– “Il bando propone di fare l’ampliamento del Palazzo dei Diamanti, che dici partecipiamo?”
– “Ampliamento di cosa? Palazzo dei Diamanti? Mi sa che non ho capito bene la domanda…”

Quest’avventura è iniziata più o meno con un dialogo simile per Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori, soci fondatori dello studio Labics, già vincitore di numerosi premi tra i quali l’ABB LEAF Award e il premio speciale per l’architettura sostenibile dell’European Architecture Awards nel 2017, e ora – insieme a 3TI – i selezionati tra i settanta studi partecipanti per progettare l’allargamento degli spazi espositivi di Palazzo dei Diamanti.

In effetti, un progetto del genere è uno di quelli ardui: unire l’architettura antica con quella contemporanea, far dialogare materiali e mondi diversi, riuniti in un unico scopo d’utilizzo. “Il tempo speso per pensare al progetto rispetto agli spazi dati dal bando è stato straordinariamente folle – spiegano Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori – abbiamo speso tantissimo tempo per capire come confrontarci con un edificio come questo. Lavorare su Palazzo dei Diamanti è per noi una grande fatica e al contempo una grande emozione”. Da ferraresi, forse non pensiamo che progettare “qualcosa” (qualsiasi cosa) vicino a Palazzo dei Diamanti – soprattutto per un architetto – possa essere difficilissimo. Parte subito una sorta di timore reverenziale. Uno magari si dimentica che proprio all’altezza di quei ciottoli che portano fino al Quadrivio è sorta la prima città moderna d’Europa. Uno, nella vita, si scorda di Biagio Rossetti. Un architetto, no.

Anche per gli architetti di Labics, che di progetti importanti ormai sono avvezzi (il MAST di Bologna, il Progetto Flaminio, Helsinki Central Library e Helsinki Guggenheim Museum, la ridefinizione dei Mercati di Traiano, la Città del Sole, progetto di riqualificazione del tessuto urbano a Roma…), l’architettura è “una riscrittura costante nel tempo, non è mai un gesto separato”. Da questo principio partono anche i due super progetti di ampliamento e riqualificazione di Palazzo dei Diamanti e Palazzo Massari, per un polo museale dell’arte moderna e contemporanea nuovo, funzionale e maggiormente accogliente.

Tutto ruota attorno a un concetto importante, quasi zen: dove gli altri vedono un muro, meglio vederci un’opportunità. Il tutto sta nel capire qual è la distanza perfetta, dal muro (come da tutte le cose da affrontare in maniera zen, in fondo). “In relazione con il muro esistente a Palazzo dei Diamanti, che si vede dall’ingresso in fondo al cortile, abbiamo ipotizzato il nuovo padiglione/collegamento. Prima più vicino, attaccato, poi lontano. Ma lontano quanto? Per un po’ l’abbiamo immaginato perfino sottoterra. Abbiamo provato tutte le configurazioni possibili, alla fine è uscito questo progetto”. I due architetti lo riguardano insieme a chi lo vede per la prima volta. A Biagio Rossetti tutto questo bianco e vetro sarebbe piaciuto?

Un render del progetto

Il progetto si spiega in quattro principi.

  1. Il rapporto con il luogo: forma e geometria. Il nuovo padiglione sarà come un’addizione nell’addizione (Erculea). Il nuovo intervento – differente per linguaggio e materia – vuole entrare nella logica evolutiva dell’edificio esistente, palazzo importante, simbolo della città, ponendosi in relazione con lo stesso. Non un oggetto autonomo, insomma, ma elemento di relazione.
  2. Il rapporto con l’edificio: il sistema dei pieni e dei vuoti. In coerenza con la struttura spaziale del Palazzo dei Diamanti – caratterizzata da un’alternanza di volumi edilizi e spazi aperti, di pieni e vuoti – il nuovo ne continua idealmente la logica. La nuova fabbrica si distanzia infatti dal muro che conclude il cortile cinquecentesco realizzando un ulteriore cortile che continua la sequenza spaziale. Quest’ultima è caratterizzata ancor più dalla presenza dell’acqua.
  3. Rapporto con “il fatidico muro”: il distacco del nuovo padiglione. Avete presente quell’immagine in cui il protagonista di Blow Up osserva i mimi giocare a tennis e l’unica cosa che rende la partita verosimile, a una certo punto perfino reale, è la rete al centro del campo? Ecco il muro come soglia, “come anima del luogo”, dove diventa centrale il suo ruolo di spazio che separa il cortile dal giardino retrostante e che al contempo mette in relazione queste due parti.
  4. Il rapporto con il tempo: il non finito. Così come la condizione di “non concluso” caratterizza il Palazzo, vedi il marmo dei diamanti esterno versus il carattere più semplice e spoglio del cortile interno, viene riproposto anche nel nuovo intervento: “non c’è rivestimento, non ci sono sovrastrutture”.

“L’edificio è ridotto all’essenziale, alla sua pura struttura, come un’antica fabbrica in divenire” dicono i vincitori. Gli esclusi e i detrattori guardano invece all’essenzialità come sinonimo di “solo così si poteva rientrare nel budget assegnato”. Fatto sta che il nuovo padiglione permetterà la quadratura del cerchio: il collegamento finora mancante, coperto e climatizzato, tra le due ali del palazzo storico. Questo nuovo edificio dalle grandi pareti vetrate (all’occorrenza oscurabili con un sistema di tendaggi) e con un sistema di pareti mobili al suo interno, consentirà da un lato l’ampliamento della superficie espositiva, dall’altro uno spazio polifunzionale per incontri, conferenze, concerti, proiezioni e altre attività culturali e ricreative. Ci sarà un investimento di 3.5 milioni di euro finanziati con i Fondi del Ducato Estense, con progettazione nel corso del 2018 e inizio lavori del 2019 (e dureranno due anni). Aree adiacenti al palazzo saranno riqualificate e riconvertite in spazi destinati a ospitare nuovi e più accoglienti servizi al pubblico, quali un’area attrezzata per le attività didattiche, una caffetteria con distesa all’aperto, un ampio bookshop con accesso su corso Ercole I, oltre a nuovi depositi, servizi igienici e aree di sosta per visitatori e famiglie.

Il nuovo arriva nel Quadrivio, l’antica Ferrara inizia a dialogare con il suo animo moderno.

Vi lasciamo alle tavole del progetto e ai render fotografici nei dettagli:

Courtesy Studio Labics

1 Commento

  1. Buongiorno scrive:

    Vivo a Milano da 5 anni, ma ho vissuto a Ferrara dal 2009 al 2014. Ho letto della polemica sul progetto su testate che non lo descrivevano nemmeno… Ho pensato… “tipico di Fe”!!!
    Sapevo peró che su Listone avrei trovato vera informazione.
    Brava Anja!

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