In un’epoca nella quale i termini “religione” e “sacro” provocano spesso sorrisi di scherno o smorfie di disappunto, un giorno leggendo un quotidiano locale si può scoprire qualcosa d’interessante a riguardo. Come la notizia di un’anziana signora la quale dichiara di avere, da molto tempo, visioni della Madonna.

Circa un mese fa decido di andare di persona nella sua casa, per conoscere da vicino questa forma di religiosità popolare sempre più inconsueta. L’abitazione della Signora Giuliana è difficile da scovare. Siamo fuori Ferrara, vicino a Poggio Renatico, ma si ha l’impressione di essere molto più distanti dai centri abitati. Venendo dalla città si deve percorrere poca strada in macchina, ma dopo circa dieci minuti si è già in piena campagna. La piccola stradina, diramazione della via principale, costringe subito a svoltare a sinistra. Alcune case si affacciano da entrambi i lati, e chi vi abita scruta infastidito gli avventori, nei loro sguardi non c’è né curiosità né ospitalità, ma insofferenza. C’è l’irritazione, legittima, di chi ormai da un mese vede passare piccoli cortei di automobili intenti a raggiungere quel casolare in fondo alla strada ghiaiata. Anche la loro vita è stata, in un certo senso, sconvolta. Qualcosa ha acceso i riflettori su di loro, li ha costretti a diventare personaggi – seppur secondari – di questa storia.

La strada è stretta e, dopo appena un centinaio di metri, inizia un cavalcavia. La salita è irta, la larghezza del tragitto sembra restringersi ancora di più. Altrettanto ripida è l’immediata discesa, ma una volta terminata si spalanca davanti un orizzonte fatto di campi che sembrano sterminati e, più avanti, sulla destra, si presenta una semplice villetta con alcuni magazzini. Deciso ma intimorito mi avvicino, parcheggiando un po’ distante dall’entrata. Attendo, c’e’ qualcuno in visita, e intanto giungono altre automobili. I passeggeri si voltano diffidenti, vogliono capire chi sono, che intenzioni ho. Mi avvicino, entro, mi presento. Mi aspetto di vedere una piccola folla e invece mi accolgono poche persone: il marito della Signora Giuliana, stupito ma gentile, alcune donne presenti, e altre che arrivano poco dopo di me. Si conoscono alla perfezione, quasi non sentono la necessità di salutarsi tra di loro. L’amicizia si fonde con l’attesa per questo rito che si ripete ormai da tempo, da un anno o forse più.

“Si può partecipare?”, domando. “Sì, sì, liberamente, però non si registra e non si fanno fotografie!”, mi dice una signora, con fermezza. Nel suo sguardo ritrovo quello dei vicini, occhiate piene di diffidenza mista a rassegnazione. Atteggiamenti, questi, che permarranno per tutta la serata, ma che saranno comunque bilanciati da una buona dose di fiducia verso il prossimo e da una mitezza naturale. Inizia il rosario, quasi interamente in latino. Siamo in una stanza abbastanza ampia. Sulla sinistra, a fianco della porta, vi sono due sedie, riservate agli unici due uomini presenti oltre a me, vale a dire il marito della signora Giuliana, e un amico di famiglia. Le donne vivono più istintivamente la religiosità, soprattutto in queste sue forme popolari. E’ una sfera nella quale sono loro le protagoniste, sono loro a “dominare” la scena, a dettare i ritmi e i modi. È lei, la signora Giuliana, ad avere un contatto – vero o presunto tale – con la Vergine. È lei ad aver creato questo evento, a esserne l’attrice principale.

Nella stanza sono state disposte diverse sedie, oltre a un paio di divani. Siamo una quindicina in tutto. Nella parete destra, subito dopo la porta d’entrata, un grande frigo espone un cartello con il divieto di registrare e di fotografare. Le sedie sono rivolte verso un tavolo rotondo, sopra il quale sono disposti diversi tipi d’immaginette e santini della Madonna e di Gesù, e un piccolo orologio. Nella parete di fronte all’entrata vi sono appesi un grande crocefisso di legno e un rosario, mentre nell’angolo a destra è stata affissa un’immagine di Papa Francesco. Sotto il crocefisso è stato disposto l’altarino con una statua della Madonna, due lunghe candele e altrettante più corte. Fiori e piante sono appoggiati sopra il tavolo, e ai piedi dello stesso.

È la signora Giuliana a tenere il rosario, a guidarlo. Alcune fedelissime la circondano, la aiutano, ma è lei il tramite, il fulcro visibile della scena. I momenti di silenzio sono quelli più pieni, più tesi, in quanto permettono un incontro spirituale tra i presenti, una muta relazione. Tutto ciò sembra scandaloso, in un’epoca nella quale il tempo si satura di suoni, parole e rumori. Il silenzio e la preghiera sono, qui, essi stessi momenti, manifestazioni del sacro. È un silenzio di meditazione e di raccoglimento, e le stesse parole per una volta non sono finalizzate a qualcosa di pratico, a un giudizio o a un discorso, non sono rivolte a qualcun altro, ma a qualcosa di indefinito – o di “indefinibile”, per chi ha fede.

Dopo circa un’ora dall’inizio del rosario, iniziano le visioni. La signora Giuliana le accoglie e le trasmette ai partecipanti con voce dolce, quasi rassegnata. Parla di angeli che entrano nella stanza. Sono lì per introdurre la Vergine, le cui parole sono riportate con precisione. La Madonna chiede che sia costruito un altarino in suo onore, per un giorno preciso. Quando la signora Giuliana termina di parlare, per alcuni secondi rimaniamo sospesi nel silenzio, un silenzio carico di tensione. A romperlo è uno sfogo sommesso di stupore e di gioia. Ma anche di pura condivisione, di meraviglia e di abbandono.

Quel giorno annunciato torno in visita alla casa. L’altarino è stato costruito da mani maschili, abituate a edificare, a versare sudore in quelle terre mai abbandonate, in quei magazzini pieni di macchine e di fatica. Come si fa per un’abitazione, loro l’hanno costruita e le donne l’hanno “arredata”, disponendovi statue, fiori e candele, le cui fiamme bruciano invisibili in un’aria già infuocata dal sole. Le persone accorse, una cinquantina circa, sono sedute in piccoli semicerchi di fianco alla struttura. Contemplanti e riservate, si sono disposte sotto un grande albero, appena dietro la casa, ognuna intenta a far scorrere il proprio rosario tra le dita.

La signora Giuliana guida, come sempre, il rosario, senza mai scomporsi, sul viso ha un sorriso dolce, mite e tenace, come fosse una bambina. Il rito si ripete, senza fatica e senza noia, per ore e ore. Fermi e calmi, nell’attesa e nella speranza. Lontano s’intravedono le lamiere delle automobili sfrecciare veloci. Sembrano ancora più feroci e folli, viste da qui. È un altro mondo, davvero un’altra storia, quella. Qui c’è posto soltanto per lente nenie che si ripetono uguali, intervallate da alcuni canti. Tutto ciò esprime una gradevole abitudine alla preghiera, una fede sussurrata, tenuta al riparo da occhi indiscreti, da inutili frastuoni. Per le persone presenti la tranquillità di momenti come questi non è sinonimo di noia, ma una forma d’innocua semplicità, di una non banale capacità di stupirsi ancora. È un riparo sicuramente più accogliente rispetto a quelle macchine che scompaiono laggiù lungo l’asfalto, nell’orizzonte umido della campagna.

1 Commento

  1. Este Edition scrive:

    Segnaliamo amichevolmente che il vostro titolo (Madonna di Poggio) può creare equivoci.
    C’è infatti in provincia di Ferrara (località Sant’Egidio) il celeberrimo Santuario della Madonna del Poggetto (1.000 anni di storia e affollato di pellegrini), al quale peraltro è dedicato il nostro libro “Il Santuario del Poggetto” (http://www.este-edition.com/prodotti.php?idProd=797). Forse bastava titolare “Madonna di Poggio Renatico”). Comunque non fa nulla, scusate la pignoleria.

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