Il primo spuntò nel 2008, vicino al Castello. Poco rumore, fioritura singola seguita da un lungo silenzio.  A chi mai poteva interessare un ristorante giapponese nella città della salama da sugo? A Ferrara l’avvento del sushi non suscitò inizialmente grandi entusiasmi, venne considerato dai più come l’alternativa chic alla classica cenetta cinese, da provare per sentirsi – sperduti nella campagna grassa dell’Emilia – un pochino più milanesi. Dovettero passare diversi anni prima che le coppiette di autoctoni, seduti alla tavola del sabato sera, potessero ordinare con disinvoltura zuppa di alghe e hosumaki fritti. Cosa ha reso possibile questo cambiamento? Semplicemente la pervasività dell’offerta, verrebbe da rispondere. Nel giro di pochissimi anni, indicativamente tra il 2011 e il 2013, la parola sushi ha cominciato a giganteggiare lungo le principali arterie cittadine, gli spazi dedicati si sono moltiplicati fino a diventare naturale complemento del panorama urbano. Complice una cartellonistica pop, arredamento Ikea e offerte strabilianti (pranzo a 9 euro e 90 e mangi quanto vuoi), il ferrarese si è avvicinato alla gastronomia nipponica. Forse.

«Partiamo dalle basi: i tre cilindretti di riso con avocado e pesce non sono sushi, si chiamano uramaki. Sushi sono solo i tarlocchi di riso con sopra la fetta di pesce». Matteo cerca di spiegarmi ciò che  – durante la mia prima visita al Sushiko di via Padova – non ero riuscita a capire: «se hai mangiato solo i cilindretti non hai mangiato sushi».

Il posto mi aveva in effetti abbastanza disorientata: sapendo che, a prezzo fisso, avrei potuto infilare nel piatto qualsiasi cosa avessi trovato a disposizione di forchetta, poco mi ero preoccupata di leggere il listino. Avevo semplicemente vagato attraverso le postazioni del buffet, piluccando a caso qua e là. Le pietanze proposte erano di origine planetaria: spaziavano dall’anitra all’arancia alla crocchetta di patate, dall’italicissima lasagna all’universale broccolo lesso. Cercando un tavolo sul quale appoggiare lo strano menù autocomposto, non ho potuto fare a meno di avvicinarmi all’attrazione del locale: il nastro trasportatore di cibo. Un inno colorato all’impersonalità. Funziona così: i cuochi lavorano parzialmente nascosti da un paravento e continuamente immettono sui rulli delle ciotoline che assomigliano a capsule spaziali, all’interno delle quali si trova ciò che a prima vista sembrerebbe una cena per astronauti. Ballette di riso decorate di chissà cosa, mattoncini stratificati di altrettanto chissà cosa, allettanti conchette forse a base di frutta. Menomale c’è Matteo che, forte di una plurima esperienza diretta in Giappone, prova a educarmi: «questo tipo di servizio si chiama kaiten sushi, ma da noi non funziona come a Tokio. Qui il nastro significa abbuffata a prezzo fisso. In Giappone invece le ciotoline prese si conservano e si consegnano a fine pasto, perché dal loro colore si capisce il prezzo del loro contenuto e si prepara il conto. In verità non si spende molto di più, la cifra finale più o meno è la stessa, ma si mangia meno e si apprezza di più. La qualità è migliore». Spulciando su Tripadvisor si trovano recensioni abbastanza buone per questo tipo di ristoranti, ma prevedibilmente il punteggio maggiore è guadagnato proprio dal rapporto qualità prezzo, e c’è chi titola il proprio commento: “la catena di montaggio del gusto”. La similitudine potrebbe non essere completamente azzardata se si considera il ristoro ferrarese di via Padova all’interno della rete del brand Sushiko, che lavora in franchising da Vimercate a Grosseto, con decine di affiliati sparsi lungo tutta la penisola.

Foto di Giacomo Brini

Riporto la testimonianza di un avventore: «l’ambiente mi piace, soprattutto il fatto che ci si possa servire a buffet. Non ero mai stato qui prima d’ora e mi sono buttato più che altro sulle specialità cinesi, conosciute. Ho preso solo due pezzi di sushi ma la prossima volta voglio sperimentare di più».

Ho cercato ulteriori delucidazioni da Matteo, prima di affrontare – consigliata da lui – il ristorante Asahi, ovvero quella prima singola fioritura del 2008: «io stesso all’inizio mi rifiutavo di mangiare giapponese, ho iniziato ad apprezzarlo solo tre anni fa, durante l’ultimo viaggio. Ho cominciato con gli uramaki perché il sushi non mi piaceva, e la salsa wasabi mi sembrava anestetico per cavalli. Per il nostro palato è strano assaporare del pesce crudo ma poi ci si abitua. A proposito: il pesce da solo, tagliato a fettine sottili, non è sushi ma è sashimi. Può essere di tonno o di salmone, per riconoscerli basta ricordare che il tonno è rosa scuro, il salmone rosa chiaro con le strisce bianche. Qui il salmone è più buono, ma il tonno dei giapponesi non si può nemmeno paragonare al nostro».

L’atmosfera in largo Castello è senza dubbio più ordinata: meno coperti, meno chiasso, meno Disneyland (perché l’impressione più forte avuta dal taiken sushi è stata proprio quella di essere capitata in un bizzarro lunapark, luogo interattivo, ludico, iperstimolante). Da Asahi ho ordinato con cognizione di causa, scegliendo dal menù previa attenta e ponderata immersione in fotografie e didascalie. Nonostante il supporto delle immagini, e nonostante le spiegazioni ricevute, qualche incertezza rimaneva: che cosa differenzia un gunkan da un uramaki o da un sushi? Sempre di pesce e riso (e talvolta terzi intrusi) si tratta. Ipotesi da verificare: forse il nome cambia a seconda della posizione del pesce. Pesce sopra per il sushi, pesce attorno per il gunkam, pesce dentro per uramaki. Chissà.

Non ho avuto il coraggio di chiedere chiarimenti alla proprietaria del locale, la quale però ha molto gentilmente raccontato a Listone Mag genesi e sviluppo dell’impresa che gestisce assieme al marito: «veniamo dalla Cina, da un paese vicino a Shangai, abitiamo in Italia dal 1995. L’idea di dedicarci alla cucina giapponese ci è venuta perché già alcuni parenti avevano tentato questa strada a Milano e a Pavia, e i risultati sembravano buoni. Abbiamo imparato le ricette e preso contatti con alcuni fornitori all’ingrosso per avere gli ingredienti più particolari. All’inizio i nostri clienti erano soprattutto curiosi, attratti dalla novità. Ora che a Ferrara è possibile trovare sushi con relativa facilità lavoriamo principalmente con i clienti fissi, che negli anni sono diventati più amici che clienti. I transitori si sono ridotti. Le persone che non sanno mangiare sushi, o non vogliono mangiare solo sushi, non vengono da noi. Preferiscono i ristoranti dove la cucina è mista. Da noi ci sono solo pietanze tipicamente giapponesi, completamente diverse da quelle cinesi». Sempre la proprietaria ha sottolineato le recenti migliorie apportate: «abbiamo rifatto l’arredamento qualche mese fa, abbiamo riaperto il 25 maggio. Il gazebo fuori è stato completamente rinnovato, l’abbiamo dotato di un impianto di riscaldamento a pavimento, così da poterlo utilizzare anche d’inverno». Il piatto più richiesto? La barca, ovvero uno scenografico contenitore in legno ripieno di tante piccole prelibatezze diverse.

Dopo anni di misconoscimento nella città estense oggi la cucina giapponese si declina in tanti modi, la proposta e tale da poter assecondare aspettative molto diverse: si passa dal parco giochi dell’all you can eat alle atmosfere raccolte dei salottini. Matteo commenta serafico e saggio: «alla fine dipende dalla predisposizione dei singoli, se ti piace il pesce oppure no». Risponde un cliente occasionale: «sì ma il pesce è buono cotto». Cantava Kurt Cobain nel 1991, e chissà a cosa stava pensando: «it’s ok to eat fish ‘cause they don’t have any feelings». Si legge nel listino di Asahi: «I giapponesi godono dell’aspettativa di vita più alta del mondo», ma pare dipenda dalla dieta a base di alghe.

6 Commenti

  1. Andrea scrive:

    Io sono un tipo dall’all you can eat da menu non da rullo. Prima che chiudesse andavo sempre al Sushi d’oro, vicino il Pomodoro. Li si mangiava da dio con quintali di cibo.
    Ora però non c’è più. Lavremo fatto mica fallire?

  2. Sara scrive:

    Io nelle catene di montaggio non ci metto piede. Non è solo una scelta ideologica, è che proprio non mi interessa mangiare tanto ma mangiare bene. W i ristorantini di sushi del centro:)

  3. Igor scrive:

    Concordo con Andrea, si mangiava bene e tanto al Sushi doro con il “buffet a la carte” 🙂
    Dai, se hanno chiuso non è colpa delle 10 porzioni a testa di sashimi di salmone che ordinavamo con gli amici 😛
    Infondo anche il Wok Sushi in Porta Catena (“buffet a la carte”) e Hanami in via Bologna (kaiten buffet) son buoni.
    Il problema soprattutto è quando ti abitui a spendere poco per mangiare giapponese che poi mangiare in un ristorante dove paghi quello che mangi, cioè quello “normale” come anche il take-away (tipo Susa Sushi in via Bologna), ti sembra una follia.

  4. ludovica scrive:

    Se come me siate amanti delle alici allora non potete perdervi questa ricetta che ho scovato facendo un giretto su questo sito di ricette davvero ben fatto “Nonosoloscatolette”. Se volete cimentarvi ecco il link http://www.nonsoloscatolette.it/2013/09/alici-marinate-sottolio-pronte-alluso-0010005.php

  5. Sandra scrive:

    Si ci voglio provare sembra molto semplice.Carino questo sito di ricette..originale anche il nome.

  6. Siamo una coppia italo/giapponese saremo a Ferrara per lavoro e ci piacerebbe conoscere l’opinione di qualche giapponese che sia stato in questo ristorante prima di noi.

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