altro genere di percorso. Non avevo alle spalle degli studi e, oltre a seguire diversi corsi, ho deciso d’iscrivermi al Dams di Bologna. Pur non terminando il corso di laurea, ho comunque sostenuto gli esami d’arte. Un artista deve conoscere la storia dell’arte, deve capire cosa nel tempo è stato fatto per permetterci di arrivare fin qua, deve parlare con cognizione di causa, usando un linguaggio non anacronistico. Saper utilizzare un linguaggio contemporaneo è soprattutto un modo per precedere i tempi».

E il tempo che scorre inevitabilmente scava un solco invisibile nell’ispirazione. «Se penso a quelli che sono stati i miei riferimenti, ammetto che l’influenza maggiore, l’ha esercitata la pop art. Negli anni ottanta ero affascinato dai concetti espressi da quella corrente, sviluppata negli Stati Uniti negli anni sessanta, allo stesso modo di quanto oggi sia attirato dalle transavanguardie. L’artista internazionale al quale sono più legato è Andy Warhol. Se invece guardo al nostro paese, non posso non ricordare la figura di Mario Schifano e la pop art italiana. Mi piaceva la sua gestualità, la forza che traspariva nei suoi quadri, la sua ecletticità nell’affrontare gli stili più diversi».

Foto di Giacomo Brini

Nulla è lasciato al caso nella genesi di un’opera d’arte. Un po’ come l’improvvisazione per i musicisti jazz che suonano in un angolo della strada. Personaggi ricorrenti nei quadri di Pini che manifesta una sorta di ammirazione per questo genere musicale. «I suonatori jazz che ritraggo, come anche quelli rock, sono sempre stati uno dei miei soggetti prediletti. Perché incarnano un’arte spontanea, anche se in fondo c’è tanto studio dietro quello che in apparenza sembra un semplice momento d’improvvisazione. Rappresentare in chiave pittorica il jazz è un modo per comunicare quella libertà di espressione».

Nel caos di oggetti disseminati nel laboratorio, l’armonia ha le sembianze di una vespa o di  una bicicletta che riposa lungo una via ed è racchiusa dentro una tela. «La città di Ferrara – continua Pini – mi ha colpito come cornice artistica. I suoi monumenti, gli scorci delle sue piazze hanno ispirato numerosi miei quadri, come scenari dove inserire i soggetti. Spesso, ricalcando la pop art che non offre messaggi diretti, aggiungo elementi di modernità. Non vere e proprie scritte, ma segni non leggibili per movimentare la scena».

Per chi lavora manualmente con pennelli e cavalletto, la tecnologia svolge un ruolo di supporto. «Io non ho mai dipinto all’aperto. In passato scattavo delle fotografie che, tornato in laboratorio, usavo come modello da riprodurre a modo mio sulla tela. Oggi le immagini che pesco su internet hanno spesso sostituito le foto. Una volta qui, elaboro tutto secondo una mia visione. La pittura è veloce, ma magari termino tutto in una settimana quando bisogna attendere i tempi di asciugatura. L’importante è rendere il senso del momento. Ogni immagine non è mai statica, tutto cambia. I soggetti che scelgo, come le vespe o i vecchi tram, rimandano a un’epoca passata, rivisitata in un contesto odierno. La mia infanzia ha attraversato gli anni sessanta e rappresentare quel mondo tramite le immagini che lo caratterizzavano è una maniera per sottolineare che dietro gli ideali di quel periodo c’era maggiore forza e consapevolezza. C’era qualcosa in cui credere allora, a prescindere dai contenuti».

Se ci si limita all’aspetto tecnico, comporre un dipinto è un procedimento per fasi dove allo sfondo ripreso da una foto trovata in rete si aggiunge il soggetto in cerca di uno spazio. In una sorta di puzzle in fieri. Eppure il gioco di colori, proporzioni e prospettive non funzionerebbe senza il concetto di ‘giocare’ con la realtà. «In un’ottica di critica alla contemporaneità, mi sono soffermato sull’idea di utilizzare l’immagine della donna, che trovo un essere meraviglioso, come veicolo pubblicitario, ponendo l’accento sulla bellezza omologata, sull’apparire come valore». Senso dell’effimero e cultura della vita urbana, raccontanti anche nel catalogo di una sua mostra dal titolo ‘Start the game’. Dove si rincorrono spezzoni di sfilate di modelle in passerella e momenti di evasione affidati a jazzisti in strada. E dove si alternano le scritte delle copertine delle riviste di moda ai graffiti sulle pareti di una città immaginaria. All’interno, peraltro, c’è spazio per un’opera chiamata ‘Buskers’, che reca in basso del campo visivo le parole ‘Ferrara di notte’. «Ho cercato di proporre un taglio fumettistico, quasi a rievocare le locandine dei cinema degli anni settanta e ottanta».

E il lungo film dell’arte consente repentini salti in avanti e all’indietro. Fra citazioni sul pittore ottocentesco Henri de Toulose-Lautrec e cenni su Jackson Pollock e la sua elaborazione, sul finire degli anni quaranta, del dripping, «una tecnica dove il colore sgocciola, sulla tela distesa a terra, mediante un secchio bucherellato», il tempo diventa una pellicola che si svolge e si riavvolge. E l’arte pittorica uno strumento in grado di esprimersi su più versanti. «Qualche anno fa ho disegnato la locandina del festival Umbria Jazz, oltre ad aver realizzato quella per Ischia Jazz. Inoltre un mio disegno è nella copertina di ‘Parlami ancora’, un libro giallo scritto dall’autore Massimo Di Francesco». I depliant che Alfredo Pini ci mostra riportano le date delle ultime esposizioni, in Italia, ma anche all’estero. «Il luogo più lontano in cui è stato venduto un mio quadro è stata la California».

L’ultima fatica, infine, è stata la partecipazione, insieme ad altri artisti, alla mostra ‘Tre passi nel delirio: Fellini Truffaut Kubrick’, nella galleria d’arte contemporanea Wikiarte, in via San Felice, a Bologna.

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