Annoiata dal dovermi fare compagnia mentre scrivevo un pezzo su Spal-Massese (2-4), Federica prese a leggere con una certa indifferenza il giornalino distribuito allo stadio che nel frattempo avevo appoggiato su uno scaffale della mia camera. Arrivata al box di pagina quattro riservato alla classifica mi chiese, con la tipica curiosità femminile di chi si tiene alla larga dal calcio: “Davvero esiste una squadra che si chiama Tuttocuoio?”. Smisi di rivolgere la mia attenzione allo schermo del pc e mi girai per spiegarle, con un sospiro. Sì, esiste una squadra con quel nome, viene da una frazione di San Miniato in provincia di Pisa ed è pure forte. Rinunciai ad aggiungere che ci gioca (e bene) Corrado Colombo, ex giovane promessa che passò anche nell’Inter nello stesso anno di Vampeta.

Negli ultimi mesi mi è capitato di notare come il nome degli attuali avversari della Spal sia uno dei dettagli che più impressiona chi segue le vicende biancazzurre con il minimo indispensabile di attenzione. Talvolta mi piacerebbe fare un giro in piazza Trento e Trieste con una mappa dell’Italia e chiedere a un numero imprecisato di ferraresi di collocare correttamente luoghi come Forcoli, Rosignano o appunto, San Miniato. Rispettabilissime realtà di calcio minore, una categoria in cui purtroppo sembra essere finita anche la Spal. I biancazzurri sono ripartiti l’estate scorsa dalla serie D, il quinto livello del calcio nazionale, dopo la mancata iscrizione alla Prima Divisione, la vecchia serie C1. Una storiaccia che ha riempito le cronache cittadine da metà maggio a fine luglio. Un dramma, per molti. L’ultima tappa di una via Crucis durata vent’anni. Per la precisione dal 1993, anno di partecipazione all’ultimo campionato di serie B (chiuso con un’amara retrocessione dopo una sola stagione di permanenza).

Nei tempi della crisi economica globale si può dire sia normale che queste cose possano accadere. È successo in tante altre piazze simili a Ferrara come Venezia, Mantova, Lucca, Pistoia e svariate altre. Tutte città che hanno visto la serie A (chi prima e chi dopo) e che ora devono fare i conti con una difficoltosa risalita a ranghi più consoni alla loro storia. Già, la storia. Il forziere di ricordi dorati che la Spal porta con sé è al tempo stesso una risorsa e un peso spesso troppo difficile da caricarsi sulle spalle per chi decide di aprirlo. Inutile star qui a riepilogare nel dettaglio di cosa si sta parlando: tre lustri di serie A con una sola stagione di purgatorio dall’inizio degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta e un’intera generazione di straordinari giocatori passata nei corridoi oggi cadenti dello stadio Paolo Mazza. Era il 12 maggio 1968 quando i biancazzurri salutarono la Serie A senza mai farvi più ritorno. A Ferrara vinse la Juventus per 1-0 con gol di Zigoni. All’epoca la parola “paltò” veniva usata con disinvoltura, Martin Luther King era stato assassinato di recente e Robert Kennedy sembrava lanciatissimo verso la Casa Bianca. Le truppe sovietiche dovevano ancora entrare a Praga e la Guerra del Vietnam era ancora in pieno svolgimento. Non credo che anche una minima parte del pubblico di allora potesse lontanamente pensare al lento e costante declino che sarebbe seguito.

Ad agosto una Spal costruita in fretta e furia, “più con le idee che con i soldi” come ama ripetere il suo allenatore David Sassarini, si è presentata ai nastri di partenza del campionato di serie D per la prima volta nella sua storia. Peraltro dietro casa: il calendario ha infatti riservato ai biancazzurri la poco impegnativa (logisticamente parlando) trasferta di Budrio contro il Mezzolara, quarantacinque chilometri da Ferrara. Sul campo la Spal se la cavò con uno 0-0 sofferto, sugli spalti circa settecento tifosi sentirono nelle narici l’odore quasi dimenticato dei fumogeni. E forse il segretario del Mezzolara stappò una bottiglia buona la sera stessa per celebrare l’incasso record. Sembrava il prologo di una stagione di trasferte di massa, così poi non è stato, salvo lodevoli eccezioni. Troppo angusti gli spazi di periferia, troppa sofferenza per una categoria in cui ci si sente prigionieri. Più di una volta mi è capitato di parlare con tifosi di lungo corso che “non vanno più alla Spal”, perché “se non sono in grado di vincere una serie D allora cosa stanno lì a fare”. E non è che gli si può banalmente spiegare che il mondo – anche quello del calcio – è cambiato e che non basta avere un nome importante per guadagnarsi di nuovo un posto tra i professionisti. Oggi, dato oggettivo, l’unica squadra della provincia di Ferrara a tenere gli ex domini estensi sulla carta geografica del pallone che (un minimo) conta è la Giacomense, che peraltro può fregiarsi del curioso titolo di essere la rappresentante del più piccolo paese presente nelle categorie professionistiche. Un “sorpasso” che addirittura ha spinto importanti figure istituzionali ad auspicare una fusione tra grigiorossi e biancazzurri in un’ottica di razionalizzazioni dei costi. Un’eventualità vissuta alla stregua di un’umiliazione per buona parte della tifoseria spallina.

Perché il problema, al di là degli encomiabili sforzi della squadra e dello staff tecnico, sta sempre a monte: per riportare la Spal a brillare come un tempo servono soldi, tanti soldi. E adesso non ci sono. O meglio: chi li ha non intende certo metterli nel calderone a fondo perduto del calcio. Questo a prescindere dal fatto che l’attuale campionato possa concludersi o meno con una promozione. Non troppo tempo fa incontrai un noto professionista ferrarese, anche lui tifoso della Spal e anche lui bene inserito nel giro dei ben informati. Dopo aver riassunto tutti gli scenari futuri se ne uscì con una conclusione non troppo rassicurante: “Vedi, la verità è che la Spal la possiamo prendere io o te, o qualunque altro tifoso, se vince al Super Enalotto. Ma per il resto non vedo sceicchi all’orizzonte”. Non ci crederete, ma anche la storia degli sceicchi e dei nuovi ricchi che comprano squadre di calcio è stata in qualche modo dibattuta dall’opinione pubblica che si interessa alle sorti della sua Spal. D’altronde se un milionario russo ha comprato il Venezia riportandolo nei professionisti, perché qualcosa di simile non dovrebbe accadere a Ferrara? Non tutti però sarebbero entusiasti, ne ho avuto prova poco meno di un anno fa, mentre assistevo a un allenamento dei biancazzurri al Centro d’Addestramento di via Copparo, sulla malconcia tribunetta che ogni giorno ospita i cosiddetti “senatori”, un gruppo di anziani che non perde una singola seduta pomeridiana, pioggia e neve permettendo. Uno di loro, stanco di disquisire di questioni tattiche, butto lì un’ipotesi: “Ma perché non viene uno di quegli sceicchi arabi a comprare la Spal?”. La risposta più brillante del lotto fu questa, rigorosamente in dialetto: “No no, lascia stare, che poi non decida di comprare il Castello e di farci una moschea dentro”.

1 Commento

  1. Luigi scrive:

    LE VERITA’. La verità che per un campionato occorre disporre disponibilità programmabili,programmate,DISPONIBILI. Così sappiamo in quale classifica economica viene collocata la squadra in quel girone di campionato. La verità che occorre uno staff tecnico preparato,competente. All’estero negli sport evoluti, ora anche in molte società di calcio, lo staff tecnico viene selezionato tramite concorso. In Italia le “competenze” dei dirigenti di una società di calcio sono in grado di stilare un concorso? Entrando nello specifico della Materia Calcio per capire le vere competenze di chi è di fronte? Luigi

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