Chissà se esistono ancora zingari felici. Forse, in uno spazio dove i conflitti sono necessari per crescere. Niente a che vedere con la violenza, solo un modo per spostare più avanti quel confine interiore con se stessi. Un passo alla volta. Quello spazio, il regista greco Michalis Traitsis lo studia da una vita. E prova a insegnarlo a tutti coloro che si avventurano nei suoi laboratori teatrali. Siano essi studenti, lavoratori o detenuti. Da otto anni a Ferrara è il direttore artistico oltre che il fondatore dell’associazione ‘Balamòs teatro’. La sua idea di fondo è di aggregare un insieme di persone intorno a un progetto. «Poi, una volta venuta fuori l’identità del gruppo, si decide cosa fare», ammette lo stesso Michalis, che sorride nel ricordare gli esordi. Il progetto nel tempo si articolerà su più piani, raccogliendo inizialmente una quarantina di allievi nei locali del Centro teatro universitario. Ci penserà l’arrivo della primavera a ridurre il numero dei partecipanti e a consentire l’allestimento di una rappresentazione sul palcoscenico. ‘Lisistrata’ è il titolo del primo spettacolo di fronte a un pubblico. Ne seguiranno degli altri negli anni successivi. Un lavoro collettivo, forgiato sull’incontro fra la presenza stabile degli allievi più ‘anziani’ e la curiosità di quelli più giovani. Dalla disciplina degli esercizi di respirazione alla creatività della ricerca espressiva è un viaggio che procede tappa per tappa.

D’altronde lo stesso nome dell’associazione richiama l’esperienza del viaggio. «‘Balamòs’ è il titolo di un film di Stavros Tornes e indica un termine in uso nella comunità degli zingari in Grecia. Il suo significato suona più o meno come ‘colui che raggiunge l’estasi in movimento’. Un viaggio onirico di un nomade che a ogni scoperta non smette di meravigliarsi». Michalis assiste alla proiezione della pellicola negli anni ottanta, ne rimane colpito e, al momento della scelta della tesi di laurea decide proprio di documentarsi su quel regista, suo connazionale, che nel periodo della dittatura dei colonnelli trova riparo in Italia. E in giro per l’Italia anche Michalis, partito dalla sua Salonicco, costruisce il proprio percorso artistico. Da Urbino, città dove consegue un diploma alla Scuola superiore di giornalismo e una laurea in Sociologia, a Pesaro e Ancona, dove insieme al collega Vito Minoia, del ‘Teatro Aenigma’, parteciperà come attore e pedagogo ad altrettanti laboratori nelle case circondariali. Un’esperienza, quella con il mondo dei reclusi, destinata a proseguire più avanti.

Foto di Giacomo Brini

Il 2006 è infatti la data nella quale ‘Balamòs teatro’ approda con il progetto ‘Passi sospesi’ nelle carceri di Venezia. Dapprima nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore, oltre alla Sezione attenuata tossicodipendenti che da lì a poco verrà chiusa, e quattro anni più tardi nella casa di reclusione femminile di Giudecca. Un’opportunità per riflettere sulla condizione di vita carceraria e sul modo più opportuno di condurvi un laboratorio teatrale. «Io sono contrario al regime del carcere per i tossicodipendenti, che necessitano invece di un apposito istituto» ribadisce il regista greco, attento a sottolineare alcune importanti differenze generazionali fra chi è privato della propria libertà. «Quando lavori con chi ha un problema di droghe devi individuare un punto di contatto sul quale costruire una relazione. Quello che ho notato è che la situazione cambia notevolmente in funzione dell’età. In Giudecca, per esempio, lavoravamo all’adattamento de ‘Le Troiane’ e, all’interno del gruppo femminile, c’erano una quarantenne e una ventenne, entrambe tossicodipendenti. La prima, dotata di un particolare background culturale, era arrivata alla droga come forma estrema di protesta anarchica. L’altra, che invece non aveva alle spalle un percorso di studi, ci era finita in quanto vittima della ‘cultura dello sballo’. Interagire con due caratteri così lontani fra loro, non è stato semplice. Eppure siamo riusciti a costruire un lavoro di spessore». Il risultato dello spettacolo ispirato alla tragedia di Euripide ottiene infatti anche il merito di ‘evadere’ dalle mura, con una replica al teatro Maddalene di Padova e la possibilità concessa a sette detenute di esibirsi davanti a una platea. L’azione si svolge sul suolo di una città distrutta. Gli stessi spettatori sono invitati a percorrere a piedi un itinerario ricavato dallo spazio fra i corpi a terra delle protagoniste. Mentre la città di Troia brucia, una nave presagisce il loro destino di sconfitte in preda al pianto. Il canto funebre, tuttavia, nasconde un intessante retroscena. «Due ragazze, una italiana e l’altra di origine marocchina, dalle indubbie qualità canore, non sono potute uscire dal carcere. Io – racconta Michalis – allora ho illuminato due vesti appese, nel momento in cui partiva la registrazione delle loro voci, alle prese con le parole in lingua grecanica di una ninna nanna e di una canzone del viaggio. Nessuno del pubblico si è reso conto che si trattava di una riproduzione».

Gli aneddoti legati al mondo del carcere potrebbero continuare. Testimoniando l’importanza di un’attività finalizzata a superare la condizione di immobilismo a cui sono costretti numerosi detenuti. E la prolungata esperienza targata ‘Passi sospesi’, all’interno degli istituti penitenziari nella città lagunare, è diventata oggetto di un documentario di Marco Valentini, proiettato fuori concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, a partire dal 2009. Proprio in quella cornice, in un paio d’occasioni, il regista di ‘Soul kitchen’ Fatih Akin e la regista di ‘Salaam Bombay!’ Mira Nair sono stati invitati a condurre incontri di laboratorio con i detenuti e le detenute delle carceri veneziane. Una situazione, quella dell’attività teatrale nei luoghi di reclusione, comune a tante realtà in Italia. A questo proposito, l’associazione ‘Balamòs’ è cofondatrice del Coordinamento nazionale teatro e carcere, nato nel 2011, per offrire momenti di confronto alle svariate compagnie in Italia che operano nell’universo composito delle strutture carcerarie. Fra gli ultimi interlocutori, anche l’Istituto nazionale di studi penitenziari, con il quale è in previsione la firma di un protocollo per riconoscere e tutelare l’attività di teatro in carcere.

L’immaginazione, comunque, non è una risorsa esclusiva di chi vive una condizione coatta. Ma è anche uno strumento prezioso nei pensieri e nelle mani di giovanissimi alunni. Quelli delle scuole medie di Ferrara e delle medie ed elementari di Poggio Renatico, per esempio, che conoscono ‘Balamòs teatro’ grazie ai suoi laboratori. E che dedicano parte del proprio tempo a lavorare su quel terreno misterioso sospeso fra il gioco e lo studio. In un viaggio continuo, magari alla ricerca di quell’indole un po’ ‘zingara’ che soffia leggera sul peso dell’età.

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