(segue dalla prima)

Esperienza Giardini. Quando l’abitare è stanco.

Quando l’abitante è stanco di abitare anche l’abitare si stanca degli abitanti. E allora si scende nei giardini sottostanti. Non tutti però.

I giardini non sono considerati il luogo delle relazioni sociali o della tranquillità a priori, ma spesso come il risultato di sovrapposizioni e stratificazioni di provenienze e identità diversificate che lo demarcano con sottili linee di confine, materiali o simboliche. Nei giardini, che si popolano di tracce, segni e simboli interpretati diversamente a seconda di chi li osserva e da chi li produce e vive, le differenze diventano tangibili, in quanto visibili. Nello stesso spazio c’è quindi chi si sentirà a casa e chi si sentirà straniero, chi libero e chi solo, anche se in mezzo alla gente.

Così trovi gruppi di africani da una parte ed esteuropei dall’altra, qualche cinese che passeggia, qualche italiano che si prende il proprio spazio per il “filò”, nordafricani indaffarati nella gestione del negozio, donne elegantemente coperte dal loro hijab che attraversano furtivamente il giardino, un italiano che tutti i giorni abitudinariamente legge il quotidiano in uno dei pochi posti in cui sia possibile sedere, un muretto di cemento a ridosso delle rastrelliere. Si, perché è difficile sedersi ai giardini, soprattutto ora che le panchine sono calate a 6 – 7 non rimane altro che sedersi a terra o sui blocchi di cemento che delimitano l’area verde dal parcheggio delle auto.

Passeggiando per i sentieri ti imbatti in giochi e pupazzi sui muretti o tra biciclette e rastrelliere, segni della presenza costante e attiva dei bambini. E’ impossibile non notarli, corrono e saltano sui giochi allestiti al centro del parco, imparano ad andare in bicicletta, socializzano con l’aiuto di pallone o peluche.

Ciò che è sicuro è che qui chi non vi abita non si ferma. Eppure, malgrado lo stato dei giardini non sia particolarmente invitante in quanto privo di posti a sedere, si sta bene, si respira aria di serenità, voci allegre di bambini.

Nei giardini ci trovi anche due bar non molto attrezzati ma pare frequentati, una cabina telefonica e un frutteto appena inaugurato. E poi, nei pomeriggi e serate d’estate alcune attività rallegrano lo spazio, dal doposcuola per bambini all’animazione e agli spettacoli teatrali e musicali. Qui neanche 30 anni fa Vasco Rossi riempiva il parco in una tappa della sua tournee.

Foto di Francesca Mascellani

Esperienza Fotografia. Quando una grande profondità di campo non serve se non c’è anche un’adeguata profondità di sentimento (William Eugene Smith).

Passeggiare ai piedi dei grattacieli con una fotocamera al collo ti cambia la prospettiva delle cose, ti soffermi su ciò che colpisce di più la vista e che senza l’obiettivo fotografico forse difficilmente coglieresti. Ma si ha il timore di ferire, di banalizzare e quindi di diventare artefici del misfatto.

Ai nordafricani e ai cinesi per esempio non piace proprio essere fotografati. Ti osservano, ti scrutano, sospettosi per un obiettivo pronto a ritrarli. Qualcuno mi ferma anche incuriosito, mi chiede di mostrargli le foto che ho scattato, le commenta e commenta, pur non avendone conoscenza, anche le prestazioni della fotocamera approfondendo poi sul suo costo. “Troppo alto” mi dice.

Sogni nel cassetto di fotografi mancati.

 

Esperienza Progetti. Quando il laboratorio dovrebbe essere permanente.

“Sarebbe interessante un laboratorio permanente per la conoscenza e l’interscambio tra culture” mi dicono in più.

Sono tante le attività e i progetti che hanno abitato i Grattacieli, grazie anche al contributo di Comune,  cooperative sociali, volontari che si curano di questo luogo così carico di vita e di potenziale umano ma così socialmente isolato dal resto della città. Ma non sono integrate tra loro, non sono continuative.

I più temerari e coraggiosi, che già frequentano e si mettono in gioco anche nelle attività più impegnative, dicono che “ci vorrebbe più tempo”, che le persone hanno bisogno di essere educate alla socializzazione, alla creatività, che hanno bisogno di appoggiarsi ad esperienze già fatte da altri, e di verificare che la partecipazione può portare a qualcosa di buono.

E’ per questo che sarebbe utile un laboratorio permanente, un laboratorio che si desse il tempo necessario per non morire in partenza, come invece è successo per molti dei progetti avviati in questo ultimo decennio di attività.

Questo viaggio è un invito a vivere “l’Esperienza Grattacieli” e a non diffidare di ciò che ci circonda, anche se diverso e alle volte incomprensibile. “Ognuno di noi sa dove stanno tutti, nell’unico luogo che c’è, dentro la corrente della mutazione, dove ciò che ci è noto lo chiamiamo civiltà e quel che ancora non ha nome barbarie. A differenza di altri, penso che sia un luogo magnifico. Perché ciò che ci salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.” (A.Baricco, I barbari, 2006)

3 Commenti

  1. roby48 scrive:

    Per io che ci abito devo dire che hai colpito nel segno.Grazie

  2. Francesca scrive:

    Grazie Roby, mi fa molto piacere che condividi l’interpretazione che ho dato di questo pezzetto di città!

  3. Tommaso scrive:

    bellissimo articolo, credo che hai colpito nel segno anche per io che non ci abito e ammetto di ‘vedere’ il luogo in modo sospettoso e prevenuto: ‘[…]Ciò che è sicuro è che qui chi non vi abita non si ferma. Eppure, malgrado lo stato dei giardini non sia particolarmente invitante […]’.
    Ma credo si possa far di più e fare un progetto che sia di successo esempio per altre città o quartieri della nostra città che è cambiata (e sta mutando) molto velocemente!!!

Rispondi a Francesca Cancella il commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.