Spesso sui tavolini dei bar ingombri di tazze, bicchieri e cicche spente si consumano anche le storie.

Lo stesso è accaduto anche quel 20 maggio 2012, il giorno dopo il terremoto, i tavoli più affollati del solito, le tazzine di caffè disposte tutto intorno al piano e sigarette adagiate sui posacenere traboccanti, le gambe delle sedie intrecciate per ospitare più persone, riunite per scacciare i postumi della notte insonne e dello choc delle scosse.

E’ proprio a un tavolino di un bar che incontriamo Licia Vignotto e Giuseppe Malaspina, autori del libro “C’è un tremore: frammenti di quotidianità al tempo del terremoto”, un’antologia di 30 racconti -storie, appunto- raccolte nei mesi successivi al terremoto di cui oggi cade il primo anniversario.

Ripercorriamo con loro la nascita di questo progetto, scritto a quattro mani:

“L’idea nasce da una chiacchierata in Piazza Trento- Trieste una sera di luglio”. Nonostante il terremoto fosse passato da un paio di mesi, tutti -si legge nella prefazione- «continuavano a parlarne con ostinata caparbietà». E in quel desiderio insopprimibile e prolungato di raccontare, di creare connessioni tra persone ed esperienze diverse che si avverte in quei giorni, Licia e Giuseppe sentono che c’è «un qualcosa di diffuso ed elettrico tra le persone, la necessità di trasformare lo choc del sisma in narrazione comune» che merita di essere raccontato. “Il sisma è stato coperto benissimo nei primi tempi dal punto di vista della cronaca”, proseguono, “ma si sentiva la necessità di dare testimonianza delle esperienze intime, quotidiane, che ci sono dietro al grande dramma”.

All’inizio «abbiamo cominciato -scrivono gli autori- a prestare più attenzione alle storie che sentivamo attorno a noi […] Alcune ci colpivano in modo particolare: pur riguardando avvenimenti di poco conto sembravano contenere dei piccoli cortocircuiti di senso, capaci di illuminare un’intera società posta allo specchio davanti a se stessa. Il terremoto […] per tanti versi ha costretto tutti proprio a questo: a guardarsi in faccia con sincerità. Davanti a tutte le persone coinvolte ha posto una domanda: chi sei tu nelle difficoltà? […] Passata la fase dell’emergenza ciascuno ha potuto far ritorno alla propria solita e consolidata identità […] ma quell’attimo di verità non si dimentica, forse nemmeno si comprende pienamente: ecco dunque che se ne parla. Per non perdere quell’attimo abbiamo intrapreso questo progetto.”

Proprio questo l’intento degli autori: conservare la memoria, svelare una società messa improvvisamente, una notte di maggio, allo specchio, costretta a dismettere per un po’ il vestito della routine consolidata e a fare i conti con l’emergenza. Uno “svelare” raccontato “in punta di piedi”, dirà l’editore, che parte dall’intimità del singolo e si fa narrazione collettiva. Gli autori hanno selezionato 30 storie, raccolte in questa antologia dove le testimonianze formano un coro a più voci, tutte ugualmente importanti, tasselli dello stesso mosaico sociale.

Ma quali storie narrare? Quali criteri usare per selezionarle? Licia e Giuseppe rispondono che il filo conduttore delle testimonianze scelte è la ricerca dei “frammenti di quotidianità” che emergono dalle singole vicende. Quasi tutte le storie sono concentrate sulla notte tra il 19 e il 20 maggio, e comunque tutte hanno un aggancio a quella notte in cui, per qualcuno, tutto è cambiato. Si è cercato di rendere il fenomeno nel tempo, raccontando anche quello che è successo molto tempo dopo le scosse, attraverso le narrazioni degli incubi ricorrenti di una ragazza, o del “Mago di Oz”, che non si è potuto mettere in scena in una scuola di Poggio Renatico per la brusca interruzione, per motivi di sicurezza delle strutture, dell’anno scolastico. O ancora, attraverso i racconti dei volontari, che hanno prestato un po’ del loro tempo per sostenere le popolazioni dei paesi più colpiti dal sisma.

Spesso le storie si presentavano come se avessero già una loro struttura narrativa. Si è deciso di ascoltare quelle che trasmettevano qualcosa, rispettando il criterio che ci eravamo imposti della varietà delle narrazioni e dei punti di vista”: ci sono le storie di un infermiere, una nonna, un bambino, un prete, un carcerato, un portiere di notte e un piadinaro,… I racconti sono stati poi romanzati, mantenendone inalterato il nodo narrativo.

Alcune storie sono arrivate subito, tanta era la voglia di condividere, per lo più da chiacchierate con gli amici, come «C’è un tremore», che dà il titolo alla raccolta” e richiama l’espressione involontariamente poetica con cui una ragazza americana, non conoscendo la parola “terremoto”, si rivolge al fidanzato per svegliarlo. Per altri racconti la ricerca è stata più difficile: l’ultima testimonianza è stata raccolta a dicembre”.

Un altro criterio di selezione è stata la territorialità delle storie”, continuano gli autori, “volevamo raccontare una realtà che conoscevamo, quella del territorio ferrarese e della sua provincia”. Un solo racconto evade dall’ambito ferrarese, per spostarsi a Cavezzo (MO), uno dei paesi più colpiti dal sisma, dove le scosse non hanno distrutto solo qualche caro ricordo di porcellana, portandosi via un pezzo della memoria che affidiamo agli oggetti, ma case, edifici pubblici, luoghi di culto, di lavoro e di ritrovo. E’ tratto dal blog di Mirko Benelli, volontario insieme al gruppo Team Ribelle a sostegno delle popolazioni del modenese, ed è stato scelto per la sua particolare testimonianza come racconto finale, per “allargare la sfera dell’orizzonte che ci eravamo posti, ricordare quegli eventi per la loro effettiva portata; ci muoviamo nel ferrarese ma siamo consapevoli di quanto altrove il terremoto sia stato verosimilmente più distruttivo”.

Foto di Giulia Paratelli

Nel libro ogni racconto è corredato da una fotografia…

Sì, a gennaio, d’accordo con il libraio Raoul Melotto, che ci ha sostenuto fin dall’inizio, e con l’editore Marco Cevolani, “si è deciso di aprire la pagina facebook “Progettotremore” (www.facebook.com/progettotremore), dove raccogliere gli scatti di chi volesse condividere con un’immagine un frammento di intimità, da abbinare ai singoli racconti”. Contrariamente alle altre pubblicazioni sul terremoto, dove c’è stata una “corsa alla fotografia” professionale e d’impatto, qui prevale il racconto, e l’immagine offre ad ognuno di questi un corredo emozionale fatto di suggestioni, fili invisibili, evocazione visiva di ciò che viene narrato. Ecco allora fotografie di borsoni sistemati sulla soglia di casa, pronti per ogni evenienza, statue decapitate dalla caduta accidentale, poster in equilibrio sulle crepe dei muri, o sedie rimaste in piedi tra i calcinacci. Immagini di ciò che è stato, in quei giorni, il “quotidiano” per molti di noi. E’ così che il libro diventa un progetto multimediale, e la pagina facebook raccoglie, oltre alle fotografie, contributi e racconti spontanei che provengono da tutta l’Emilia e oltre, una piattaforma dove conoscersi, condividere e raccontare, ancora una volta, perché la ricostruzione passa anche -e forse prima- dalla parola, dalla necessità di attribuire un significato a ciò che è accaduto, per poi ripartire.

Chiediamo ancora agli autori: raccolto il materiale, come siete arrivati alla realizzazione finale del libro? Quali tappe avete affrontato? “Importantissimi sono stati i consigli di Gianluca Morozzi, che ha ascoltato la nostra idea e si è offerto di scrivere la prefazione alla raccolta, e ci ha messi in contatto con Raoul Melotto, proprietario della libreria “Il posto delle fragole”, in Borgo del Ghetto 8, a Cento”. Lì ha cominciato a prendere forma la struttura del libro con l’editore Marco Cevolani , che ha creduto da subito nel progetto”. Entrambi ci hanno poi sostenuti nell’editing dei racconti.

I racconti contenuti in questo libro hanno un taglio insolito e ricco di spunti profondi e al contempo godibili sulla quotidianità del post-terremoto. Agli autori e all’editore, è sembrato naturale destinare i proventi delle vendite di questo progetto per il ripristino della biblioteca di Cento, gravemente danneggiata dal sisma e tuttora inagibile, perché questo libro, frutto di un lavoro all’insegna della conservazione della memoria «di chi siamo e siamo stati», sia strumento prezioso, non solo per il lettore, ma anche a favore di un luogo deputato allo stesso scopo.

Edito dalla casa editrice “Freccia d’oro” di Cento, “C’è un tremore: frammenti di quotidianità al tempo del terremoto”, è in vendita dal 30 aprile. Le prossime presentazioni saranno a Ferrara, il 26 maggio, presso Wunderkammer, Via Darsena 57, e a Cento il 27 maggio.

 

Il primo racconto estratto dal libro C’è un tremore si può leggere online sulle pagine di Listone Mag, per gentile concessione degli autori e dell’editore: Melanzane e zucchine.

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