Oggi è il giorno dopo le morti di Lampedusa. Basta questo per far capire che l’atmosfera giocosa che ci si può aspettare da questo incontro è venuta un po’ meno, soprattutto quando si è nella piazza della città a parlare di Europa e gli adolescenti sul palco hanno il lutto al braccio.

Cielo grigio e minuto di silenzio prima dell’inizio, introdotto da uno schietto messaggio degli studenti, il cui sunto è: l’Unione Europea non può ignorare gli Stati che accolgono i migranti. Alle estremità del palco di piazzetta Municipale ci sono due gruppi di ragazzi, studenti del liceo classico Ariosto e del liceo scientifico Roiti di Ferrara, che hanno studiato con i loro professori come mettere l’Europa, o meglio, l’Unione Europea, alla sbarra.

Due gruppi, uno pro e uno contro, con la partecipazione di esperti in materia che si sono prestati al ruolo di giudici: Emilio Dalmonte, per la commissione europea, Tonia Mastrobuono, giornalista de La Stampa ed infine Andrea Pipino per Internazionale, moderati da Federico Taddia.

Gli studenti sono stati intelligenti a scegliere argomenti rappresentativi e zeppi di spunti, tant’è che sviscerandoli tutti «ci sarebbe materiale per un altro festival», come bofonchia qualcuno nel pubblico.

A cominciare il primo giro di accuse è il gruppo dei contro, lanciandosi in un’invettiva contro Barroso, Schultz e van Rompuy, colpevoli di essere tecnocrati, non legittimati democraticamente, poco carismatici, e poi la Costituzione Europea? Ne vogliamo parlare? E le istituzioni, chi le conosce?
A supporto della tesi sull’ignoranza un video girato in piazza Ariostea a Ferrara con le domande scolastiche, nozionistiche, sul funzionamento di quel grosso apparato che è l’Unione Europea. Le risposte sono deboluccie e insicure.

Riparte l’accusa: «L’Unione Europea è un affresco che si sta sgretolando davanti ai nostri occhi» e il ragazzo in piedi sul palco a sfidare il microfono denuncia l’ipocrisia nei confronti dei PIIGS, dell’eterno conflitto tra l’efficiente Nord e il lento Sud (dell’Europa, stavolta) e parla di analfabetismo politico citando Bertold Brecht.

Foto di Giulia Paratelli

Il gruppo pro risponde e mette in scena uno scambio tra due generazioni, quella abituata alle differenze nazionali, alle diverse valute e al documento alla frontiera e quella invece di Schengen e dell’euro. I giudici intervengono pacatamente per portare all’attenzione le procedure corrette dell’UE, per additare quelli che sono i vizi dei ragionamenti dei due gruppi. Sono tutti e tre apertamente europeisti, orgogliosi di un’appartenenza che, come hanno spiegato a più riprese, si sono conquistati faticosamente nel tempo.

Il pubblico ogni tanto è chiamato a votare, ed è strano come prevalga sempre il voto disfattista delle argomentazioni di chi è contrario. E’ strano assistere dal vivo ad un formato che ricorda tanto quello del talk show – con regole più civili ed educate, chiaro –, studiato e meticoloso.

Andando avanti è chiaro che il gruppo contro dà motivazioni conosciute e famigliari, con il vantaggio della propaganda anti europeista che conosciamo bene; ci sono famigliari gli attacchi a a Schultz, Barroso e van Rompuy, piuttosto che alla BCE o ai problemi legati al lavoro, all’ipocrisia del premio Nobel all’Unione Europea alla luce dei suoi interventi bellici sotto il cappello del peacekeeping, tutte cose che conosciamo almeno per sentito dire e che ormai sono, se non approfondite, quasi chiacchiere da bar.

Il gruppo pro ci prova duramente, invece, a dare un’immagine dell’Europa come un luogo di sviluppo, di culture e internazionalità, puntando sugli aspetti positivi dell’appartenenza alla comunità europea, alla mobilità, ma sono parole e concetti fumosi, che forse andrebbero maggiormente legati ad un’esperienza diretta, cosa che è chiaro che manchi, a tanti, forse a troppi.

Giusto ieri è uscita una ricerca sull’internazionalizzazione delle scuole italiane, e quello che ne è emerso è che l’Italia è come una vecchietta ricurva su se stessa, poco propensa a scoprire cosa c’è oltre quelle frontiere che poi non esistono nemmeno più.

Tonia Mastrobuono ed Emilio Dalmonte, che hanno il considerevole vantaggio dell’esperienza, fanno il punto con tre frasi, beati loro che sanno riassumere: dobbiamo stare insieme, come Unione Europea siamo solo il 7% della popolazione mondiale e siamo pure un po’ vecchi e nei prossimi venti anni si vocifera che non ci sarà nemmeno un paese europeo tra quelli del G8; la mobilità è importante, e la mobilità non è «il pullman che parte dalla Sicilia per andare in Germania alla ricerca di lavoro perché altrimenti non ce la si fa», – quello è non avere scelta-, ma competenze professionali, lingue straniere e apertura; infine una frase di Dalmonte: «l’Europa si guadagna, bisogna lottare per meritarsela, e lottare significa partecipare e votare ed informarsi».

Questa Europa alla sbarra fa sorridere, fa piacere vedere come gli studenti di liceo si prendano a cuore la difesa o la critica intelligente all’UE, ma è un piacere estemporaneo perché colpisce come siano lontani e poco concreti gli argomenti a favore e come siano invece solidi e radicati gli argomenti contro, come se mancasse completamente l’identità comune. Fa pensare, ecco.
Come se l’inglese fosse solo una materia scolastica e l’Europa una meta turistica.

 

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