Che Ferrara sia “la città delle biciclette” lo sanno tutti. Lo sa chi arriva in automobile, e dal traffico degli ingressi principali può leggere la dicitura sul cartello marrone che saluta i visitatori. Lo sa chi scende dal treno e, appena fuori dalla stazione, spalanca gli occhi di fronte alla selva ingarbugliata dei cicli depositati nel parcheggio. Gli abitanti non ci fanno più caso: cosa ci sarebbe da guardare in quell’ammasso di ferraglia scomposta, biciclette incastrate a centinaia, rottami vari ed eventuali? Spostarsi sulle due ruote è talmente scontato, talmente abitudinario. Semaforo verde per i pedoni? Si passa in bici. Semaforo verde per le macchine? Si passa in bici. Si potrebbe pensare che i ferraresi intendano “città delle biciclette” in senso proprietario: la prospettiva del pedale domina sulle altre, le strade appartengono ai ciclisti.

La maggior parte di loro però non ha che vaghissime cognizioni rispetto al mezzo che sta utilizzando, non sa da dove provenga e come funzioni, non conosce i meccanismi che regolano i freni, meno che mai ha idea di chi possa averli inventati. Una lacuna sopportabile? C’è chi dice no. E aggiunge: “ci vorrebbe un museo permanente”.

A parlare è il collezionista Flavio Mari, 83 anni che non si vedono e non si sentono, tanta è la passione che scintilla dai suoi occhi e che lo spinge a raccontare, a condividere, a stimolare negli altri la stessa curiosità che lo ha motivato nel suo percorso a ritroso nella storia. “Ho cominciato 32 anni fa, quando per la prima volta mi è capitato di sistemare una bicicletta che mi avevano rubato ma che ero riuscito a ritrovare. Piano piano il mio interesse per questi veicoli è cresciuto, e si è indirizzato negli anni verso quelli che possono essere considerati dei veri e propri dinosauri: i mezzi prodotti nell’Ottocento”. Buona parte degli affascinanti reperti esposti in occasione del Bc-day appena trascorso appartengono al suo repertorio: dal velocipede Gallizio del 1870 – costruito da un artigiano fiorentino, su modello francese – alla Bianchi da pista del 1899, senza freni, lo stesso modello con cui il corridore bresciano Tommaselli vinse il Grand Prix di Parigi. “Il Bc-day è una bella occasione per far conoscere alle persone queste produzioni così particolari” commenta con soddisfazione Mari, riferendosi all’iniziativa interamente dedicata alla bicicletta, organizzata tra sabato 27 e domenica 28 aprile, dal comitato Commercianti del centro storico, “tuttavia mi piacerebbe che fosse solo un punto di partenza verso un traguardo più grande”.  Il contributo che ha portato all’iniziativa è stato importante: i pezzi migliori della sua collezione sono stati dislocati all’interno delle vetrine, affacciate sulle vie dello shopping, a creare un inusuale mostra itinerante. Ad arricchire ulteriormente la qualità del percorso espositivo, i veicoli appartenenti ad altri due entusiasti cultori ferraresi: Massimo Milani e Marcello Fogagnolo.

Foto di Giacomo Brini e Lucia Ligniti

I tre collezionisti hanno età, esperienze e professionalità diverse: se Mari ha cominciato a dedicarsi alle biciclette nel 1981, Milani ha iniziato nel 1988, Fogagnolo nel 2000. Appartengono a generazioni differenti ma in loro si intravede lo stesso lampo, la stessa attenzione che ai profani può apparire maniacale. “Gli oggetti di cui ci occupiamo sono dotati di una meccanica bellissima. Guardare come sono fatti, capire le logiche secondo le quali sono stati progettati è un’avventura” spiega Milani, confidando come spesso nel tempo libero vada a trovare i vecchi meccanici ancora attivi in città, per capire certe tecnologie e cercare spunti per conservare al meglio i propri pezzi. “Attraverso la tecnologia è possibile comprendere le varie epoche” aggiunge Fogagnolo, ricordando una delle possibili letture relative alla nascita della bicicletta: “il primo prototipo è stato inventato in Germania nel 1817 dal barone Karl von Drais. Non aveva i pedali, funzionava come una specie di monopattino. Venne realizzato a seguito della grave carestia del 1815: i raccolti dei campi erano troppo miseri per alimentare i cavalli, quindi venne meno uno dei mezzi di trasporto più comuni. La “macchina da corsa”, Laufmachine in tedesco, venne progettata dal barone affinché potesse funzionare da sostituto”. Incalza Milani, raccontando aneddoti e singolarità: “per il Bc-day abbiamo messo a disposizione anche una Pedersen originale, progettata dall’omonimo ingegnere danese nel 1893. Egli si trasferì in Gran Bretagna per lavoro e si ispirò ai ponti inglesi per creare un veicolo strutturato con tubi incrociati, incredibilmente leggero e resistente”.

Ciò che stupisce dei racconti di Mari, Milani e Fogagnolo è lo strano mix di sentimenti fatti convogliare nel collezionismo, cui partecipano l’amore per l’ingegno umano, l’euforia ludica suscitata dall’ingranaggio, la dedizione nei confronti della storia. La collezione in questo caso non è accumulo incondizionato, né tanto meno si può ridurre a un gioco; la collezione è ricerca documentaria, è analisi, è preservazione della memoria collettiva. La collezione è fondamentalmente un museo in potenza, un museo nelle intenzioni.

“L’obiettivo comune – illustra Milani – è quello di organizzare a Ferrara un raduno nazionale di bici d’epoca, che comprenda una sfilata attraverso la città. Assieme a Flavio stiamo già studiando il percorso. Il punto d’arrivo di questa manifestazione ci piacerebbe essere l’allestimento di un museo permanente. Vorremmo discutere assieme al Comune quale potrebbe essere la possibile locazione”.

La determinazione c’è, il nucleo materiale attorno al quale sviluppare le raccolte pure, tanto che nel settembre 2012 dalle collezioni ferraresi è già stata realizzata una mostra a Bolzano, intitolata “Dal velocipede alla bicicletta moderna”.

“Soprattutto la storia della bicicletta italiana è importante non vada persa. I francesi in merito hanno sempre avuto un ottica diversa – conclude Mari -, una cultura conservativa più marcata. D’altra parte a livello di produzioni e innovazioni sino alla fine dell’Ottocento il mercato è stato loro e degli inglesi. Bisogna aspettare i primi del Novecento per riconoscere un apporto italiano rilevante. Nel nostro Paese per tanti decenni i velocipedi e i veicoli più antichi sono stati considerati ferro vecchio, venduti per due lire o buttati via. Ultimamente l’interesse si sta risvegliando. Ferrara già si fregia del titolo “città delle biciclette”, perché non diventare un vero e proprio punto di riferimento a livello nazionale?”

2 Commenti

  1. Giovanni scrive:

    A tutti gli amanti delle biciclette vecchio stile consiglio di dare un occhio a questo sito:
    http://www.drcicli.it
    Trattasi di biciclette in stile Vintage con freno a contropedale a mio personale giudizio molto
    carine e decisamente economiche.

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